Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 16
Nella sess. 25 al cap. 3191 si proibisce a qualunque Magistrato Secolare di poter impedire, o far ritrattare al Giudice Ecclesiastico le scomuniche, che avesse fulminate, o fosse per fulminare; contra l'inveterato costume, non men del nostro Regno, che degli altri Reami, dove, quando le censure sono nulle, o ingiuste o emanate contra il prescritto de' Canoni, s'usano contra i Giudici Ecclesiastici rimedj economici, o con farli desistere dall'emanarle, ovvero far loro rivocare l'emanate. Nel cap. 8 si toccano gli Ospedali amministrati da' Laici, dandosi a' Vescovi potestà di commutar la volontà degl'institutori, le loro entrate applicarle ad altri usi, punire i Governadori con privarli dell'amministrazione e del governo, e sustituire altri. Nel cap. 9 si dispone con libertà de' padronali de' Laici, dandosi norma intorno agli acquisti, prescrizioni, e loro suppressioni. Nel cap. 19 agli Imperadori, Re, Principi, Marchesi, Conti, ed a qualunque altro Signore temporale, che permettessero ne' loro Dominj il duello, oltre la scomunica, si vuole, che s'intendano anche privati de' loro Stati, e se gli tenessero in feudo, che subito ricadano a' loro diretti Padroni: a' privati, che vengono alla tenzone, ed a' loro padrini, oltre alla scomunica, parimente s'impone pena di confiscazione di tutte le loro robe, di perpetua infamia, e d'esser puniti come micidiali. Usurpazioni tutte dell'autorità temporale; non estendendosi, come s'è detto, l'autorità data da Cristo alla Chiesa a cose di questa natura.
Riconosciuti pertanto ne' Decreti di riforma questi ed altri consimili capi pregiudiziali alla potestà del Principe e sue supreme regalie, 'e fattene due relazioni dal Reggente Villano, e quelle consegnate al Vicerè, costui le trasmise in Ispagna al Re Filippo, il quale fattele attentamente esaminare, ed accertatosi de' pregiudicj che contenevano, scrisse altra lettera al Duca Vicerè, sotto li 3 luglio del 1566, colla quale dicendogli, che non fu intenzione del Concilio di pregiudicare in maniera alcuna a Sua Maestà, ed alle sue Regali preminenze, secondo se n'era accertato in Ispagna da alcuni Prelati, che intervennero in quel Concilio, gl'incaricava, che non facesse far novità alcuna in pregiudizio della sua autorità Regale, in tutti que' capi accennatigli.
Il Duca d'Alcalà pertanto, ancorchè facesse correre il volume de' Decreti del Concilio dato alle stampe per tutto il Regno, nè si fosse apertamente opposto alla divolgazione del medesimo; nulladimeno essendogli stato richiesto sopra il medesimo l'Exequatur Regium, così egli come il Collaterale non vollero concederlo; ed affinchè i Vescovi del Regno, avendo accettato il Concilio, eseguendo insieme con gli altri que' decreti notati, non portassero pregiudizio alla giurisdizione del Re, il Vicerè diede ordine a' Presidi, ed agli altri Ufficiali del Regno, che non facessero far novità alcuna, ma di quanto i Vescovi attentavano, ne facessero a lui relazione.
In effetto, avendo voluto il Vescovo di Tricarico, col pretesto del Concilio, per quel che dispone nel cap. 4 de Reform. sess. 21 e nel cap. 13 de Reform. sess. 24 di sopra notati, imporre alcuni pagamenti nella sua Diocesi, da esigersi dalle persone laiche contra il consueto, e contra il debito della ragione e del solito, con imporre altre decime, ed i Cittadini della Terra della Salandra repugnando di pagare, gli scomunicò, e pose Interdetti in detta Terra; per la qual cosa il Vicerè scrisse a' 30 novembre del 1564, una risentita lettera oratoria al detto Vescovo, imponendogli, che non esigesse in conto veruno da' laici, per qualsivoglia causa, più pagamenti di quelli, che quei Cittadini erano stati soliti, e che per lo passato si era esatto; e pretendendo alcuna cosa in contrario, debba ricorrere da esso Vicerè, che se gli sarebbe ministrato compimento di giustizia, non essendo giusto, che faccia a suo modo; che intanto rivochi li mandati fatti, e levi l'Interdetto, ed abolisca le Scomuniche, altrimente provederà, come conviene.
