Kitabı oku: «Il processo Bartelloni», sayfa 13
XXIX
Nessuno pensava più al delitto del Vicolo della Luna.
Lucertolo sentiva che le sue scoperte non erano compiute: che mancava tuttora qualche cosa a ristabilire nella sua pienezza la scena di sangue avvenuta la notte del 14 gennaio 1831.
Appena Lina fu tornata in Firenze, il birro, sebbene essa cercasse nascondersi, l’aveva subito scovata, e se le era attaccato alle calcagna.
Lina non poteva fare un passo, senza trovarselo attorno.
Lucertolo, dopo la notte in cui aveva sorpreso la bella ragazza nel disordine, che scopriva le sue forme seducenti, aveva concepito un’idea: idea, che gli si era sempre più radicata nella mente, dacchè aveva riconosciuto essere stata una favola quella dell’amante, fuggiasco per i tetti.
L’atto disperato con cui Lina, punta dai rimorsi, che non le lasciavano tregua, non sapendo francamente risolversi a denunziare il fratello, aveva consegnato al birro la cassetta, che conteneva le prove imperfette della reità di Bobi, da Lucertolo era stato interpretato in modo ben diverso dall’intendimento ond’ella era stata mossa ad eseguirlo.
Lina, consegnando al birro la cassetta, era certa della discrezione di lui, e con quel mezzo termine credeva acquetare la propria coscienza; sebbene, quando anche Lucertolo fosse stato tentato di frugare nella cassetta, nulla vi avrebbe trovato che potesse approdare alle sue ricerche, poichè Lina aveva tagliato i pezzi del fodero del pugnale e dalla camicia l’estremità della manica insanguinata.
Sognava Lina nel consegnare la cassetta, comechè essa stessa molto non credesse al sogno, che, serbando per sè i pezzi del fodero del pugnale, il pezzo della camicia insanguinata, allorchè non potesse più tacere, e il dovere le imponesse di denunziare il fratello per salvare dalla galera un innocente, gli oggetti depositati nelle mani dell’agente della polizia servirebbero a dare maggior peso alle sue dichiarazioni.
E pur denunziando il fratello avrebbe avuto una piccola vendetta dell’agente, che lo aveva tanto perseguitato, e il quale farebbe una ben trista figura dinanzi a’ suoi per essersi lasciato abbindolare da una donna!
Queste erano le apparenti ragioni che a sè dava Lina per scusare il suo operato, ma chi le avesse potuto leggere nel più riposto dell’animo vi avrebbe trovato altre cause.
Si diceva Lina che Lucertolo, ricevendo da lei la piccola cassetta, avrebbe creduto naturalmente vi fosse qualche ricordo di famiglia, qualche oggetto a cui teneva la povera ragazza, e avrebbe riputato l’atto come segno di fiducia in lui, come indizio che la ragazza fosse estranea ad ogni complicità nel delitto del Vicolo della Luna, poichè ricorreva a lui, e se gli confidava in quella maniera.
Ma Lucertolo non aveva pensato a nulla.
Aveva preso la rozza cassetta, l’aveva gettata in fondo ad un baule, e subito fece il disegno che la cassetta dovesse giovargli un giorno ad attuare certo suo disegno.
– Vi riporterò quella cassetta! – aveva detto più volte a Lina, incontrandola.
La ragazza gli aveva sempre risposto, indifferente alle occhiate assassine, che le lanciava il birro, disinvolta: – Quando vi pare!… Non c’è furia!… Quando sarò tornata nella mia casa in Via Cardinali… Per ora non ci vado!
Una parente di Lina era rimasta nella antica casupola del pompiere varii anni, e, tornata Lina, se n’era andata perchè essa potesse di nuovo abitarvi, se volesse.
La sera del 30 giugno. Lina aveva chiesto il permesso di passare la notte in casa sua. E le era stato accordato da Antonietta, che pensava la ragazza vaga di andarsene a godere la festa delle Cascine con le sue amiche, non rivedute più da tanto tempo.
Invece Lina si indirizzò subito verso la via San Miniato fra le Torri e salì la scaletta della Torre, che era dinanzi ad un vecchio albergo.
Oggi anche quel vetusto edificio fu abbattuto.
