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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 25

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Fu veramente cosa degna da notarsi, che avendo già il Re Filippo deliberato questa guerra ed apparecchiati già i suoi eserciti per l'impresa, ed il Duca d'Alba giunto col suo esercito in Portogallo a' 21 giugno di quest'anno 1580, nell'istesso tempo ch'era arrivata l'armata di mare, pensasse ancora, come se vi fosse luogo a pentirsene e ritrattare passi cotanto avanzati, di far esaminare da alcuni Teologi, se con sicura coscienza erasi egli mosso a questa impresa. Narra il Presidente Tuano334, che ciò faceva, per potere in questa guisa togliere i sinistri rumori, che si erano sparsi in Portogallo ed in Italia della poca sua giustizia, e molto più del modo, che e' teneva d'invadere quel Regno. Il Papa lo sollecitava ancora, che senza tanto dispendio de' suoi Regni, e spargimento di sangue, doveasi quella controversia commettere all'arbitrio della sua Sede: gli Ordini di quel Regno al lamentavano, che la lor ragione veniva oppressa dalla forza, e che trovandosi obbligati con giuramento di ubbidire a quel Re, che dichiarasse l'Assemblea de' Giudici istituita in vita del Re Errico, e che avea ancora autorità di farlo dopo la sua morte, non essendo tal dichiarazione per anche fatta, non potevano riconoscere Filippo per loro legittimo Signore. Per queste cagioni, non tralasciandosi intanto il proseguimento della guerra, propose il Re Filippo sotto l'esame de' Teologi Complutensi, de' PP. Gesuiti e Francescani, (nell'istessa guisa appunto che fece, quando ebbe a trattar per lo Regno nostro di Napoli con Paolo IV) che lo consigliassero per quiete della sua coscienza sopra questi punti.

Se stando egli certo della sua giusta ragione, che teneva in succedere in quel Regno a lui devoluto per la morte del Re Errico, fosse obbligato in coscienza sottomettersi ad alcun Tribunale, il quale gli aggiudicasse il Regno, e lo mettesse nella possessione di quello.

Se ricusando il Regno di Portogallo accettarlo per Re, prima che fossero discusse da' Giudici designati le ragioni de' Competitori e sue, potesse egli di propria autorità prendere la possessione del Regno, e contra i renitenti impugnar le sue armi.

Se allegando i Governadori e tutti gli Ordini di Portogallo il giuramento dato, e per ciò esser loro proibito di riconoscere alcun per Re, se non quello che tale sarà da quell'Assemblea dichiarato, dovea questa riputarsi scusa legittima.

I Gesuiti, siccome tutti gli altri Teologi, risposero appunto secondo era il desiderio del Re. Intorno al primo punto dissero, che non era egli tenuto, per niun vincolo di coscienza, sottomettersi in questa causa alla giurisdizione o arbitrio altrui: che poteva di propria autorità aggiudicare a sè il Regno, e prenderne la possessione: non potervi avere in ciò il Papa alcuna parte, poichè si trattava di cosa puramente temporale, niente avendo con seco mistura di spirituale, che dovesse perciò richiedersi l'autorità e giudizio del Foro Ecclesiastico. Molto meno potevano in ciò impacciarsi gli Ordini di Portogallo, tal che si dovesse aspettare il loro giudizio; poichè eletti una volta i Re, in essi e ne' loro successori fu trasferita ogni ragione, in guisa che appresso quelli risiede ogni giurisdizione, nè possono essere giudicati da altri; sempre dunque che costi Filippo essere il vero e legittimo erede a niuna giurisdizione d'altro Tribunale, fuor che al proprio, dover lui soggiacere.

In quanto al secondo, non avere i Giudici delegati niuna autorità di conoscere questa causa, essendo per la morte del Re Errico estinta ogni loro giurisdizione, non potendosi prorogare la giurisdizione de' Re dopo la di loro morte, onde poteva servirsi di sua ragione con aggiudicarsi il Regno, e per propria autorità prenderne la possessione.

Finalmente, al terzo capo risposero, non essere i Portughesi tenuti osservare il giuramento dato, nè poter loro ciò esser di legittima scusa a non ricevere Filippo per loro Re: poichè non avendo egli alcuno, che costituito in maggior dignità e potestà, potesse conoscere questa causa e giudicarla, doveano ubbidire a lui come a vero e legittimo erede.