Così ancora, avendo preteso l'Arcivescovo di Capaccio esigere da' Cittadini laici della Polla alcune decime più del solito, scrisse il Vicerè una ben grave lettera al medesimo sotto li 10 agosto del 1565, colla quale l'esortava a non esigere, nè farl'esigere in modo alcuno, non essendo giusto, che si faccia la giustizia a suo modo, e colle sue mani; e pretendendo cos'alcuna in contrario, abbia ricorso dal Vicerè, che gli sarà ministrato compimento di giustizia. Quest'istesso poi imitarono il Conte di Miranda e gli altri Vicerè suoi successori192.
Parimente pretendendo i Vescovi del Regno, non pur come caso misto, ma in vigor del riferito cap. 8 de Reform. Matrim. sess 24 procedere contra i Concubinarj a pene temporali, di sfratti e di carcerazioni, vigorosamente si oppose loro il Vicerè; ed avendo voluto il Vescovo di Gravina carcerare un Concubinario, scrisse a' 21 giugno del 1567, una lettera Regia al Dottor Troilo de Trojanis Commessario in Gravina, che proccurasse tosto farlo rimettere al Giudice laico suo competente. Ed all'Arcivescovo di Cosenza, che pretendeva parimente carcerare i laici per cagion di concubinato, e che per ciò dal Magistrato secolare se gli fosse prestato ogni ajuto ed assistenza, fu resistito con vigore; scrivendo il Vicerè prima all'Uditore Staivano, a' 13 novembre del 1568, e poi a' 17 aprile del seguente anno 1569, al Conte di Sarno Governador di Calabria, che non volendo l'Arcivescovo restituire un carcerato per questa causa, facesse rompere ed aprire le carceri, e portasse il carcerato nelle carceri della Regia Audienza, insinuandogli che gli Ordinarj non potevano procedere ad altro contra i medesimi, che solo a scomunicarli. Così ancora il Vicario di Bojano (avanzandosi sempre più la audacia degli Ecclesiastici) avendo avuto ardimento di condannare a cinque anni di galea un laico, per causa di concubinato, scrisse il Vicerè, a' 10 luglio del 1569, una risentita lettera al Governadore di Capitanata, incaricandogli, che subito mandasse a pigliare detto condannato, e lo facesse condurre nelle carceri dell'Udienza.
Ma scorgendo questo savio Ministro, che gli abusi intorno a ciò multiplicavano in tutte le province del Regno, dove i Vescovi senza freno carceravano e punivano con pene temporali i Concubinarj, onde bisognava contra tanti un rimedio forte, ne diede a' 15 luglio del detto anno avviso al Re Filippo in Ispagna, cui informando di questi eccessi de' Prelati, chiese, che dovesse far per estirpargli. Il Re gli rispose che dovesse procedere con vigore e fortezza, siccome si praticava ne' Regni di Spagna, che s'ammonissero prima i Vescovi una, due, o tre volte, ch'essi a' Concubinarj non potevan far altro, che scomunicarli, che quando questo non giovasse, procedesse contra di loro a cacciarli via dal Regno, ed occupar loro le temporalità, con sequestrar anche i frutti delle loro Chiese. Il Duca d'Alcalà avuto ch'ebbe dal Re questa norma, scrisse subito una lettera Regia a tutti i Governatori delle Province, a tutti i Capitani delle città demaniali e de' Baroni del Regno, a' quali facendo noto l'ordine del Re, comandava, che sempre, che i Prelati del Regno contra i laici, per levargli dal peccato, volessero procedere per via di censure ecclesiastiche non gl'impedissero, anzi gli dessero ogni ajuto e favore; ma resistesser loro, quando oltracciò volessero procedere contra a' medesimi con pene temporali193. Ciò che fu poi da' suoi successori mantenuto, onde nel Regno fu loro sopra ciò, quando volessero trapassare i confini delle censure, fatta sempre resistenza.
