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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 22

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CAPITOLO X
Legazione de' Cardinali Giustiniano, ed Alessandrino a Filippo II per questi ed altri punti giurisdizionali: donde nacque il costume di mandarsi da Napoli un Regio Ministro in Roma per comporli

Il Pontefice Pio V, che invigilò a pari di qualunque altro Pontefice di stendere come poteva meglio, la giurisdizione Ecclesiastica sopra i Dominj de' Principi Cristiani, non ben soddisfatto del Duca di Alcalà, che compiendo alle sue parti attraversò sempre i suoi disegni, si risolse finalmente di far trattare questi punti a dirittura col Re Filippo, e gli spedì a questo fine successivamente due Legati. Il primo fu il P. Vincenzo Giustiniani Generale dell'Ordine dei Predicatori, che fu da poi da lui fatto Cardinale; ed il secondo fu Michele Bonello Cardinal Alessandrino suo nipote, che partì per Ispagna e Portogallo con varie commessioni, poco prima della morte del Duca d'Alcalà, seguita in Napoli l'anno 1571.

Il Cardinal Giustiniano si sbrigò subito della sua Legazione; poichè avendo rappresentato al Re alcuni aggravi (la maggior parte de' quali furono i medesimi riferiti di sopra) che diceva farsi nel Regno a' Vescovi, in diminuzione della giurisdizione ed immunità Ecclesiastica, e fra gli altri di non permettergli di conoscere sopra il Chericato: il Re dando provvidenza ad alcuni di poco momento, considerando gli altri di somma importanza, e che avean bisogno di molta considerazione; nè potevan risolversi senza che dal Vicerè di Napoli ne fosse stato pienamente informato, ne lo rimandò con lettera de' 28 settembre 1570, diretta al Pontefice Pio, nella quale con molto rispetto gli scrisse aver ricevuto il suo Breve, che gli portò il Cardinal Giustiniano in sua credenza sopra le cose toccanti alla giurisdizione Ecclesiastica, e che quantunque per li viaggi e continue sue occupazioni, che da poi l'erano sopravvenute, non avea avuto luogo e quel tempo, che si desiderava per trattar di quelle, maggiormente per essere molto gravi ed importanti: tuttavia per soddisfare Sua Santità, si era provvisto in alcune, come intenderebbe dal suddetto Cardinale; ma che venuta che sarebbe l'informazione, ch'egli aspettava da Napoli, avrebbe proccurato di provvedere al di più, in maniera, che la dignità Ecclesiastica non fosse pregiudicata306.

Scrisse nel medesimo tempo due ben lunghe lettere al Duca d'Alcalà, inviandogli i capi presentatigli dal Legato, per li quali diceva venire pregiudicata la giurisdizione Ecclesiastica, incaricandogli, che dovesse comunicarli col Consiglio Collaterale, il quale con matura discussione e deliberazione rispondesse a ciascheduno di quelli, e ne gli facesse poi a lui relazione; acciò che con più maturità potesse egli deliberare quel che conveniva; siccome fu eseguito: poichè fattasi questa relazione, fu da poi fatta esaminare da alcune persone del suo Real Consiglio, che per ciò si deputarono, e con loro accordo e col parere suddetto de' Reggenti del Collaterale di Napoli, fu decretato sopra alcuni Capi della medesima.

In cotal guisa terminò la Legazione del Cardinal Giustiniano; ma assai più onorevole fu quella del Cardinal Alessandrino nipote del Papa, il quale fu da Pio inviato al Re Filippo II, non meno per queste contese giurisdizionali, che per cagioni assai più serie e gravi, e non meno per lo Regno di Napoli, che per quello di Sicilia e del Ducato di Milano; e sopra tutto per la guerra, che minacciava il Turco, il quale formidabile più che mai poneva terrore non meno alla Germania, che all'istessa Italia. Per ciò il Pontefice Pio era tutto inteso a stimolare i Principi Cristiani, che uniti insieme accorressero alla difesa delle province Cristiane, minacciate da così fiero e potente nemico: mandò a questo fine il Cardinal Commendone a Cesare, a cui diede incombenza che dopo aver trattato con colui delle cose di Germania, passasse a Sigismondo Augusto Re di Polonia, per invitarlo all'alleanza d'una guerra non meno salutare, che necessaria; siccome mandò a' Principi d'Italia Paolo Odescalchi Vescovo di Penne, per passare i medesimi ufficj: mandò ancora il Cardinal Alessandrino suo nipote al Re Filippo in Ispagna, dal quale, sopra tutti gli altri Principi, sperava valevoli soccorsi, commettendo parimente al Cardinale, che passasse poi al Re di Portogallo, ed indi andasse in Francia ad invitare anche quel Re all'impresa307.