Avuta ch'ebbe Filippo questa Censura de' Teologi, la fece pubblicare ed ancorchè fidasse più nelle sue armi, la fece spargere per tutto, per cancellare quei sinistri rumori disseminati da' suoi emuli; e nell'istesso tempo essendosi unito il Duca d'Alba, che comandava l'esercito terrestre, col Marchese di S. Croce Generale dell'armata di mare, fu invaso il Regno, e dopo vari avvenimenti, cotanto bene descritti dal Tuano335, e da altri, che non fa d'uopo qui rapportare, avendo il Prior di Crato, che più di tutti gli altri competitori gli fece resistenza, ricevuta una strana rotta dal Duca d'Alba, Lisbona capo del Regno pervenne in mano del Re, siccome gran parte di quelle province che lo compongono.

Toccò al nostro Vicerè Zunica, avutosi a' 9 novembre di quest'anno 1580 in Napoli il certo avviso di questa vittoria, e della resa di quella città, di celebrar pomposamente per tre dì le feste, e per tre sere le illuminazioni: ed ancorchè Antonio (favorito dagli Inglesi e da' Franzesi) scacciato alla perfine dal Regno, si fortificasse nell'Isole Terzere, donde lusingavasi non solo di poter interrompere il commercio dell'Indie, ma coll'aiuto di quelle nazioni, ingelosite di tanto ingrandimento, di potere un dì pervenire a quella Corona, riuscirono però vani i suoi disegni, poichè speditovi dal Re Filippo il Marchese di S. Croce con la sua armata per debellarlo, incontrandosi con quella del competitore tra l'Isola Terzera e l'altra di S. Michele, la ruppe e dissipò in maniera, che costrinse Antonio a fuggire, e per asilo a ricovrarsi in Inghilterra. In cotal guisa alla Corona di Spagna fu aggiunto il Regno di Portogallo, dalla quale poi nel Regno di Filippo IV l'abbiam veduto un'altra volta diviso, e ricaduto sotto i propri Re come prima, che ancora vi regnano.

Ma non dobbiamo qui tralasciare, seguitando questo soggetto, la impostura e la favola, ch'ebbe per teatro Napoli del finto Re Sebastiano. Altra consimile erasene pochi anni prima tessuta in Inghilterra sotto la persona di Perino finto Re di quell'isola, di cui a lungo ragiona Bacon di Verulamio336. Il Re Sebastiano giovane, e pien d'alto valore ed ardire, avendo nella battaglia d'Argilla, dato l'ultime pruove della sua intrepidezza, abbandonato da' suoi, fu infelicemente fatto prigioniere da alcuni Mori, i quali contendendo insieme per una sì cara preda e cotanto preziosa, vennero infra di loro all'armi, non senza loro strage ed uccisione337. Vi accorse il Capitano, ma inutilmente per quietarli; onde con barbarie inaudita, per togliere l'occasione della rissa, diede al Re cattivo un colpo di spada in testa, e replicando i colpi lo lasciò morto in terra: il suo cadavere fra' Mori tumultuanti, e per quella rissa disordinati, non fu più riconosciuto; onde cercandolo i suoi, ancorchè non lo trovasser più, erano lusingati, che non fosse in quella battaglia morto: surse perciò incerta e dubbia voce di suo scampo, e tanto bastò per dar fondamento all'impostura; poichè scorsi venti e più anni, quando non così esattamente potevansi ravvisare le sembianze, surse un Calabrese chiamato M. Tullio Cotizone, il quale spacciavasi per Sebastiano Re di Portogallo: ridevasi della comune credenza di riputarlo morto in quella battaglia, e del loro errore; essere egli scappato dalle mani de' Mori, quando essi rissando contendevano insieme della preda. Gli emuli degli Spagnuoli davano fomento alla favola, onde fu sparsa voce, il Re Sebastiano esser vivo, ed incognito scorrere le province d'Italia. Furono posti aguati, e fatte gran diligenze per arrestarlo, siccome fortunatamente avvenne, che preso il Calabrese fu condotto in Venezia: da poi in grazia degli Spagnuoli cacciato dallo Stato di quella Repubblica, capitò travestito in Fiorenza, dove da quel Duca fu fatto arrestare e condurre prigione in Napoli, in tempo, che governava il Regno il primo Conte di Lemos338. Si fece diligente inquisizione per appurare il fatto e fabbricatosene processo, fu destinato Giudice Delegato di questa causa il famoso Reggente Gianfrancesco de Ponte. Narra questo Scrittore339, che compilato il processo fu scoverta l'impostura; poichè restò convinto per la deposizione della propria moglie e de' suoi congiunti, ch'egli teneva in Calabria, che lo riconobbero; ond'egli poi colla sua propria bocca spontaneamente confessò tutta la favola. Erasi deliberato di farlo morire sulle forche; ma datosene, prima di ciò eseguire, la notizia in Ispagna al Re Filippo III, con prudente consiglio fu riputato di non farlo morire, ma affinchè la falsità fosse da tutti conosciuta, e si abolisse dalle menti degli uomini questo sospetto e varietà d'opinioni, comandò il Re, che si condannasse a remare nelle Galee di Spagna, affinchè ivi e per ogni luogo fosse da tutti veduto, siccome fu eseguito; ed in cotal guisa sparve la larva e finì la favola.

