Kitabı oku: «Colomba», sayfa 5
– Io dovrei andarmene, Antonio Azar, perché tu vuoi trastullarti con me…
– Che ti salta in mente! – egli esclamò, facendo atto di trattenerla.
– No, – ella disse, sorridendo, – rimango ancora un po’, non temere, non me ne vado. Altrimenti non sarei venuta. Cosa vuoi? È il mio destino! Io so, e tu stesso me lo hai detto, che non può esserci alcun legame fra di noi, eppure io penso sempre a te, e mi basta vederti per essere contenta.
– Che mai dici Colomba? È vero, è difficile la nostra unione, perché io sono ancora troppo povero, ma chissà col tempo? Fra qualche anno?
– Né fra qualche anno né mai, lo so. Non lusingarmi, Antonio Azar, e non credere che io parli così per furberia, per strapparti cioè delle promesse, (egli infatti pensava così), ma perché ti voglio veramente bene. Io non ti chiedo nulla, – proseguì Colomba animandosi, – mi basta di vederti, esserti qualche volta vicina, sapere che tu pensi a me. Tu sei un sapiente, io sono una selvaggia ignorante: che può forse il garofano unirsi al fiore del lentischio? Tu sei il mio garofano adorato, tu sei un’aquila, tu sei una nuvola d’oro, ed io voglio morire ai tuoi piedi, Antonio Azar. Basta che i tuoi occhi di stella mi guardino, ed io sono la donna più felice del mondo…
E lo guardava estasiata, con gli occhi lucenti, tutta vibrante di passione.
Intorno, sotto la luna purissima, era un silenzio infinito, un incanto di lontananze, d’ombre, di luci, di profumi aromatici, di frescura.
– Questa è la vita, questa è la sincerità, l’amore, lo scopo dell’esistenza – pensò Antonio.
E in quel momento egli era sincero, felice. Forse risorgeva in lui qualche istinto atavico, forse era il suo amor proprio lusingato dalla cieca passione di Colomba; certo è che in quel momento egli si sentiva innamorato della fanciulla, non solo, ma gli sembrava che non avrebbe più potuto amare una donna civile come amava quella selvaggia.
Per lunga ora della notte rimasero assieme, dicendosi le cose più poetiche e figurate che due innamorati possano dirsi sotto la luna; e Colomba pareva dimentica persino del padre, dell’ovile, del luogo ove si trovava.
Ma Antonio guardava sempre intorno, a sé, allarmandosi ad ogni rumore, e fu egli ad avvertire Colomba che era tempo di separarsi.
Ella se n’andò a malincuore. Rimasto solo, Antonio parve svegliarsi da un sogno. Gli pareva di aver Colomba ancora tutta vicina, e ripeteva fra sé le parole che si erano dette; ma tutto ciò lo lasciava triste. Di nuovo un gran vuoto, una gelida visione di morte si fece intorno a lui.
Il ricordo di Maria, della strana e fine creatura che lo aveva abbandonato, risorse nella sua anima, e non più con rancore, ma con tenerezza accorata. Era come un ricordo nostalgico, d’una dolcezza inenarrabile.
Gli pareva fosse stata lei, la sottile fanciulla, a parlargli d’amore in quella pura notte di luna, nella solitudine dell’altipiano; lei, dimentica di ogni artifizio, buona, appassionata, sincera come Colomba: ed egli s’inteneriva fino alle lagrime.
L’idillio proseguì per tutto l’autunno. Antonio non era molto innamorato di Colomba, ma la cercava, s’inquietava quando non riusciva a vederla, e trovava un po’ di pace stando vicino a lei. Ed ella metteva in opera tutta la sua intelligenza selvaggia per riuscirgli gradita. Mai una parola volgare usciva dalle sua labbra: quando si recava ai convegni con lui era sempre vestita con ricercatezza, calzata bene, ben pettinata, con le mani pulitissime e i denti lucenti. Sul seno poneva mazzetti d’erbe aromatiche che la profumavano tutta, e cerchiavasi il collo con ornamenti di argento e di corallo. Il suo linguaggio amoroso era figurato e appassionato, ma traboccava di sincerità, e piaceva assai ad Antonio.