La scaletta era così angusta che un uomo molto pingue, anche solo, non avrebbe potuto passarvi.
Le stanzuccie all’ultimo piano che abitava Lina, furono abitate sino a circa quarant’anni or sono: di lassù si godeva la vista di tutta Firenze, delle montagne, delle colline che la circondano: vi si viveva in pace da tutti i rumori, che non giungevano sino a quella tranquilla e ardua altezza.
Dieci minuti dopo che Lina era entrata nella Torre, un uomo usciva dal Vicolo degli Anselmi, e ratto ratto, traversando il Mercato, imboccava la via Cardinali, e si fermava al primo uscietto, a sinistra, così angusto e così basso, e si chinava, si rimpicciniva per entrarvi. Poi si arrampicava a stento, imbarazzato dalla sua corpulenza, nell’andar su per la scala.
Lina già si era tolte le vesti, non resistendo al caldo di quella notte di giugno, e andava qua e là, facendosi lume, rovistando per la casa, che non aveva a suo agio riveduto da tanto tempo.
Ad un tratto sente che qualcuno saliva la scala.
Poi un picchio dato alla porta come nella notte in cui aveva avuto tanto spavento.
Stette cheta e spense il lume.
Il picchio fu ripetuto.
Sentiva che una mano cercava la serratura della porta.
Forse era un ladro!
Lina pensò di domandare: chi è; di urlare, di chiedere aiuto, se non avesse risposta.
– Chi è? – domandò la procace ragazza, tutta tremante, accostandosi in punta di piedi alla porta.
– Io… Lina… io! – rispose sommessamente una voce a lei nota.
Era Lucertolo!
XXX
La ragazza stette un po’ perplessa, se dovesse o no aprire.
Ma ormai aveva gran desiderio di ricuperare la cassetta, poichè quello che conteneva non poteva più servire ad altro che ad eccitare sospetti. Ad ogni modo era inutile che restasse nelle mani del birro.
– Aspettate! – mormorò attraverso la porta.
Si allontanò e, ripresi i suoi panni, si rivestì così in fretta.
Poi andò ad aprire.
Il birro, entrando, trasse un grosso respiro.
Però Lina, appena ebbe aperto e il birro fu entrato, tese la mano per ripigliare la cassetta, ma non richiuse la porta, come se volesse indicare all’agente che doveva subito svignarsela.
– Ah, vuoi scacciarmi, senza che neanche ripigli fiato! – osservava il birro, tornato al tuono familiare e scherzevole che in altri tempi adoperava con Lina.
– È troppo tardi – continuava la ragazza – se qualcuno sapesse che siete qui!
– Non ti confondere! – replicava l’agente. – Ti assolverebbe anche il San Sebastiano, che è nella nicchia d’Orsammichele, visti i motivi per cui sono venuto a trovarti.
– Quali motivi?
– Eccoti… il primo… quello di chiuder l’uscio.
E il birro eseguì l’atto annunziato.
– Ora passiamo di qua.
E se ne andarono nella stanzetta, che un tempo aveva servito di camera a Bobi Carminati e sedettero l’uno di contro all’altra.
– Tieni la cassetta… e ringraziami… di averla custodita così bene! – cominciò Lucertolo.
– Vi ringrazio! vi ringrazio! – rispose Lina.
– E ora lasciati dire un’altra paroletta… Sai che io sarò nominato fra pochi giorni capo agente?
La ragazza dette in un piccolo grido di sorpresa.
Il birro intanto la guardava.
Le vedeva le meravigliose braccia bianche uscire dalla manica della vesticciuola leggerissima che indossava, il seno turgido, tuttora agitato per la paura che la ragazza aveva avuto.
– Ti vorrei dire una mia idea…
Lucertolo in quel momento sentiva più forte che mai tornargli alla mente la sua idea favorita, l’idea, che aveva tanto accarezzato.
Esitava a palesarla.
Voleva far una proposta e temeva che non fosse accolta.
Non sapeva da che parte rifarsi, che via tenere, se adescar la ragazza con tutte le dolcezze di eloquio delle quali era capace, o incuterle spavento per quello che egli ancora poteva fare a suo danno.