(Giuseppe Ebreo340 narra un simil fatto accaduto ad un tal Alessandro, il quale voleva esser creduto per figliuol di Erode M. ma scoverta l'impostura da Ottaviano Cesare fu pure condannato a remare).

§. II. Emendazione del Calendario Romano

Merita, che fra le cose memorande accadute nel governo del Principe di Pietrapersia non si tralasci questa emendazione, che rese l'anno 1582 per tutti i secoli memorabile; tanto più che non meno negli altri Regni della Cristianità, che nel nostro, prima di riceversi, fu quella appo noi ben esaminata e discussa.

L'anno antico de' Romani, non già di diece mesi, come vollero Giunio Gracco, Fulvio Varrone, Ovidio e Suetonio, ma di dodici si componeva, siccome per sentenza di Licinio Macro, e di L. Fenestella scrisse Censorino, de' quali il primo era il mese di marzo, e l'ultimo quello di febbrajo.

I mesi di marzo, maggio, luglio ed ottobre erano ciascuno di 31 giorni: gli altri erano di 29 eccetto febbrajo, il qual solamente si componeva di 28 giorni, di maniera che l'antico anno de' Romani era di giorni 355, e mancava dall'anno degli Egizj di diece giorni, onde fu bisogno dell'intercalare, la qual intercalazione si faceva in ciascun biennio nella maniera, che viene rapportata dal Presidente Tuano341. Ma riuscendo questa intercalazione viziosa, si diede ansa ai Sacerdoti, li quali si presero questa briga d'emendar i tempi, di regolare a lor modo il corso dell'anno, mettendovi, per supplire, il mese intercalare, ch'essi chiamavano Mercedonio, di cui ne facevano autore Numa Pompilio. Ma siccome fece veder Plutarco nella di lui vita, questo aiuto era assai debole per emendar quegli errori e confusioni, che ne nascevano ne' mesi dell'anno: onde i sacrificj e le ferie trascorrendo a poco a poco cadevano, come dice Plutarco nella vita di Cesare, nelle parti contrarie dell'anno: li Sacerdoti per ciò (essendosi quest'affare ridotto al lor arbitrio) come a lor piaceva, e sovente per odio de' Magistrati, ora tardi, ora presto intercalavano. Pertanto Giulio Cesare s'accinse a far egli una più esatta Emendazione dell'anno; ed avendo, mentr'era in Alessandria342 preso il parere da que' valenti Matematici, e consultato l'affare con altri Filosofi, con più emendata diligenza notando i Segni celesti, promulgò per mezzo d'un suo editto una nuova Emendazione, e mostrò la propria via, la quale attesta Plutarco, che insino a' dì suoi usavano i Romani.

(La Scuola d'Alessandria fiorì sempre di valenti Astronomi, tal che i Vescovi di Roma per non fallire il dì della celebrazione della Pasqua, secondo il prescritto del Concilio Niceno, solevano ogni anno consultarsi col Vescovo d'Alessandria per sapere il giusto equinozio di Primavera prossimo al plenilunio di che fra gli altri è da vedersi Francesco Balduino343).