Il medesimo riparo fu fatto sempre a' Vescovi, quando in vigor de' riferiti capi del Concilio volevano visitar l'Estaurite, le Confraterie de' laici, ed altri luoghi pii governati da' laici, con esiger da essi i conti. Il Duca d'Alcalà, durante il suo governo, non permise mai, che questi luoghi fossero dagli Ordinarj visitati; ond'è che fra gli altri capi dati in nota dal Papa al Cardinal Giustiniano Legato di Sua Santità al Re Filippo, era questo, che il Vicerè impediva a Prelati di visitare le Chiese governate da' Laici e vedere i conti della loro amministrazione194.
Non meno per questi che per tutti gli altri capi riferiti di sopra, non fece il Duca d'Alcalà valere nel Regno il Concilio. I Vescovi stupivano come, non ostante essersi il Concilio divolgato per tutto il Regno, ed essersi impressi più esemplari, che andavano intorno per le mani d'ogni uno, s'impediva poi loro l'esecuzione; n'empivano per ciò di querele il Mondo e Roma, e sollecitavano il Pontefice Pio V, ch'era tutto inteso a far osservare esattamente i Decreti del Concilio, a darvi rimedio; onde da ciò e dagli altri impedimenti, che si davano a' Vescovi per altre occorrenze, che noteremo appresso, furono dal Papa spediti al Re due Legati, il Cardinal Giustiniano, ed il Cardinale Alessandrino, della cui Legazione parleremo più innanzi.
CAPITOLO IV
Contese insorte intorno all'accettazione della Bolla in Coena Domini di Pio V
Il Pontefice Pio IV non visse gran tempo dopo la fine del Concilio, essendo morto il dì 9 di decembre dell'anno 1565. Fu in suo luogo fatto Papa a' 7 gennajo del nuovo anno 1566 il Cardinal Michele Ghisilieri soprannominato Alessandrino, perch'era nato l'anno 1504, nel villaggio di Bosco vicino ad Alessandria195. Fu egli Monaco dell'Ordine di S. Domenico, e fu creato Commessario del S. Ufficio, col favore del Cardinal Caraffa, di cui era amicissimo e molto famigliare, il quale essendo fatto Papa, per aver il Ghisilieri con gran severità ed audacia esercitata quella carica, lo nominò Cardinale nel 1557. Costui essendo giunto al Pontificato, prese il nome di Pio V, e, nutrito colle massime di Paolo IV, fu terribile contra i Settari, ed in Roma, ne' primi anni del suo Pontificato, fece ardere Giulio Zoanneto e Pietro Carnesecco, sol perchè s'era scoverto, che questi tenevan amicizia e corrispondenza co' Settarj in Germania; ed in Italia con Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga sospette d'eresia. Questo medesimo infelicissimo fine ebbe per lui l'eruditissimo Aonio Paleario, il quale intesa la sua condanna disse: Inquisitionem esse sicam districtam in Literatos196. Avea Pio V del Pontificato concetti troppo alti, ed all'incontro dell'Imperio troppo bassi, e sopra i Principi, non meno di quello che ne pretese Paolo IV, era persuaso poter far valere l'autorità della S. Sede, più di quello, che comportava una Potenza spirituale. Credeva sopra coloro poter tutto, e di dovere caricar la sua coscienza, se trascurava di farlo; perciò quel che operava, non era per lui indirizzato ad altro fine, che ad un puro zelo di religione e di disciplina; onde per questa severità di costumi, e per aver somministrate grosse somme nella guerra contra i Turchi, s'acquistò riputazione di santità, e l'abbiam veduto a' dì nostri essere stato canonizzato per Santo dal Pontefice Clemente XI197.