Giunto che fu il Cardinal Alessandrino in Ispagna, fu incontrato con molto onore ne' con fini da molti Signori, che il Re avea mandato a riceverlo: gli andò incontro Diego Spinosa Vescovo Saguntino, dal quale allora si maneggiavano gli affari più gravi della Corona, e finalmente introdotto nella Corte, fu dal Re Filippo ricevuto con eccessive rimostranze di onore e di stima.

La somma e principal sua commessione era di esortare il Re, come fece, acciò si affrettasse di somministrare valevoli ajuti per la guerra contra il Turco: che quelli, oltre che sarebbero stati i più grandi e considerabili, avrebbero stimolato gli altri Principi, mossi dal suo esempio a seguirlo, ed a stringere l'alleanza: lo pregò in secondo luogo che se bene per questo istesso fine dovea egli passar in Portogallo e poi in Francia, con tutto ciò più efficaci sarebbero stati questi ufficj, se S. M. s'interponesse a dirittura con que' Re, e sopra tutto invitando Massimiliano Cesare a partecipare di questa santissima guerra. Filippo rese grazie al Pontefice, che cotanto onorificamente di lui sentiva, ma che dovea colla sua prudenza riguardare ancora di quante cure e molestie era egli circondato, e quanto fosse grave la mole che e' sosteneva d'una guerra ancor'ella di Religione, quanto era quella di Fiandra, la quale se non vi dava riparo, poteva nelle viscere della Cristianità recar più danno di quella minacciata dal Turco: del rimanente, che non avrebbe tralasciato i suoi soccorsi, e da' suoi Stati d Italia somministrar quegli ajuti, per quanto comportavano le forze di que' Regni: non avrebbe ancora tralasciato d'accompagnare con que' Re i suoi con gli ufficj del Pontefice, e sopra tutto coll'Imperador Massimiliano suo cugino308.

Trattossi ancora del Titolo di Gran Duca di Toscana attribuito a Cosimo Duca di Fiorenza: esagerava il Cardinale, che senza grave ingiuria di Sua Maestà e del Pontefice non dovea quello tollerarsi: dovea riflettersi essersi con ciò offesa non meno l'autorità e dignità sua regale, che la maestà della Sede Appostolica; con tutto ciò niente sopra quest'affare si conchiuse.