Bacon di Verulamio344 non tralasciò di commendare la suddetta sua Emendazione, chiamandola un perpetuo documento, non meno del suo sapere, che della sua potenza, e che debbia attribuirsi alla sua gloria d'aver conosciuto non meno in Cielo le leggi delle Stelle, che d'averle date in terra agli uomini per governarli. Ma non mancaron degl'invidiosi, che, come dice Plutarco, non biasimassero tal emendazione; e Cicerone, essendogli da taluno stato detto, che la Libbra nasceva l'altro giorno, gli rispose, sì secondo il Bando; quasi che questo ancora si dovesse ricevere da Cesare ed accettare dalle persone.

Ma in decorso di tempo l'editto di Cesare mal interpretato da' Sacerdoti, non fu riputato sufficiente, e la sua emendazione ebbe bisogno poi d'altra ammenda; onde Claudio Tolomeo, che fiorì intorno a 180 anni dopo Cesare, considerando la gran varietà de' pareri in determinare l'anno naturale, ne descrisse un'altra, tanto che variando dalle prime, ne nacque un grande turbamento ed una grande confusione.

Nell'Imperio di Costantino Magno i Padri del Concilio di Nicea, volendo stabilire il giorno di Pasqua, ne statuirono un'altra, dal qual tempo seguì di nuovo una gran confusione negli Equinozj. Da poi Dionigi il Piccolo intorno l'anno 526, avanzandosi sempre più il disordine, cercò con nuova computazione darci rimedio, ma quello fu per pochi anni, onde si tornò a' disordini di prima.

(Il Panzirolo345 scrive, che l'Imperador Andronico Paleologo pensò pure ad una nuova emendazione, ma si sgomentò a porci mano, così per le guerre che gliel'impedirono, come perchè dubitava non fosse stata dagli altri Principi ricevuta: Id antea, e' dice, Andronicus Paleologus Imperator facere cogitavit, sed pluribus bellis impeditus, et quia alios Principes novo anno non assensuros dubitavit, a negotio destitit. Niceph. Gregor. Lib. 8 de Paschatis correctione).

Riputando pertanto i Pontefici romani, dover essere della loro incombenza di rimediarvi, furono per ciò solleciti, per prevenire anche gli altri Principi e l'Imperadore, di fare una nuova Emendazione: e cento anni prima, il Pontefice Innocenzio VIII fece venire in Roma Giovanni Regimontano celebre Matematico di que' tempi, perchè correggesse gli errori del Calendario; ma fu fama, che i figliuoli di Giorgio Trapezunzio, i quali non potevano sofferire che un Germano fosse a' Greci anteposto, l'avessero fatto avvelenare: per la qual cosa non potè soddisfare al desiderio del Papa. Con tal occasione scrissero a quei tempi del giusto computo dell'anno Pietro Alliacense Vescovo di Cambray e poi Cardinale, il Cardinal Cusano, e poco da poi Roberto Lincolniense e Paolo Midelburgense Vescovo di Fossombrone, il quale sopra ciò compose un gran volume, che lo dedicò a Massimiliano I Imperadore.

Essendosi da poi aperto il Concilio in Trento, credendosi, che que' Padri, ad esempio di ciò, che si fece nel Concilio Niceno, volessero stabilire questa Emendazione, s'affaticarono i primi ingegni d'Europa intorno a questo soggetto, e fra gli altri Giovanni Gennesio Sepulveda Cordovese, Gioan-Francesco Spinola Milanese, Benedetto Majorino, il famoso Luca Gaurico familiare di Paolo III, e Pietro Pitato Veronese, il quale con un particolar suo libro refutò la sentenza del Gaurico. Ma il Concilio, essendosi terminato con molta fretta, non potè occuparsi ad una cotanto intricata materia, che per diffinirla richiedeva molto tempo.

Pertanto Gregorio XIII dubitando di non esser prevenuto dagl'Imperadori di Germania, come affare appartenente alla ragion dell'Imperio, si pose con molta sollecitudine ad affrettar questa Emendazione, e per ciò mandò per tutte l'Accademie d'Italia, e scrisse al Senato Veneto acciò che da' Matematici e Filosofi di Padova ricercasse il lor parere intorno a questa correzione. Fu dato prima il pensiero a Giuseppe Molettio Messinese, il quale due anni prima di quest'Emendazione diede fuori le Tavole Gregoriane. Ma ricercato ancora il celebre Niccolò Copernico, famoso Astronomo di que' tempi, del suo giudizio, insorsero vari pareri, ed essendo ancora venuto in campo Sperone Speroni, s'accesero fra costoro le contese. Matteo Magino vi ebbe ancora la sua parte, e Giuntino ricercato dal Pontefice, s'uniformò all'opinione di coloro, che volevano che diece giorni si scemassero dell'anno: ma Alberto Leonio d'Utrecht, avendo perciò composto un libro, provò, che se ne dovevano scemare undici: il Duca Francesco Maria d'Urbino in grazia del Pontefice ricercò ancora del suo parere Vido Ubaldo peritissimo di questa scienza, il quale lo diede, uniformandosi però alla correzione fatta da' Padri nel Concilio Niceno. Scrissene eziandio Gregorio al Re di Francia, il quale ne diede il pensiero a Francesco Foix Candale, famoso Astronomo, che parimente diede fuori sopra ciò il suo giudizio.