Non bastandogli d'essersi fortemente impegnato a far osservare esattamente i Decreti del Concilio, per maggiormente stabilire nel Pontificato la Monarchia, opera che incominciossi dalle Decretati d'Innoncenzio III e IV, di Gregorio IX, di Bonifacio VIII e degli altri Pontefici suoi predecessori, diede fuori (appena passato il primo anno del suo Pontificato) quella cotanto famosa e rinomata Bolla, che ogni anno vien pubblicata in Roma nel Giovedì Santo in Coena Domini, donde prese il nome. La pubblicò egli nell'anno 1567. Poi nell'anno seguente ne pubblicò un'altra, dove s'aggiunsero più cose, e rendettela vie più fulminante198. Comandò, che tutto il Mondo Cristiano senz'altra pubblicazione, che quella fatta in Roma, a quella ubbidisse: i Parrochi ogni anno il Giovedì Santo la leggessero al popolo in su de' pulpiti: e gli esemplari s'affiggessero nelle porte delle Chiese, ed in tutti i Confessionarj, e che quella fosse la norma della disciplina e delle coscienze, non meno a' Vescovi, che a Penitenzieri e Confessori. Contiene ella molti capi, poichè quella, che va attorno e si vede ne' Confessionarj affissa, è raccorciata e molto dimezzata. Alcuni Scrittori tutta intiera la rapportano nelle loro opere, come, per tralasciar altri, Francesco Toledo199 nella di lui Somma, e Lionardo Duardo Cherico Regolare vi compilò sopra un ben ampio Commentario, e lo stampò in Milano nel 1619 nella di cui Chiesa Metropolitana era stato lungo tempo Penitenziere200.
Questa Bolla, oltre infiniti eccessi, butta interamente a terra la potestà de' Principi, toglie loro la sovranità de' loro Stati, e sottopone il lor governo alla censura e correggimento di Roma. Per tralasciarne molti, dal cap. 19 sino al 29, si leggono nella Somma del Toledo diciotto articoli, tutti riguardanti a questo fine.
Nel cap. 19 si scomunicano i Fautori degli Eretici, ponendosi con ciò in balìa del Papa di scomunicar i Principi cristiani, i quali o per difesa de' loro Regni, o per altro interesse di Stato, facessero leghe con gli Eretici o infedeli, dandosi ad intendere a' popoli, che quel Principe non senta bene della fede, come fautor degli Eretici e degl'infedeli, e con ciò possa disturbarsi dal trono; siccome questa massima si vide praticata in Francia nella persona del Re Errico III, Principe cattolico, il quale sol perchè prese la protezione de' Ginevrini, fu dato pretesto a' Gesuiti d'insegnare, che potessero i popoli da lui ribellarsi201.
Nel cap. 20 si scomunicano tutti coloro, che dei Decreti, sentenze ed altri ordinamenti del Papa appellano, o danno ajuto e favore agli appellanti al general Concilio. Si scomunicano ed interdicono tutte le Università degli studi, e collegi e capitoli, che tenessero, ovvero insegnassero che il Papa sia sottoposto al Concilio generale. In guisa che, non solamente agli articoli stabiliti in questa Bolla, ma a tutte le Costituzioni, Decreti, e sentenze della Corte di Roma, o si deve ubbidire, ovvero che s'incorra nella scomunica, ed interdetto, se non si accetteranno.
Nel cap. 21 si scomunicano tutti i Principi, i quali nelli loro Stati, o impongono nuovi pedagi, gabelle, dazj, o accrescano gli antichi, fuori de' casi dalla legge a lor permessi, ovvero dalla licenza speziale, che n'avessero ottenuto dalla Sede Appostolica; onde Martino Bacano202 in conformità di quest'articolo insegnò che il Principe per ragion della sua amministrazione divien Tiranno, se tirannicamente amministra il Principato, gravando i sudditi d'ingiuste esazioni, rendendo gli Ufficj de' Giudici, facendo leggi a se comode, etc. Così in vigor di questa scomunica sarà posto in mano del Papa, quando gli piacerà, di dichiarare il Principe Tiranno, e muovergli contra, i popoli, a discacciarlo dal Trono come Tiranno, se nell'imposizione de' tributi non avrà prima ottenuta da lui la licenza. E così bisognerà, che i Principi Cristiani aprano al Papa gli arcani