Ma il Pontefice Pio non volle tralasciare in questa occasione, dove egli mostrava cotanto zelo per la Fede di Cristo contra gl'implacabili nemici di quella, di proccurar anche per la sua Sede non piccioli vantaggi: fece far dal Cardinale doglianze col Re, come nel Regno di Sicilia la giurisdizione Ecclesiastica veniva grandemente abbassata da suoi Regj Ministri per quella Monarchia da essi inventata, che non ha altro sostegno, che un supposto ed apocrifo diploma d'Urbano II. E diceva, che oltre di non potere il diploma comprendere, che le persone di Ruggiero Conte di Sicilia e di Calabria, e di Simone suo figliuolo, ovvero l'erede di Ruggiero solamente, si vedeva chiaro essere quello molto sospetto, dal luogo e dal giorno che ivi si leggevano. Porta la data di Salerno dell'anno 1095, nel qual tempo il Pontefice Urbano intervenne nel Concilio di Chiaramonte convocato in Francia per la guerra sacra, per la cui spedizione fu per tutto quell'anno sempre occupato. L'Autore, che la prima volta lo cavò fuori alla luce del Mondo, cioè Tommaso Fazzello, essere un uomo nuovo, di niun nome ed autorità: egli dice averlo avuto da un altro di non maggior fede, il qual fu Gio. Luca Barberio Siciliano. Essere ancora da Pietro di Luna scismatico attribuito a Ferdinando d'Aragona, ed a Martino parimente Re d'Aragona, che prese per moglie Maria Regina di Sicilia, affinchè i Vescovi non potessero contra i Ministri regj valersi delle censure Ecclesiastiche, ma che poco da poi, a richiesta de' tre Ordini del Regno, fu quel privilegio affatto abolito e tolto. Richiedeva perciò Sua Santità, che quella pretesa Monarchia affatto si abolisse, ed il Regno di Sicilia in tutte le cose si riducesse secondo il prescritto del Concilio di Trento, e la giurisdizione Ecclesiastica fosse restituita nella sua autorità e suo splendore. Il Re Filippo considerando fra se l'importanza della cosa, con molta gravità rispose al Legato, che quelle ragioni, che insieme co' Regni i suoi maggiori gli avean tramandate, siccome egli aveale ricevute, così non poteva far di meno di non lasciarle nella maniera istessa a' suoi successori, e che i suoi Ministri non le serbassero309. Del rimanente, se vi era qualche eccesso in valersene, per l'osservanza dovuta alla S. Sede, avrebbe egli scritto che l'emendassero. Con questa risposta ne fu rimandato il Cardinale. Nè di ciò se ne mosse da poi più parola, se non sotto il Regno di Filippo III, venne al Cardinal Baronio, con grande importunità, voglia di contrastarla nell'XI tomo de' suoi Annali; ma ne fu fatta da Spagna severa rimostranza, come altrove si è detto. E negli ultimi nostri tempi avendo voluto il Pontefice Clemente XI con sua Bolla abolirla, servendosi dell'opportunità del tempo, quando quel Regno era in mano del Duca di Savoja; riuscirono anche vani gli sforzi suoi, che diedero motivo all'incomparabile Dupino di scrivere, a richiesta di quel Principe, quel dotto libro, sostenendo non meno la Monarchia, che facendo vedere quanto erano deboli li argomenti del Baronio, sopra i quali Clemente avea appoggiata la sua Bolla.

Serbossi in ultimo luogo il Cardinal Alessandrino, di proporre al Re Filippo in questa sua Legazione, i pregiudizj, ch'e' diceva farsi alla Giurisdizione Ecclesiastica nel Regno di Napoli e Stato di Milano; ma ricevè quella stessa risposta, che fu data al Cardinal Giustiniano: essere queste cose di somma importanza, e che per ciò non poteva da se niente risolvere, se prima non ne fosse informato dal Vicerè di Napoli e dal suo Ambasciadore residente in Roma.

Intanto era nel mese di aprile di quest'anno 1571 accaduta in Napoli la morte del Duca d'Alcalà, e ritrovandosi in Roma il Cardinal di Granvella fu dal Re a costui comandato, che tosto si portasse in Napoli a prendere le redini di quel governo in luogo del Duca morto, siccome prontamente fece. Per adempir il Re a quanto avea promesso al Cardinal Legato, scrisse in quest'istesso anno quattro lettere, una nel mese di novembre diretta al suo Ambasciadore in Roma D. Giovanni di Zunica, e tre altre nel seguente mese di Decembre al Cardinal di Granvela suo Vicerè in Napoli. Avvisava in quelle a' medesimi, come essendo giunto in Ispagna il Cardinal Alessandrino Legato di Sua Santità, e ricevuto da lui, ed accarezzato come conveniva, e si dovea a persona di tanta dignità, e cotanto al Papa congiunta, gli avea fra l'altre sue commessioni esposti alcuni Capi, nelli quali pretendeva, che si pregiudicasse la Giurisdizione Ecclesiastica, tanto nelli Regni di Napoli e di Sicilia, quanto nello Stato di Milano: in Napoli per l'Exequatur Regium: in Sicilia per la Monarchia: ed in Milano per la Famiglia armata dell'Arcivescovo e per la Chiesa di Malta: gli mandava per ciò copia di que' Capi colle risposte e repliche del detto Legato: gl'inviava ancora copia de' memoriali dati a lui dal Cardinal Giustiniano colle risposte fatte nello margine di ciascun capo, acciò l'Ambasciadore con questo antivedere si regolasse col Papa in Roma per quel che conveniva. Al Vicerè Granvela, si diffuse assai più, dandogli notizia, che intorno a' punti contenuti ne' memoriali datigli dal Cardinal Giustiniano, ed alle decretazioni fatte dal suo Regal Consiglio col parere de' Reggenti del Collaterale di Napoli, ancorchè dal suddetto Cardinal Alessandrino si fosse alle medesime replicato, nulladimeno essendosegli risposto come conveniva, finalmente erasi quietato, e pensava per ciò partirsi fra tre dì, seguendo il suo cammino per Portogallo. Per ciò che poi s'atteneva a' suddetti nuovi Capi toccanti al Regno presentatigli dal suddetto Cardinale, ne gl'inviava copia, affinchè gli facesse esaminare da' Reggenti del Collaterale e da altre persone pratiche di scienza e di coscienza. Dopo di che ne gl'inviasse molto particolare e distinta relazione col suo parere, acciò che replicandosi dal Papa, possa egli con fondamento rispondergli e prevenire quanto bisognava per la buona condotta di quest'affare. Nella seconda lettera drizzata al medesimo Vicerè, gli dava ragguaglio delle rappresentazioni fattegli intorno all'osservanza del Concilio di Trento, e delle sue generali risposte dategli: e nella terza l'incaricava la vigilanza ed accortezza ricercata intorno all'Exequatur, acciò non si diminuisse la sua Giurisdizione.