Papa Gregorio intanto, perchè non si lasciasse perdere sì opportuna occasione d'ingrandire l'autorità della sua Sede, richiedeva sì bene di ciò gli altri Principi, ma voleva, che dapoi si dovesse stare a quel che egli sopra ciò stabiliva; onde esaminati tutti i pareri, finalmente per suggestione d'Antonio Lilio celebre Medico di que' tempi, s'appigliò all'emendazione di Luigi Lilio suo fratello, la qual in breve conteneva, che dovessero dell'anno scemarsi diece giorni, che per difetto d'intercalazione si trovavano soverchi, e si prescriveva il modo, sicchè tal difetto non accadesse per l'avvenire. Questa correzione in un picciol volume compresa, dopo avutane l'approvazione di Vincenzo Laureo Vescovo di Monreale, il giudicio del quale sopra queste cose egli stimava tanto, la mandò a tutti i Principi Cristiani ed alle più famose e celebri Accademie d'Europa.

Ma ebbe quest'emendazione del Lilio forti oppositori, fra gli altri Giuseppe Scaligero gran Letterato di que' tempi, il quale in quella sua maravigliosa opera De emendatione temporum, scovrì gli abbagli da colui presi. Impugnò parimente il computo Liliano Michele Mestino Professore nell'Accademia di Tubingen con grandi Commentarj. Ma contra costoro in difesa del Lilio sursero Cristoforo Clavio Gesuita, celebre Professore in Roma, ed Ugolino Martello Vescovo di Glandeves.

Pubblicata ch'ebbe Gregorio questa sua Emendazione, perchè fosse ricevuta da tutti i Principi Cattolici e sopra ogni altro dall'Imperadore e da' Principi d'Alemagna, spedì a Cesare il Cardinal Lodovico Madruccio Vescovo di Trento; ma essendosi nella Dieta d'Augusta proposto quest'affare, dai Principi quivi assembrati fu riputato un grande attentato del Pontefice d'aver posto a ciò mano, e di grande oltraggio all'autorità di Cesare e dell'Imperio, nè doversi permettere la pubblicazione del nuovo Calendario in Germania. Appartenere ciò agl'Imperadori di farlo, siccome fece Giulio Cesare, e da poi nell'Imperio d'Occidente Carlo Magno, il qual diede egli a' suoi Germani il Calendario in lingua Tedesca. Ciò che fecero i Padri nel Concilio Niceno, fu per autorità di Costantino Magno Imperadore, per comando del quale s'era convocato quel Concilio: doversi pertanto rifiutare il nuovo Calendario, tanto maggiormente, che quello fu fatto, non ricercati i Principi dell'Imperio, nè il consenso degli Ordini. Cesare vedendo la costante risoluzione de' Principi, e delle città della Germania, che aveano ricevuta la Confessione Augustana, di non riceverlo, differì di trattar quest'affare, e comandò che ne' giudizj della Camera s'osservasse l'antica forma sin allora tenuta346.