Come accade, fra varie ispirazioni, il birro si appigliò alla peggiore.
– Siete tutti tornati a Firenze… finalmente! – disse con una certa espressione d’ironia.
– Tutti… chi…?
– Il pittore… tu… la ragazza di Via degli Amieri…
– La ragazza di Via… – rispose Lina confusa, balbettando.
– Eh, sì, mia cara… L’ho veduta un par di volte soltanto, mentre pedinavo te, e l’ho subito riconosciuta… Ti dirò qui, a quattr’occhi, che c’è chi può riconoscerla, se io pronunzio una parola… Nella stanza del Vicolo della Luna, davanti la quale il pittore fu ferito da tuo fratello…
– Ma che dite?
– Da tuo fratello… Dio l’abbia in gloria, e si sia pentito a tempo… prima d’affogare!…
Lina respirava.
– In quella stanza furono trovati alcuni quadri. In tutti è dipinta una donna, una bella donnina, nelle più graziose e provocanti attitudini… Sai chi è quella donna? La stessa che si trovava nella stanza la sera in cui fu commesso il delitto…
Il birro tacque, poi quasi subito aggiunse:
– È la tua padrona!
A Lina ghiacciava il sangue.
– I quadri non sono ritratti… in tutti è raffigurata la fisonomia con espressione così diversa che pare un’altra fisonomia, il pittore ha cambiato, ha fatto di suo capriccio, ma… il tipo c’è… c’è sempre il colore dei capelli e il modello di quel bel nasino… È difficile che altri l’avverta, ma l’ho avvertito io che da anni aguzzo gli occhi sulle prove, sui corpi di quel delitto, ho esaminato centinaia, per non dire migliaia di volte, tutti gli oggetti che si trovavano in quella stanza per trarne una rivelazione… io, che dopo la confessione d’Isacco, dopo quello che avevo per induzione scoperto sul conto di tuo fratello ero in condizione di poter mettere in relazione tutte le circostanze stranissime, che avevano concorso al compimento del delitto, che lo avevano preceduto, accompagnato, seguito…
– Sognate! – interruppe Lina, che aveva ricuperato la sua baldanza.
– Sogno, sì, ed eccoti proprio quel che ho sognato… Ecco come ho rifatto la scena accaduta la sera del 14 gennaio… Il pittore era nella stanza con la ragazza di Via degli Amieri… Bobi doveva essere inferocito contro il pittore; forse egli ti sospettava di avere una tresca con lui, mentre stavi in casa sua alcune ore della giornata, forse sentiva sempre più vergogna, vedendo che egli ti tradiva, che amoreggiava con un’altra… Lo ha aspettato, nascosto nel Vicolo, e quando è uscito dal convegno lo ha pugnalato… Poi è fuggito… È accorso Nello, il povero pazzo, ha frugato il ferito, lo ha trascinato sino all’entrata del suo tugurio, e si è gettato sul suo giaciglio(), macchiato di sangue, e nascondendo gli oggetti preziosi, che aveva preso… Di dove è uscito Isacco? ove si trovava mentre si compieva il delitto? Come è entrato nella stanza? Qui principiano i miei dubbii… È certo che egli non era un complice di Bobi, perchè è lui che ha salvato la ragazza, che l’ha portata pel Ghetto, che di là ha trovato modo di farla fuggire, aiutato certamente da te, bellissima Lina!…
E il birro cercava di afferrarla per le vegete braccia e attirarla a sè.
Lina si alzava tutta infuocata nel volto, lo respingeva, e gli domandava ansiosa:
– E che cosa ora intendete di fare?
Dopo alcuni istanti di pausa, il birro che figgeva in lei gli occhi imbambolati, soggiunse con piglio truce e severo:
– Intendo di fare il mio dovere… denunziar tutto alla giustizia… La mia nomina a capo agente è combattuta dai miei rivali… Si accorgeranno tutti sempre più che razza d’uomo è Lucertolo, e che con lui non si combatte!
– Lucertolo!… – disse Lina.