Il Cardinal Granvela, così sopra tutti questi Capi, come sopra quelli contenuti ne' memoriali dati al Re dal Cardinal Giustiniano, col parere del Collaterale, in risposta di queste regali lettere, mandò al Re più Consulte, nelle quali regolandosi con l'istessi sentimenti, che s'ebbero nel governo del Duca d'Alcalà suo predecessore, informò il Re pienamente di tutto: di che mal soddisfatta la Corte di Roma, vedendo che così queste controversie di Giurisdizione comprese nelli Capi dati da' Cardinali Giustiniano ed Alessandrino, come molte altre, che alla giornata faceva sorgere, non si potevano comporre a suo modo, per via di lettere e di relazioni, che vicendevolmente si mandavano, ed in Roma, ed in Napoli, ed alla Corte di Madrid: pensò di ridurle in trattato in Roma, per dove desiderava, che dal Re si mandassero suoi Ministri, affine di potersi quelle ivi dibattere e risolvere. Per ciò il Pontefice Pio V richiese il Re Filippo, che mandasse suoi Ministri in Roma, i quali uniti con quelli, ch'egli avrebbe deputati per sua parte, avessero potuto aggiustarle, ed amichevolmente comporle. Il Re Filippo, non ben intendendo l'arcano, ovvero per compiacere al Pontefice, di cui ostentava somma osservanza, promise di mandargli; ma essendo poco da poi a primo di maggio del seguente anno 1572 succeduta la morte del Pontefice, non ebbe la promessa alcun effetto.

Ma Gregorio XIII, che succedette al Pontefice Pio, non tralasciò di farsi adempire la premessa; onde più volte istantemente lo richiese, che gli mandasse, siccome con effetto nel 1574 furon mandati. Scrisse il Re al Pontefice a' 4 giugno del suddetto anno una lettera, nella quale gli diceva, che per soddisfare alle sue istanze fattegli di mandare in Roma alcune persone per trattare le differenze di Giurisdizione occorse ne' suoi Regni d'Italia, inviava in Roma D. Pietro d'Avila Marchese de las Navas, ed il Licenziato Francesco di Vera del suo Consiglio, li quali giunti col suo Ambasciadore D. Giovanni di Zunica trattassero di comporre amichevolmente quelle differenze, e qualunque altra che mai potesse insorgere nei suoi Regni di Napoli e di Sicilia e nel Ducato di Milano. Mandò parimente a' medesimi ampia proccura a questo fine, ed insieme le istruzioni della maniera di doversi portare nel trattarle: dando di tutto ciò avviso al Vicerè Granvela per sua norma.