(In Germania presso i Protestanti nella fine del secolo XVII si fece una nuova emendazione del Calendario, togliendone dall'anno 1700 undici giorni, la quale è ancora in uso presso i medesimi, la di cui istoria meglio sarà, che qui si noti colle parole istesse di Burcardo Struvio347. Ad finem properabat seculum decimum septimum, dum fasti Mathematicorum consilio varie emendarentur. Erhardus Weigelius, nostrae olim Academiae fidus, in diversis non sulum Protestantium aulis, Suecia potissimum, et Danica, sed etiam in Comitiis Ratisbonensibus, IV. Octobris St. v. 1699 Calendarii emendationem proponebat, modo simul exhibito, qua ratione fieri possit. Agebatur de hoc negotio in Corpore Evangelicorum, consultabantur alii Mathematici, horumque rationibus auditis, XXIII septembris 1699, conclusum Corporis Evangelicorum fuit factum, ut undecim dies post XVIII, februarium St. v. sequentes, ex anno 1700 ejicerentur, celebratio Paschatos, neque juxta Cjclum Dionysianum in Juliano Calendario receptum: sed secundum calculum astronomicum, uti Concilii Nicaeni tempore factum, instituatur, atque abusus Astrologiae judiciariae ex Calendariis tollantur. Mathematici de reliquis imposterum inter se conferant. Pubblicabatur ex eo novum Calendarium (der verbesserte Calender) cujus adhuc usus est apud Germanos Protestantes. Scripta huc facientia reperiuntur in Fabri Staats-Cantzley348. Facit huc etiam Jacobi Brunnemanni Dissertatio de jure undecim dierum Calendario subtractarum. Rink pag. 1350. Questo stesso Scrittore avendo fatto ristampare in Jena, nell'anno 1730, la stessa opera in due Tomi in folio, con aggiungervi alcune altre note, allungandola sino all'anno 1730, e variando in una sola parola il titolo, surrogandovi, in vece di Syntag. quella di Corpus Hist. Germ. al periodo 10 sect. 10 sect. 13 de Carolo VI § 36 Tom. 2, pag. 4101 aggiunge: De celebrando Paschate anni 1724 oriebatur controversia, an illud cum Catholicis die XVI. Aprilis secundum Cyclum Dionysianum, atque Gregorianum sit celebrandum, an vero secundum verum calculum Astronomicum, prout in Concilio Niceno sit decretum. Prolata igitur Societatis Scientiarum et variorum Mathematicorum sententia conclusum fuit in conferentia Evangelicorum d. XXX. Januarii 1724, ut non solum Calendarium emendatum in Protestantium terris conservetur, sed etiam Paschatos festum An. 1724 d. IX Aprilis secundum verum calculum Astronomicum celebretur, idemque an. 1744, 1778 et 1798, quibus annis terminus Paschatos ab illo Catholicorum differat, observandum, probcque cavendum, ne Pascha Christianorum cum Judaeorum Paschate coincidat. Extant acta apud Fabrum Tom XLI c. 10 Tom. XLII c. 10, Tom. XLIII c. 12, Tom. XLIV, c. 14 Tom. XLV, c 8, Tom. XLVI, c. 11 Tom XLVII, c. 10 Tom. XLVIII, cap. 8. Facit huc Collegae nostri honoratissimi, Jo. Bernhardi Wideburgii dissertatio, de imperfectione Calendarii Gregoriani, ejusdemque anno 1724 discrepantia a Calendario correcto Jenae 1724, 4 atque Ulrici Junii schediasma, de Paschate Protestantium An. 1724, celebrando; Lipsiae 1723,4)

In Francia per la morte del Tuano e per l'assenzia d'Achille Arleo non fu sopra ciò fatto lungo esame, ma il Re promulgò egli un Editto, che fu ubbidito dal Parlamento, col quale la nuova emendazione fu ricevuta; e scemati i diece giorni all'anno fu stabilito, che li diece di Dicembre si contassero per venti, onde in quell'anno il giorno di Natale fu celebrato a' 15 di quel mese. Parimente ad emulazione del Re di Francia, il novello Duca del Brabante Francesco, per cattivarsi la benevolenza del Pontefice, ottenne anche da' Protestanti, che fosse la sua emendazione ricevuta in Fiandra, siccome fu ricevuta in Olanda, e nella Frisia Occidentale e nell'altre province349.