de' loro Stati, i bisogni che tengono, per ottener facoltà d'imporre nuove gabelle, o accrescere l'antiche. Di questo pretesto si servì Bonifacio VIII contra Filippo il Bello, infamandolo, che avea gravato i suoi sudditi d'ingiusti tributi, e che nel Regno avea diminuita la ragion della moneta. E già nel Regno, se la provida cura del Duca d'Alcalà non vi riparava, si cominciavano a sentire da' popoli susurri intorno alle imposizioni delle gabelle, riputate ingiuste, perchè imposte senza licenza del Papa, e per ciò di non esser obbligati a pagarle, come vedremo più innanzi. E nel governo del Duca d'Ossuna nel 1582 si videro pur troppo manifesti gli effetti perniziosi di questa dottrina, poichè essendosi risoluto dalle Piazze, toltane quella di Capuana e del Popolo, d'imporre una nuova gabella, ch'era di far pagare un ducato per ciascuna botte di vino, che si cominciasse a bere, il popolo tumultuando dichiarossi di non volere che si parlasse di gabella, fomentati da molti Padri spirituali, che pubblicarono peccare mortalmente tutti coloro, che si fossero intromessi all'imposizione di tal gabella, e fra gli altri vi fu un Cappuccino spagnuolo chiamato Fra Lupo, il quale declamando in ogni angolo della Città con molto fervore, e predicando e protestando a tutti, che lor soprastava un gran castigo divino, se cotal opra si metteva in effetto: fu bisogno al Vicerè di farlo uscir tosto da Napoli. Ma con tutto ciò il popolo non potè mai ridursi a consentirvi; la gabella non si pose, e nel seguente anno, quanto si potè fare, a disporlo ad un nuovo donativo d'un milione e ducento mila ducati203. Quindi nacque presso di noi quella perniciosa dottrina de' Casuisti, colla quale regolano le coscienze degli uomini e la insinuano ne' Confessionarj, che fosse a' popoli lecito fraudar le gabelle a cagion del pericolo che si corre, e perchè sono imposte senza tal Papale licenza.
Ne' capitoli 27, 28 e 29 si stabilisce l'immunità degli Ecclesiastici assolutamente, ed independentemente da qualunque privilegio di Principe, ed in conseguenza si scomunicano tutti i Presidi, i Consiglieri, i Parlamenti, i Cancellieri, in fine tutti i magistrati e Giudici costituiti dagli Imperadori, Re e Principi Cristiani, li quali in qualunque maniera impedissero agli Ecclesiastici d'esercitare la loro giurisdizione Ecclesiastica contra quoscumque. Con quest'articolo viene a cadere tutta l'autorità politica del Principe, e si trasferisce alla Corte Episcopale; poichè gli Ecclesiastici non solo vengono ad essere dichiarati immuni dalla giurisdizione politica nelle cause civili e criminali; ma potranno, secondo ciò che gli verrà di capriccio, tirare i Laici alle loro Corti; nè i Magistrati si potranno opporre, perchè come impedienti l'esercizio della Giurisdizione Ecclesiastica contra quoscumque incorrono nella scomunica.
Si scomunicano ancora in questa Bolla tutti coloro che impediranno l'estrazione delle vettovaglie ed altre cose da' loro Stati, per doversi introdurre in Roma, e nello Stato Ecclesiastico per l'annona e bisogno di quella città e Stato.
Parimente nel cap. 13 si scomunicano tutti coloro, che proibiranno l'esecuzione delle lettere Appostoliche, col pretesto, che vi si abbia prima a richiedere il loro assenso, beneplacito consenso, o esame; onde i Dottori Ecclesiastici furon presti a porre in istampa nelle loro opere, come per tralasciar gli altri, fece Reginaldo204, che i Magistrati incorrono nelle censure contenute nel cap. 13 di questa Bolla, quando senza il beneplacito o esame loro impedissero l'esecuzione delle medesime, anche se si restringessero solamente ad esaminarle, senza avervi d'aggiugnere segno o nota, ma restituirle così illese ed intatte, come si esibivano. E con ciò andava a terra nel nostro Regno L'Exequatur Regium, e s'inserivano infiniti altri pregiudizj e tutti rilevanti: tanto ch'era l'istesso accettarla, che ruinare il Regno.