Il birro sgranava tanto d’occhi e tendeva le orecchie, avido di ascoltar quello che la ragazza faceva sembiante di voler dire…
– Voi – continuò Lina – non agirete così!… Sarebbe una grande viltà – e la bella ragazza si faceva sempre più rossa nel volto, i suoi occhioni sfavillavano, e in un gesto di rabbia le era caduta un po’ in giù la vesticciuola leggiera, lasciandole scoperta quasi tutta una spalla, bianca come il marmo, grassetta, e di linee voluttuose,
– Ma denunziate pure – riprese la ragazza, alzandosi, rassettandosi addosso la veste, e gettando al birro sguardi pieni di odio e di sprezzo – denunziate pure la ragazza di Piazza degli Amieri… come voi la chiamate… denunziate il pittore… e poi? Vi assicuro io che vi troverete con un brutto partito alle mani. Ah! voi credete che nessuno possa lottare con voi?… Proverete… Voi volete attaccare due persone influenti, che hanno alte relazioni… due persone innocentissime… e io son pronta a deporre in modo da provare la loro innocenza.... Ebbene.... vedremo che cosa accadrà…
Lucertolo badava poco a quello che la ragazza diceva.
Non si lasciava commovere dagli sproloquii di lei.
Ma la guardava, gli appariva così fresca, così robusta, così appetitosa: ad ogni movimento, che essa faceva in quell’angusta stanzetta, gli veniva a passar quasi daccanto, le vesti di lei lo toccavano; respirava il fiato caldo, ardente, che usciva dalle tumide labbra, rosseggianti nell’ovale paffutello del volto delizioso.
– Innocenti!… innocenti! – esclamò il birro, contorcendosi, con un atto che voleva significare suprema indifferenza. – Lo dici tu… innocenti… Se tu sapessi però quanto ha lavorato la mia testa… Capisco che avrei da combattere con due donne e con due donne nel giuoco… anche in affari di polizia… si perde sempre!…
Lina era ferma in mezzo alla stanza, tutta pensosa, e si mordeva le labbra, come se l’ira che le covava in seno le avesse richiesto quello sfogo.
– Io… avrei un gran disegno – disse a un tratto Lucertolo, sporgendosi innanzi, con un gomito appoggiato sulla punta del ginocchio, e sostenendo il mento sul pugno chiuso. – Un progetto col quale, invece di farci del male, potremmo giovarci, esserci utili, a vicenda, completarci, o carissima Lina!
– Sentiamo.
– Nessuno si occupa più del delitto… Ormai è dimenticato… La grazia del Sovrano ha perfino risparmiato una revisione del processo che poteva dar luogo a nuove ricerche, a incidenti tali da compromettere qualcuno… Il pittore so che ha risposto abilmente a tutti coloro che lo interrogavano sul modo con cui era stato attirato nel Vicolo la sera del 14 gennaio… Egli ripete che è stato tanto tempo fuori di sè, a causa della ferita, che non si ricorda più di nulla… Lo strattagemma è buono, specie in un uomo della sua autorità, e mentre nessuno è più interessato a scuoprire il vero in quest’affare… La ragazza di… Piazza degli Amieri, dice che è stata rapita da gente crudele, che l’hanno sottoposta a mali trattamenti, l’hanno atterrita con minaccie, nel caso si fosse data a conoscere, l’hanno venduta ad un grande impresario forestiero, che ora soltanto l’ha lasciata libera… Un romanzo più divertente della Tavola Rotonda, o del Guerino… La gente lo beve perchè costei è oggi la grande, la celebre, la bella Amieri… e come è bella!… tutti vogliono farle la corte, ingraziosirsi; e prima della sua fuga era così poco conosciuta… La conoscevano alcune donnaccole, le sue pigionali in piazza degli Amieri, e il maestro Brinda, una buona testa, un uomo sottile come un filo di rasoio, e che contribuisce a far accettare a tutti per oro di coppella le storie che si raccontano, e che forse sono in parte sua invenzione…
– Ma il progetto… il progetto?… – domandò Lina.
Il birro non si attentava a esternarlo e però si compiaceva nel pigliarla da più lontano che potesse.
– Tutto dunque – seguitò – cospira in nostro favore… Si deve a me, a me questo edificio così bene architettato… Senza le dichiarazioni di Isacco, Nello sarebbe sempre in galera… e bisognava salvarlo!… Però con una parola io posso distruggere la tranquillità in cui vivono i tuoi amici…
– E non la direte…
– Se la dirò…
– Vi sfido!