In Ispagna e ne' Dominj del nostro Re Filippo II particolarmente nel Regno di Napoli, pubblicata che fu da Gregorio questa emendazione, prima che si ricevesse, fu quella esaminata e fu richiesta la permissione e 'l beneplacito del Re Filippo, siccome in tutti gli altri Regni erasi fatto, appartenendo a' Principi, per ciò che riguarda i loro Stati, regolare i giorni e per le celebrità de' loro natali, incoronazioni e per ogni altro, ma sopra tutto per le Ferie de' loro Tribunali. Il Re Filippo informato, che con accordo e partecipazione di molti Principi della Cristianità erasi fatta, questa emendazione, e che coloro l'aveano ricevuta ne' loro Dominj, così egli fece ne' suoi Regni; onde governando il nostro in questi tempi il Principe di Pietrapersia, mandò al medesimo il nuovo Calendario riformato da Gregorio, scrivendogli a' 21 agosto di quest'anno 1582, che avendo il Pontefice Gregorio con matura deliberazione e comunicazione de' Principi Cristiani, ed accordo di tutto il Sagro Collegio dei Cardinali riformato il Calendario, per ridur la Pasqua di Resurrezione ed altre Feste Mobili al giusto e vero punto della loro antica istituzione, per ciò l'ordinava che lo facesse eseguire nel Regno di Napoli ed in tutte le Chiese di quello.

Ma contenendosi in quel Calendario alcune cose pregiudiziali alle sue preminenze, scrisse nel medesimo tempo un'altra lettera a parte al suddetto Principe, avvertendogli di mirar molto bene, che se in quel che tocca alla proibizione, che s'aggiunge in quello, cioè che non lo possa imprimere altri, che Antonio Lilio, o altri di suo ordine, vi fosse cosa da notare di pregiudizio alla sua Regal Giurisdizione, o ritrovandosi altro inconveniente, o novità di considerazione, trattenga l'impressione, e ne l'informi, ed aspetti da lui nuova risposta350. In cotal maniera e con tali moderazioni fu il nuovo Calendario appo noi ricevuto ed osservato; e narra il Summonte351, che per ciò in quest'anno li 4 d'ottobre furon contati per 14 e li pagamenti di tutti gli affitti si fecero per tanto meno, quanto era la valuta di que' diece giorni. Parimente fu osservato, che conservandosi nella Chiesa di S. Gaudioso una caraffina di Sangue di S. Stefano portata in Napoli, secondo che scrive il Baronio352, da S. Gaudioso Vescovo Affricano, la quale era solita liquefarsi da se stessa il dì terzo d'Agosto secondo il Calendario antico: da poi che Gregorio fece questa emendazione non bolle il sangue, che alli 13 d'agosto, nel qual dì, secondo la nuova riforma, cade la festa di S. Stefano; onde Guglielmo Cave353 scrisse, che questa sia una pruova manifesta, che il Calendario Gregoriano sia stato ricevuto in Cielo, ancor che in Terra alcuni paesi abbiano ricusato di seguitarlo.

(Lo stesso narrasi esser accaduto nel bollimento del sangue di S. Gennaro a' 19 settembre. E Panzirolo in prova della verità dell'emendazione Gregoriana rapporta nel cap. 177 de Clar. Leg. Interp. una Istorietta che merita esser trascritta colle sue stesse parole: Haec anni emendatio divinitus est comprobata; quoddam enim Nucis genus reperitur, quod tota hieme usque ad noctem D. Joannis Baptistae foliis, ac fructibus velut arida caret; mane ultro ejus diei, more aliarum foliis, fructibusque induta reperitur. Haec post ejus anni correctionem decem diebus priusquam antea consueverat, id est eadem nocte D. Joannis quae retrocessit, et non ut antea virescere coepit.)

334.Thuan. lib 59 in fin.
335.Thuan. lib. 70 tom. 2.
336.Bacon. in Histor. Henr. VII.
337.Thuan. lib 65 t. 2 pag. 229.
338.V. Thuan. Hist. l. 126 tom. 3 p. 952.
339.Jo. Fianc. de Ponte De Potest. Pror. tit. 10 § 1 De Insigniis, et Armis.
340.Lib. 17 c. 17.
341.V. Thuan. l. 76 to. 2 p. 441.
342.Dione lib. 43.
343.Lib. 1 de Leg. Constant. M.
344.Baco de Aug. scient. l. 1.
345.De Clar. Legum Interpr. a. 177.
346.Thuan. lib. 76 p. 444.
347.Syntag. Histor. German. Dissert. 37 § 97.
348.Tom. IV pag. 144. Theatr. Europ. Tom. XV p. 691.
349.Thuan. loc. cit.
350.Chioc. M. S. Giurisd. toni. 4 De Reg. Exeq. pag. 92.
351.Summont. pag. 428 tom. 4.
352.Baron. Martyrolog. die 3 Aug.
353.Cave Hist. della Vita de' Martiri.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
520 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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