Quindi nacque il costume di mandarsi in Roma Ministri del Re per trattare di questi affari: Missioni per altro fin dal loro cominciamento sempre inutili: il Marchese de las Navas, ed il Consigliere di Vera inutilmente s'affaticarono. Ma non perciò s'interruppe questo cominciato stile: morto il Marchese, fu nel 1578 mandato in Roma in suo luogo D. Alvaro Borgia Marchese d'Alcanizes, al quale il Re parimente mandò proccura di trattare insieme coll'Ambasciadore Zunica e Consigliere Vera questi negozj, dandogli la medesima potestà, che teneva il Marchese de las Navas colle medesime istruzioni. Anzi avendo il Governadore di Milano mantenuto il medesimo istituto di mandare da quello Stato una persona per quelli affari in Roma, il Re Filippo II scrisse nel 1579 al Marchese di Mondejar nostro Vicerè, dicendogli che per lettera del Commendator Maggiore suo Ambasciadore in Roma, e del Marchese di Alcanizes avea inteso, che conveniva molto per la buona intelligenza della materia di Giurisdizione Secolare ed Ecclesiastica del Regno tenere in Roma una persona tanto pratica ed intelligente, com'era il Dottor Giacomo Ricardi, che dimorava in Roma mandato da Milano dal Marchese de Aymonte Governadore di quello Stato; che per ciò gli ordinava, che da Napoli si mandasse in Roma una persona, ancorchè fosse Reggente di Cancelleria e particolarmente il Reggente Salernitano, come più intelligente in detti negozj, o pure dal Consiglio di Capuana, o dalla Camera della Summaria, ovvero d'altro qualsivoglia, che sia dimandato dal detto Ambasciadore e Marchese: e che subito l'invii in Roma, acciò col lume, che darà, si possa procedere in detti negozj310.

Così ne' tempi meno a noi lontani, leggiamo, che per le controversie giurisdizionali insorte tra il Vescovo di Gravina, e l'Arciprete d'Altamura, fu dal Cardinal Zapata mandato in Roma il Consigliere Giovan-Battista Migliore per comporle e terminarle. E ne' tempi de' nostri Avoli, per le nuove contese insorte per la Bolla di Gregorio XIV, fu in Roma mandato il Consigliere Antonio di Gaeta; missione per altro vana ed inutile; ed a' dì nostri successivamente il Consigliere Falletti; il Fiscale di Camera Mazzaccara; ed ultimamente il Consigliere Lucini. Le missioni dei quali avrebbero potuto a bastanza far avvertito il Re che è tutta spesa perduta per questa via sperare una cotal composizione e fine di queste differenze giurisdizionali. Le maniere più proprie ed efficaci, quando voglia seguitarsi lo stile degli Spagnuoli, di saldar queste piaghe, non già all'uso di Francia, ma con empiastri ed unguenti, sarebbero quelle che ci vengono additate da' più saggi e prudenti Giureconsulti insieme e Teologi, cioè di deputare vicendevolmente personaggi d'alto affare, a' quali, come Compromissori, si commettesse la composizione di quelle, ed alla loro determinazione di doversi ciecamente ubbidire: questo modo, che sovente vien praticato nel Contado di Barcellona, dice Jacopo Menochio, celebre Giureconsulto di Pavia nel suo trattato De Jurisdictione, essere stato sempre da lui riputato il più acconcio in Italia, per terminare affatto queste contese; i Romani, che dovrebbero più d'ogni altro desiderarlo, han mostrato sempre di abborrirlo, perchè sanno, che con tenerle sospese ed indecise, per la loro vigilanza e desterità, il tempo porterà congiunture tali, delle quali sapranno ben valersene, e ricavarne profitto.

CAPITOLO XI
Morte del Duca d'Alcalà: sue virtù, e sue savie leggi che ci lasciò

Questo savio Ministro, ne' dodici anni del suo governo, ebbe a sostenere non meno queste fastidiose contese colla Corte di Roma, che a star vigilante per timore d'una guerra crudele e spietata, la qual fu quella che il Turco minacciava nelle nostre contrade. La fama degli estraordinari apparecchi, che spesso si sentivano farsi dagli Ottomani in Levante, lo tenne in continue sollecitudini e timori. La guerra intrapresa nel 1565 per la conquista di Malta, dava da pensare ugualmente al Regno di Sicilia, che a quello di Napoli: bisognò per tanto, ch'egli munisse le città marittime con validi presidj; ed essendo il Regno quasi che tutto circondato dal mare, le provvidenze in molte città doveano perciò essere maggiori e più dispendiose.