L’idillio non dispiaceva al giovine professore, ma qualche volta lo turbava.
– Che accadrà? – egli pensava. – Fra poco io devo andar via, ed ella resterà qui ad aspettarmi, a trascorrere invano la sua fanciullezza. Non è una cattiva azione la mia?
D’altronde non vedeva senza dispiacere avvicinarsi la fine della vacanze, e diceva a sé stesso:
– Io me ne andrò, e lascerò tutto ciò che è fresco, sano, sincero, per tornare nella falsità corrotta del mondo. Perché non potrei sposare Colomba e condurla con me? È la sola donna che mi ama e mi amerà sinceramente. Non è povera, non è stupida: che pretendo io? Sono un uomo stanco e finito; credo poco alla passione, alla felicità, ma forse troverei un po’ di pace stando vicino ad una persona che si incaricasse di vegliarmi come un bimbo, di pensare per me a tutte le piccole miserie della vita materiale, di non curarsi d’altro che del mio benessere. E Colomba lo farebbe con entusiasmo.
– È vero, – continuava a pensare, – in tutto questo c’entra un po’ di calcolo, ma tutto è relativo. Questo calcolo, che a Maria sarebbe parso una mostruosità, per Colomba costituisce la maggiore felicità possibile. Ella d’altronde non può neppure immaginare che la moglie possa essere altra cosa che la schiava del marito, specialmente se il marito sarò io.
A misura che ci pensava, il progetto gli sembrava sempre più naturale; però non osava neppure accennarlo a Colomba, e aspettava che l’idea maturasse bene.
Intanto s’avvicinava il giorno della partenza. L’aria s’era rinfrescata, l’autunno spandeva nuovi incanti sull’altipiano: i rovi verdi brillavano di more mature, l’erba rinasceva sotto le macchie. Anche Colomba parve assumere un nuovo aspetto; diventò più dolce, più tenera, più intelligente. Antonio non riusciva a capire come ella potesse venirgli attorno e concedergli spessi e lunghi convegni senza venir mai scoperta dai parenti.
Egli temeva sempre che l’idillio terminasse in dramma, e spesso, stando assieme con Colomba, si guardava attorno spaurito.
– Perché temi? – ella gli disse un giorno. – Se ci scoprissero sarei io sola a soffrirne!…
– Ed è questo che io non voglio.
– Che importa, Antonio Azar? Io per te vorrei essere bastonata, legata, tirata per i capelli. Ti amerei di più.
– Tu forse, – aggiunse con un sorriso un po’ amaro, – tu hai paura che se ci scoprono ti costringano a sposarmi. Non aver paura.
– Tu mi calunni – egli rispose, alquanto offeso. – L’avvenire ti dirà che tu mi calunni!
Ella lo guardò con occhi timidi, quasi spaventata da una visione che l’anima sua neppure osava sognare. E scosse il capo.
– Perché fai cenno di no? Che vuol dire? Credi dunque che io sia un vile? – diss’egli, offeso dalla diffidenza di lei.
– Non è questo, fiore mio, calmati: tu non mi comprendi. Io ti amo troppo, ed è perciò che dico no, no, no. Che farei io davanti a te? Tu sei un sapiente, io sono ignorante, e non potrei esser altro che la tua serva. Ma anche se tu mi dicessi: «Ti tratterò da pari a pari, come se tu fossi la mia prima fidanzata, non avrò vergogna di te, non sarai la mia serva, ma la mia padrona» ebbene, direi sempre no perché ti amo troppo e non voglio fare la tua infelicità.
Egli la fissava meravigliato.
– E se dunque le proponessi di esser soltanto la mia serva?… Che accadrebbe?… – pensò.