Tutti i Principi Cattolici ne' loro Regni di là dei Monti non la ricevettero a patto veruno, nè permisero, che in qualunque modo si pubblicasse; e narra il Presidente Tuano205, che a' medesimi Principi d'Italia parve ciò un giogo troppo grave ed insolente, e precisamente al nostro Re Filippo, ed alla Repubblica di Venezia.
In Francia, per più arresti del Parlamento, sotto gravissime pene fu vietata la pubblicazione della Bolla come quella, che in più articoli s'oppone a' Regali diritti, a quelli de' suoi Ufficiali, ed alla libertà della Chiesa Gallicana206.
In Germania l'Imperador Ridolfo II si oppose alla pubblicazione e la impedì con vigore. Anzi l'Arcivescovo istesso di Magonza, uno degli Elettori dell'Imperio, vietò di farla pubblicare nelle sue Terre e Diocesi207.
In Ispagna il Re Filippo II parimente alla sua pubblicazione si oppose. E nella Fiandra testificano Zipeo208 e Van-Espen209, che non fu mai ricevuta; e con tutto che il Nunzio Bentivoglio avesse fatto ogni sforzo per farla ricevere e pubblicare, con averne mandato gli esemplari a' Vescovi, non fu però quella ivi mai pubblicata, nè i Vescovi vollero in ciò ubbidire al Nunzio.
Il Duca d'Alcalà nostro Vicerè, pubblicata che fu in Roma questa Bolla, col consiglio e parere di quei savj Reggenti ch'erano allora in Collaterale, fra' quali erano i famosi Reggenti Villano e Revertera, essendo stato informato de' pregiudizj gravissimi, che quella seco portava, e che tutti gli altri Principi Cattolici ne' loro Reami l'aveano affatto rifiutata, anzi che s'usava somma diligenza e rigore di non farla a patto veruno divolgare, castigando chi la disseminava, con usar egli l'istesso rigore nel nostro Regno, proccurò, che non si ricevesse.
I Vescovi tosto ebbero ricorso in Roma, dolendosi col Pontefice Pio del Vicerè, avvertendolo come si proccurava non farla ricevere: il Pontefice scorgendo, che sarebbe stata opera perduta il tentare di rimuovere il Vicerè, usando le solite arti di Roma, col favore dei Principi non bene informati estorquere l'intento, diede incombenza al Vescovo d'Ascoli suo Nunzio in Ispagna, affinchè passasse col Re Filippo premurosi ufficj per indurlo a scrivere al Duca di far ricevere nel Regno la Bolla; ed il Nunzio colorì così bene la sua causa, lagnandosi essere in Napoli la giurisdizione Ecclesiastica malmenata, che nel medesimo anno 1567 indusse il Re, non ben informato, di scrivere una lettera al Duca, nella quale generalmente ordinava, che si dovesse tener particolar pensiero di favorire la Giurisdizione Ecclesiastica, e di non contrariarla; ma con la solita avvedutezza gli soggiunse, che la favorisse in quanto non sarà contraria la sua preminenza regale; e che per ciò per poter soddisfare al Papa con più fondamento, desiderava di aver particolar informazione di tutto ciò, che in questo Regno s'osservava: onde gl'incaricava, che informatosi da persone dotte e pratiche e di sperimentata bontà, l'avvisasse di tutto giuntamente col suo parere.
Il Vicerè rispose a questa lettera con due particolari consulte, una de' 31 luglio del medesimo anno, e l'altra de' 22 decembre, nelle quali riferendogli tutti i capi della Bolla, che sommamente pregiudicavano alla Regal Giurisdizione, l'avvertiva, ch'essendo questo negozio di grandissima importanza, bisognava star attentissimo, e che egli stimava di mandar in Roma a Sua Santità un Dottore del Consiglio di Sua Maestà persona dotta, e ben istrutta delle Prammatiche, Capitoli, Stili ed Osservanze di questo Regno, il quale insieme col suo Ambasciadore in Roma trattasse col Papa per rimediare, in un negozio sì grave, a tanti pregiudicj.