Ma non perchè finalmente si vedesse Malta libera da questi mali, cessarono in noi li timori; poichè nell'anno seguente usciti i Turchi da Costantinopoli con potentissima armata, dopo avere conquistata l'Isola di Scio, posseduta 300 anni da' Genovesi, s'inoltrarono nell'Adriatico; e non essendo loro riuscito di sorprendere Pescara, devastarono quelle riviere, saccheggiando tutte quelle Terre poste a' liti del mare, dove fecero un grosso bottino di gente e di roba, e tornarono poi in Levante. Ma nel 1570 posti di nuovo in mare, spaventarono nuovamente Italia; onde il Duca avendo muniti i luoghi sospetti, fece venire tremila Tedeschi per difesa del Regno: il turbine però venne a piombare sopra i Veneziani, che si videro inaspettatamente assaltare l'importante Isola di Cipri, al cui soccorso andò Giannandrea Doria con cinquanta Galee, fra le quali ve n'eran ventitrè della squadra di Napoli, con tremila soldati comandati dal Marchese di Torre Maggiore, e moltissimi Cavalieri napoletani.

Questi continui timori di guerra, che sono peggiori della guerra istessa, e più l'altra di Religione, che tuttavia ardeva in Fiandra, posero, per le continue ed immense spese, in necessità il Re Filippo II di premere alquanto il Regno con frequenti contribuzioni e donativi. Ma l'accortezza del Duca, che maneggiava co' Baroni quest'affare con molta soavità e destrezza, e l'amore, che avea a se tirato di tutti gli Ordini, particolarmente de' Nobili, tanto che invitato a farsi lor Cittadino, lo aggregarono nella Piazza di Montagna, fu tale che nello spazio di soli sei anni, facendo secondo il costume convocar a questo fine in S. Lorenzo Generali Parlamenti, ne trasse dalla Città e Regno profusi donativi. Nel 1564, presedendo come Sindico Cola Francesco di Costanzo di Portanova, si fece dono al Re d'un milione di ducati. Nel 1566 gli si donarono un milione e ducentomila ducati, essendo Sindico Fabio Rosso di Montagna. Nel 1568, nel qual anno fu creato Sindico Gianvincenzo Macedonio di Porto, si fece donativo d'altrettanta somma; e nel 1570, essendo Sindico Paolo Poderico, se ne fece un altro d'un milione; e per occasione di questi donativi leggiamo noi nel volume delle Grazie e Capitoli della Città e Regno di Napoli, moltissimi Privilegi e Grazie profusamente concedute alla medesima dal Re Filippo II, particolarmente quando reggeva il Regno, come Vicerè, il Duca d'Alcalà.

Ma ecco finalmente, che questo incomparabile Vicerè bisognò cedere al fato: le continue applicazioni e le tante cure moleste e fastidiose gli avean fatta perdere la salute: più volte avea supplicato il Re, che per ristabilirsi gli desse licenza di poter tornare in Ispagna, suo suolo nativo; ed il Re finalmente aveacelo accordato; ma come si è veduto, per l'impertinenti pretensioni della Corte di Roma, fu obbligato il Re a rivocar la licenza, e comandargli che non partisse, anzi nel caso si trovasse partito, ritornasse per resisterle. Così egli debole ed infermiccio proccurava sovente con dimorare nella Torre del Greco, nel qual luogo per ciò leggiamo la data d'alcune Prammatiche, col beneficio dell'aria ristabilirsi, ma sopraggiunto nella Primavera di quest'anno 1571 da un fiero catarro, a cui essendosi accoppiata una mortal febbre, gli tolse finalmente la vita a' due d'aprile, nel sessagesimoterzo anno dell'età sua, e dodicesimo del Viceregnato di Napoli. Il suo prudente Governo era da tutti i popoli commendato, e perciò la di lui morte fu da ciascuno amaramente compianta; facendosi allora giudicio, che di Spagna non ne avesse a venire nel Regno niun simile a lui; poichè veramente dalla morte di D. Pietro di Toledo, Napoli non conobbe miglior Ministro di questo. Fu il suo cadavere con onoratissime esequie sepolto nella Chiesa della Croce di Palazzo, donde poi fu trasferito in Ispagna.