La ragazza, avvampante di collera, invasa tutta da un fremito, acquistava nuove, irresistibili seduzioni.
– Non la dirò ad un patto… – soggiunse Lucertolo balbettando.
E quasi barcollante, con gli occhi semichiusi, le braccia protese si avanzò verso la ragazza.
– Indietro! – gridò Lina sbigottita, raccapriccita al contatto delle mani del birro.
Ma Lucertolo la teneva stretta con le sue dita, forti come tenaglie, e che le si ficcavano nelle carni floride, dure, prosperose.
– Lasciatemi! – diceva la ragazza con voce soffocata, cercando divincolarsi con sforzi disperati da quella stretta.
– Ti lascio! – rispondeva Lucertolo, mettendosi dinanzi a lei in atteggiamento umile e supplichevole. – Ti lascio ad una condizione!
– Non voglio altre condizioni – ribattè Lina indispettita. – Dovete subito andarvene!
– Anderò, ma prima voglio che tu ascolti una parola… Io sono innamorato… innamorato…
– Voi, voi innamorato… voi, Lucertolo?
– Innamorato…
– Scherzate!
– Innamorato… di te…
– Finiamola! – interruppe Lina. – Andate!… – E si avvicinava all’uscio per aprirlo.
– Dalla notte che ti sorpresi là – e il birro ammiccava la camera vicina – che ti vidi… a quel modo… tutta agitata… gettarti ai miei ginocchi… non ho avuto più pace. Mi sei ribollita sempre nel sangue! – e il birro fece un gesto energico. – Il mio progetto… il progetto, che non mi riusciva di confessare… sarebbe quello di sposarti… Tu sei libera… io fra giorni, forse a ore riceverò la mia nomina di capo-agente…
Lina si accostò a Lucertolo, che si era abbonito, e gli mise una mano sulla spalla, ridendo, anzi sghignazzando.
– Non ti burlar di me! – tornava a dire l’agente. – Non credi che potremo esser felici? Tutti ti guarderanno… tutti vorranno conoscere la Ninfa, che ha fatto rompere il collo a Lucertolo… E poi tu hai bisogno, ora che sei sola, di un braccio, di un petto come questo per difenderti – e il birro drizzava con orgoglio la sua robusta, quasi immane corporatura. – Hai bisogno di me anche per un’altra cosa… Dopo aver fatto tanto per scuoprire la verità, lavorerò insieme con te perchè nessuno la scuopra!… Ed ecco che Lucertolo sarà diventato un occultatore di prove. Lucertolo, che rinunzierà ad una brillante operazione di polizia per due occhiacci neri, neri… Un capo-agente, che entra al servizio dell’amore!.. Pronunzia un sì, un sì… così grosso.
E Lucertolo faceva un gesto, allargando le braccia.
Lina teneva gli occhi sul birro.
Infine, Lucertolo era un bell’uomo! alto, fortissimo, con una fisonomia intelligente, con modi assai buoni per uno della sua condizione. Gli si leggeva nel volto quell’abbandono confidente, quella certa simpatica spavalderia, che hanno gli uomini di carattere non tristo, e che sanno di poter contare, al bisogno, sui proprii muscoli.
Lì per lì la ragazza avrebbe voluto rispondergli, motteggiandolo, o adirandosi; le venne però in mente che era più opportuno per lei in quel momento di non irritarlo.
– L’idea è nuova!… vi assicuro che a me non era mai venuta! – replicò Lina. – Sono cose che domandano tempo… riflessione… Vedremo… vedremo… Ma sarebbe strano, non è vero?
E dava a Lucertolo una di quelle occhiate alle quali il birro andava in visibilio e si sentiva fervere il sangue come lava.
Egli si era di nuovo accostato a Lina e le aveva schioccato un bacio su una delle sue spalle d’avorio.
– Ora basta davvero! – disse la ragazza, tirandolo dolcemente per un orecchio.
Lucertolo lasciava fare, tutto lieto di quella curiosa carezza.
– Ora basta! è tempo che baciate… il chiavistello.