Ma mentre in Ispagna si stavano esaminando queste relazioni del Duca per deliberare ciò che dovea farsi, l'Arcivescovo di Napoli ed i Vescovi del Regno, animati dal Papa, non mancavano, quando lor veniva fatto, di pubblicar la Bolla, e per tutte le loro Diocesi disseminarla, da che, particolarmente intorno all'esazione delle gabelle e del Exequatur Regium, ne nascevano gravissimi inconvenienti. L'Ambasciadore del Re Filippo, risedente in Roma, portava le doglianze col Papa, di essersi pubblicata ne' Regni del suo Re, e spezialmente in quel di Napoli, la Bolla in Coena Domini senza il Regio Exequatur; ma il Pontefice Pio rispondeva, secondo rapporta il Catena210, che la Bolla in Coena Domini tanto antica, quantunque solamente in Roma ciascun Pontefice la pubblicasse, avea forza per tutto il Mondo, siccome le altre Costituzioni generali; ed aver per l'addietro i Principi e i loro popoli, che si trovavano aver contravvenuto ad alcuna proibizione di questa Bolla, dimandata l'assoluzione da' Pontefici: di essa essersi fatta menzione sempre in tutti i Giubilei ed indulgenze, e nella Bolla della Crociata, conceduta alle volte a richiesta de' Re di Spagna. Per ciò aver comandato agli Arcivescovi e Vescovi che la pubblicassero; molto più perchè avea inteso, che in diverse Province ciò non si faceva, acciocchè non istassero i popoli inviluppati nelle scomuniche, non iscusandoli l'ignoranza, etc. L'ammonire i Confessori del debito loro, convenire al vero Pastore, acciocchè essi sappiano fra lepra e lepra discernere e de' peccati massimamente ne' casi riservati al Papa giudicare.
Il Vicerè informato dall'Ambasciador di Roma dell'ostinazione del Papa, e vedendo co' proprj occhi i disordini, che per ciò accadevano nella città e nel Regno, a' 15 maggio del nuovo anno 1568, mandò al Re una terza consulta, nella quale l'informava degli inconvenienti, che ogni dì nascevano per cagion di questa Bolla, delle novità e dubbj circa l'esazioni delle gabelle, d'alcune Bolle pubblicate ed eseguite in Regno senza l'Exequatur Regium, ragguagliandolo che tanto il Nunzio Appostolico, quanto il Vescovo di Strongoli nuovamente eletto, e mandato in Regno da Sua Santità per Visitatore, aveano mandato generalmente a tutti li Confessori di Napoli, e segnalatamente al Confessore di esso Vicerè nel Convento della Croce, ed a tutti i Confessori delli Reggenti, a ratificargli la Bolla in Coena Domini, ordinando loro che non assolvessero quelli che in qualsivoglia modo contravenivano alla Bolla suddetta. E di vantaggio, che avendo la città di Napoli preso un espediente di dare alli Panettieri il grano della città a minor prezzo di quello, che a lei costava, per non alzare il prezzo che correa allora del pane, conchè li Panettieri pagassero un carlino per tomolo di pane che lavoravano, col qual avanzo la città ne ricaverebbe d'utilità più di ducati sessantamila l'anno; atteso essendosi bandito il pagamento predetto d'un carlino per tomolo, vi erano offerte per due anni di centottomila ducati, ed altri davano intenzione d'avanzare insino a ducati centoventimila, dal che la città veniva a ristorarsi di quel che avea perduto, e perdea nelli prezzi de' grani; ed essendosi deputata giornata per l'accension della candela, la Piazza di Nido erasi ritrattata, per aver osservata la Bolla in Coena Domini, per la quale si scomunicano quelli, che ne' loro Dominj impongono pedagi, o gabelle, dicendo che incorrerebbero nelle scomuniche contenute in detta Bolla; e che similmente quelli, che trattavano questo negozio stavano nel medesimo dubbio, ancorchè da questa imposizione s'eccettuassero le Chiese, Cherici e persone Ecclesiastiche; per lo che aveano differito ed appuntato di doverne cercar parere da' Letterati Teologi sopra questo punto.