Le virtù che adornarono il suo spirito, furono veramente ammirabili. Fu celebre in lui la pietà Cristiana sopra ogni altra virtù: egli adoratore dell'Augustissimo Sagramento dell'Altare, non solamente quando si portava per le piazze agl'infermi, facevalo accompagnare con torchi accesi da tutti i Paggi della sua Corte, ma sovente incontrandovisi egli, calava dal cocchio e l'accompagnava a piedi: compassionevole e pien di carità per li poveri e per gli afflitti, mandava spesso un suo Gentiluomo di confidenza a visitar la casa di quell'infermo, ove portavasi il Viatico, affinchè vi lasciasse buona limosina, se vi conoscesse bisogno. Per la penuria de' tempi ridotti i poveri in estremo bisogno, egli agevolò alla città quella pietosa opera d'aprire l'Ospedale di S. Gennaro fuor delle mura, ove provvide di cibo a più di mille mendichi, ed aggiunse ancora dalla sua borsa molte centinaja di scudi, che servirono per mantenimento de' poveri vergognosi. Per evitare il traffico indegno che facevano le pubbliche meretrici della verginità delle loro figliuole, promosse nel 1564 quell'altra opera degna della sua pietà, che fu la fondazione della Chiesa e Conservatorio dello Spirito Santo, dove le Donzelle, rubate all'ingordigia delle madri, se vogliono rimanervi, sono comodamente nudrite, e volendosi maritare è loro somministrata conveniente dote. Rilusse ancora la pietà di questo Ministro assai più nelle brighe, ch'ebbe a sostenere con gli Ecclesiastici, dove, ancorchè fosse da questi con modi imperiosi ed impertinenti posto in pericolo di perder ogni pazienza, egli però nell'istesso tempo, che sosteneva con vigore e fortezza le ragioni e preminenze del suo Re, usò con li medesimi ogni moderazione e rispetto, e colla Sede Appostolica tutta la divozione ed osservanza.

La prudenza civile fu in lui mirabile, e sopra tutto la cura ed il pensiero ch'ebbe per la conservazione e maggior comodità e sicurezza dello Stato fu assai commendabile: egli con forti presidj munì tutte le città del Regno esposte all'insidie de' nostri implacabili nemici. Per maggior comodità e sicurezza del commercio aprì nel Regno più regie strade, e fece costruire nuovi e magnifici ponti. A lui dobbiamo la via, che da Napoli ci conduce insino a Reggio. L'altra, che ci mena in Puglia, nel Sannio e ne' confini del Regno; e quell'altra magnifica da Napoli a Pozzuoli. A lui dobbiamo i famosi Ponti della Cava, della Dovia, di Fusaro e del fiume Cranio, ovvero Lagno, chiamato comunemente Ponte a Selce, tra le città d'Aversa e Capua; il Ponte di Rialto a Castiglione di Gaeta; il Ponte di S. Andrea nel Territorio di Fondi; e tanti altri, di cui favellano le iscrizioni di tanti marmi, che risplendenti del suo nome, si osservano in varie parti del Regno. A lui finalmente dobbiamo l'avere, su la via di Roma in Portella, con termini ragguardevoli e marmorej, e con iscrizioni scolpite su' marmi, distinti e separati i confini del Regno collo Stato della Chiesa di Roma, perchè nella posterità non vi fosse, come fu già, occasione di contrasti e di litigj.