Si avvicinò con lui alla porta e lo accompagnò su lo squallido, angusto pianerottolo, tenendolo sempre per l’orecchio.
– Buona notte, assassina! – mormorò il birro a traverso la porta, quando Lina con la sua mano bianca l’ebbe richiusa.
– Buona notte, Lucertolo! – mormorò una vocina scherzosa dall’altra parte.
XXXI
Due giorni dopo la scena avuta con Lucertolo, Lina partiva da Firenze.
La sera del 1° luglio, come era stato convenuto, essa aveva seguitato Antonietta, il Brinda e Roberto all’Ospedale dei Pazzi.
I due vecchi, Enrico e Agatina, il padre e la madre di Antonietta, a’ quali il dolore aveva fatto smarrir la ragione, erano stati preparati abilmente dai medici all’incontro, sul quale costoro contavano per una guarigione immediata. Ma occorreva che tutto fosse fatto con cura, e ogni precipitazione fosse evitata. Un’impressione troppo violenta, improvvisa, poteva aggravare la infermità delle stanche e così vacillanti intelligenze dei vecchi: deboli fiamme, che ogni soffio troppo forte avrebbe spento per sempre.
Da vario tempo essi erano tenuti appartati dagli altri ammalati.
Antonietta profondeva il suo denaro perchè fossero trattati con ogni attenzione, e non mancasse ad essi nella lor penosa condizione alcuna dolcezza. Mangiavano soli, come già abbiamo veduto, e ogni sera, dopo la loro refezione, sull’ora del crepuscolo, si mettevano in giro, passando da una stanza all’altra, e cercando ansiosi la figliuola.
Ormai i dottori li avevano assicurati che la ritroverebbero, che si era risaputo che era viva e che da un’ora all’altra poteva arrivare,
I due dementi scuotevano la testa in atto d’incredulità, e si rimettevano alle loro instancabili ricerche. Ma il sogno che aveva fatto Agatina, e che essa aveva raccontato ad Enrico, li aveva scossi ambedue, e speravano di dover alla fine ritrovare il loro angiolo.
La sera dunque del 1° luglio 1833, mentre si avviavano al solito verso la stanza ov’era il cembalo, i vecchi si fermarono come trasecolati,
Il cembalo mandava un suono che subito aveva colpito le loro orecchie.
Poi a quello si unì il suono di una voce limpida, argentina, che s’inalzava sempre più puro, più melodioso, e riempiva le stanze tutt’all’intorno.
I due vecchi erano arrivati in mezzo ad una sala.
Nascosti, agli spiragli di due porte semichiuse, stavano il Brinda, Roberto, Lina, i due medici,
– Agatina! – esclamò subito Enrico. – Ma questa… è la voce della nostra figliuola!
Agatina non rispose.
Essa stringeva la mano del marito e ascoltava ansiosa, tutta tremante.
– È lei!… è lei!.., – disse a un tratto, e lasciando la mano del cieco si precipitò nella stanza.
Ma al cembalo non vi era più alcuno. Conformandosi a’ consigli ricevuti dai medici, Antonietta si era nascosta, appena aveva udito che la sua povera mamma si avvicinava,
E il nascondersi le era venuto opportuno. Dopo le prime note da lei emesse con tanto affetto, con tanta soavità; note di una canzone, che suo padre le aveva insegnato sin da bambina, e della quale aveva udito le migliaia di volte ripetere i motivi da lui e dalla madre, le lacrime le erano salite agli occhi e i singhiozzi la soffocavano.
Già il cieco aveva raggiunto la moglie nella stanza in cui era il cembalo.
– Non c’è nessuno! non c’è nessuno! – esclamò Agatina gettandosi al collo di Enrico.
I due vecchi piangevano a dirotto.
Le lacrime rigavano la maestosa e triste faccia del cieco come nella sera in cui, cessati i tocchi della campana del Bargello, era uscito insieme con la moglie in cerca della figliuola.
– Non c’è!… non c’è!… – ripeteva il vecchio, cupo, desolato.
Ma tutti e due quegli sventurati avevano provato una immensa commozione.
Quella acuta sensazione di dolore risvegliava lentamente la loro ragione, che una gioia immoderata avrebbe più che mai disordinato, travolto.