Scrissegli ancora sotto l'istesso dì altra consulta, colla quale ragguagliava il Re, che gli aggravj fatti e che tuttavia si facevano da' Vescovi del Regno per cagione della suddetta Bolla (se egli colla sua potente mano non vi riparava) si sarebbero resi irremediabili; e quel, che più importava al suo regal servigio, era il remedio al capo dell'Exequatur Regium da darsi alle provvisioni, Brevi e lettere Appostoliche, poichè per detta Bolla si toglieva affatto questo costume, ed antichissima consuetudine; ed in effetto alcuni Prelati aveano già pubblicati ed eseguiti alcuni Brevi e lettere Appostoliche senza Exequatur, e ch'egli era stato costretto di simularlo, finchè avesse risposta e risoluzione da Sua Maestà, per non incorrere nella censura contenuta in detta Bolla. Gli avvisò ancora, che il Papa avea mandata la Bolla all'Arcivescovo di Napoli con un Breve particolare, che la facesse pubblicare sotto pena di santa ubbidienza; sopra di che, da parte di Sua Santità, gli avea ancora scritto il Cardinal di S. Pietro Alessandrino suo nipote, comandandogli, che la facesse subitamente pubblicare, siccome già era stata subito pubblicata dal detto Arcivescovo e dal Nunzio per le Chiese di Napoli, senza licenza del Vicerè, e senza Exequatur. Di vantaggio, che nella nuova ed ultima Bolla in Coena Domini pubblicata, in quest'anno 1568, vi si leggevano aggiunti molti altri capi pregiudizialissimi alla Regal Giurisdizione; onde pregava istantemente il Re, che ad un affare cotanto grave e ruinoso, vi desse presto rimedio; tanto più, che egli con i Reggenti erano in iscrupolo d'essere scomunicati, perchè aveano denegato l'Exequatur ad alcuni Brevi di Sua Santità.
Il Re Filippo reputando, per queste insinuazioni del Duca, l'affare di somma importanza, ed avendo fatto esaminare in Ispagna da' suoi Consiglj e da' più famosi Teologi di quelle Università la Bolla, finalmente a' 22 luglio del medesimo anno 1568 scrisse al Vicerè una ben lunga lettera molto grave e forte, per la quale l'incoraggiava a star fermo in rifiutar la Bolla, e tutto ciò che s'attentava contra le sue regali preminenze. Mostra in prima per quella, aver inteso non senza suo rammarico, essere giunte le cose in quello stato, ch'egli rappresentava, non potendo lasciar di dirgli aver sentito molto, che abbia tanto dissimulato, e quelle leggiermente passate, ed essendo così perniziose, come sono e come egli medesimo lo dicea: che poteva ben egli aver col Papa molto giusta ed onesta scusa di non ammettere, nè dar luogo ad alcuna novità, che si pretendeva a tempo suo introdurre, con dirgli, ch'era suo Luogotenente in questo Regno, e che stando ad esso raccomandato per governarlo con que' privilegi e preminenze, nelle quali da tanti anni si trovava in possessione, in uso e costume, non poteva lasciare di non conservarli, così, come gli avea trovati: che per questa causa non dovea Sua Santità tenere a male, nè a disubbidienza, che cercasse prima consultare con sua Maestà e complire il suo carico ed ufficio: che dovea dire al Nunzio, che trattanto, che in questo Regno fosse stato esso Duca, non avesse da permetter cosa, che fosse in pregiudizio e diminuzione delle sue prerogative e preminenze, colle quali l'avea ritrovato, e che se Sua Santità pretendeva introdurre alcuna cosa in quello, poteva accudire a Sua Maestà, come a Padrone, e conveniva, che l'avesse fatto, poichè toccava a Sua Maestà ordinare quel che avesse voluto, e ad esso Duca solamente eseguirlo.
Per la qual cosa espressamente gli comandava, che per lo cammino e termini che meglio gli parrebbono, esso Duca restituisca interamente nella possessione, nella quale stava il Regno quando egli ci venne, senza permettere, che la giurisdizione e preminenza reale sia pregiudicata in un solo punto, come in lui interamente confidava, perchè altrimenti non sarebbe ammessa niuna replica e scusa.
Che faccia intendere al Nunzio Odescalchi, che frattanto, che esso Duca tenerà il Regno a suo carico, non s'avran da permettere in quello simili novità, cotanto pregiudiziali a Sua Maestà.