Alla sua magnificenza non meno, che alla sua vigilanza dobbiamo non pure tutto ciò, ma che nelle congiunture presentateglisi mentre presideva al nostro Governo, abbia fatto rilucere l'animo suo regale e veramente magnifico. La crudele, e da non raccontarsi, morte accaduta in Ispagna all'infelice Principe Carlo a' 24 luglio nel 1568 proccurossi con lugubri apparati e pompose esequie renderla men dura. In Ispagna ne furono celebrate superbissime, ed in Napoli il Duca d'Alcalà, ricevutone l'avviso, nel mese di settembre del medesimo anno, ne fece celebrare parimente altre non inferiori: con grande magnificenza fece innalzar gli apparati ed i mausolei nella Chiesa della Croce presso il regal Palazzo, dov'egli intervenne con la maggior parte della nobiltà e del popolo a compiangere la disgrazia di quel Principe. Non molto da poi infermatasi la Regina Isabella moglie del Re Filippo d'una febbre lenta, giunta all'età di 22 anni, e gravida di cinque mesi rese finalmente lo spirito a Madrid in ottobre del medesimo anno 1568, e fu sepolta nell'Escuriale. Il Duca d'Alcalà, avutone avviso, fece in novembre celebrare alla medesima, coll'istessa magnificenza e pompa, esequie uguali nella stessa Chiesa. E due anni dopo la costei morte, avendo il Re Filippo tolta la quarta moglie, che fu Anna d'Austria primogenita dell'Imperador Massimiliano e di Maria sua sorella, su l'avviso d'esser arrivata la Sposa in Ispagna, il Duca d'Alcalà fece celebrare in Napoli, a maggio di quell'anno 1570, solenni e magnifiche feste con pubbliche illuminazioni per tre sere continue, e con pomposi apparati. Alla sua magnificenza pur deve Napoli quell'ampio stradone, che dalla Porta Capuana conduce a Poggio Reale. Egli aprì ancora nella punta del Molo quella già bellissima fontana ornata di bianchi marmi, con quattro statue rappresentanti i quattro fiumi del Mondo, e che dicevansi volgarmente i quattro del Molo. Ed egli parimente fu quegli, che diede principio a quelle due amene e regie strade, che portano dal Ponte della Maddalena a Salerno, e dalla Porta Capuana alla volta di Capua.

Della sua giustizia abbiamo perenni monumenti nelle tante Prammatiche, che ci lasciò. Fra tutti i Vicerè che governarono il Regno, egli fu, che sopra gli altri empisse il Regno di più leggi, contandosene sino a cento. I tanti avvenimenti e strani successi accaduti al suo tempo, la corruzione del secolo, e la perduta disciplina, l'obbligarono per questa via, nel miglior modo che si potè, a riparare la dissolutezza e pravità degli uomini.

Dal 1559 primo anno del suo governo, insino a marzo del 1571, l'anno della sua morte, ne stabilì moltissime tutte sagge e prudenti, ed infra l'altre cose ripresse per quelle la rapacità de' Curiali, tassando i loro diritti: invigilò perchè la buona fede fosse tra gli artigiani, ne' traffichi, e ne' lavori di mano: fu vigilantissimo sopra l'onestà delle donne, proibendo severamente le scale notturne, imponendo pena di morte naturale a coloro, che per forza baciassero le donne, anche sotto pretesto di matrimonio: sterminò i fuorusciti: vendicò con severe pene di morte naturale i falsificatori di moneta: riordinò il Tribunal della Vicaria, ed egli fu, che impose agli Arcivescovi e Vescovi del Regno, che ordinassero a tutti i Parrocchiani e Beneficiati, che hanno cura d'anime, che dovessero formare un libro, dove giorno per giorno notassero tutti i battezzati, per sapersi la loro età e per buon governo anche dello Stato. Egli ancora riordinò le Province del Regno, e comandò, che in quelle si formassero pubblici Archivj, e diede altri provvedimenti per la politia del Regno, degni della sua saviezza e prudenza civile, contenuti nelle nostre Prammatiche, li quali per non tesserne qui lungo catalogo, possono secondo l'ordine de' tempi, ne' quali furono stabiliti, osservarsi nella Cronologia prefissa al primo tomo di quelle, secondo l'ultima edizione del 1715.

FINE DEL LIBRO TRENTESIMOTERZO
306.Chiocc. De Legat. t. 14 M. S. Giur.
307.Thuan. l. 49 Hist. p. 1001.
308.Thuan l. 50 Hist. p. 1031.
309.Thuan. l. 50.
310.Tutti questi atti e scritture si leggono in Chiocc. De Legat. t. 14.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
520 s. 1 illüstrasyon
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