I vecchi non potevano scostarsi dal cembalo, Dimoraron nella stanza più che non solevano le altre sere: il cieco fece più volte, come era usato, scorrer le sue dita sulla tastiera.
Era una magnifica serata di estate.
Da due finestre, che si aprivano sopra un giardino, entrava un’aria carica di effluvii fragranti; il cielo nitido, e tutto un blando riso di luce, che diffondeva innanzi a sè un grandioso, stupendo tramonto.
Alla fine i vecchi risolvettero di allontanarsi.
Quando si mossero per uscire dalla stanza, cominciavano a cadere le prime lievi ombre della sera.
Parevano calmi, rassegnati.
– Non la rivedremo dunque più… più… la nostra angioletta! – diceva il cieco ad Agatina.
– Non ti ricordi – replicava la vecchiarella – quello che tu mi hai sempre risposto: che Dio…
– Ah! hai ragione – interruppe il vecchio – che Dio… ci aiuterà… E lo credo… sai… lo credo sempre.
Si cercò in seno la crocellina d’oro, e se la portò alle labbra, come aveva fatto la sera del 14 gennaio, dopo aver pregato.
Per alcuni minuti i vecchi stettero nella sala, dalla quale avevano udito la prima volta i suoni.
Seduti l’uno accanto all’altro, immersi in una meditazione profonda, non si parlavano.
L’oscurità aumentava.
Un raggio di luna pallido, incerto batteva su una parete della sala.
– Enrico – disse a un tratto Agatina, rompendo il silenzio – è tardi… Andiamo via di qui!
E i due vecchi si alzarono.
Quando ebbero fatti pochi passi, si fermarono.
Lo stesso suono usciva dal cembalo, lo stesso suono che poc’anzi avevano udito, e una voce giungeva alle loro orecchie, modulata al solito con un accento ad essi familiare, delizioso.
I due non si mossero più.
Ascoltavano col più grande raccoglimento, estatici, beati, assolutamente felici, scossi come da un brivido.
La voce celeste continuava i suoi gorgheggi, le note venivano a loro, per l’aria, nel silenzio, nella calma di quella bella sera, squisitamente melodiose: trasfondevano in essi la commozione che le ispirava.
– È lei!… è lei! – gridò Agatina, e tenendo per mano il cieco entrò di nuovo nella stanza, che era ormai quasi all’oscuro.
Le parve vedere un’ombra bianca dinanzi al cembalo.
Era Antonietta in una vesticciola leggera, coi suoi copiosi capelli biondi sciolti sugli omeri.
I vecchi erano rimasti sulla soglia. Agatina aveva trattenuto il cieco dall’andare più oltre.
– Forse non è lei! – gli aveva mormorato alle orecchie.
Quella penosa, viva ansietà, quel concentramento di tutte le loro facoltà, quel ravvivarsi di speranze dell’amore paterno e materno rendeva a’ due infelici la ragione.
Agatina si accostò piano piano ad Antonietta, che cantava sempre.
– È lei! è lei! – urlò ad un tratto la vecchia, che aveva riconosciuto, aguzzando gli occhi nella scarsa luce, che veniva dalle finestre aperte e pel chiarore della luna nascente, il colore singolare dei mirabili capelli di Antonietta.
E cominciò a cuoprirli di baci.
Antonietta non seppe più rattenersi.
Si alzò precipitosa, raccolse tra le sue braccia i due vecchi, e stringendoli forte, forte, e baciandoli in fronte, sospirava di quando in quando.
– Babbo!… mamma!…
Ma già il Brinda, Roberto, Lina, i due medici erano accorsi.
– L’affetto filiale, l’affetto di padre e di madre – disse il medico più attempato – hanno fatto uno dei loro miracoli… I vecchi sono salvi!
Agatina e Enrico non udivano più nulla.
Essi accarezzavano, abbracciavano la figliuola: piangevano.
Momento sublime, che ad esser descritto domanderebbe penna di poeta, ben diversa dalla() mia; momento sublime come tutti quelli che nella vita riempie la divina poesia, traboccante da cuori che si amano!
Due giorni dopo, come ho detto, Lina partiva e traversava il confine del ducato di Lucca.