Kitabı oku: «Il processo Bartelloni», sayfa 14
XXXII
Arrivava a Candino, presso Pescia: limite estremo del confine toscano, e di là al ponte dell’Abate, dove cominciava il ducato lucchese, e dove la bella ragazza s’incontrò ne’ carabinieri del duca, quel giorno in alta tenuta per una festa di Stato, che la sbirciarono e l’accolsero con motti allegri. Ma Lina non badava a loro: troppo era abituata a sentirsi scoccare, suonar intorno alle orecchie parole di elogio alla sua fresca, aitante bellezza.
Neppure il ricco vestiario de’ carabinieri ebbe da lei uno sguardo: e sì che era sfarzoso, come ricordano i vecchi; vestiario di foggia spagnuola; giubba lunga con mostreggiature rosse, buffetterie bianche, elmo, con una folta criniera, che ricadeva giù sulle spalle: tutti uomini di corpo prosperoso, di alta statura, quasi tutti còrsi.
Fatto circa un miglio oltre il ponte dell’Abate, Lina scese dalla diligenza e inforcò un viottolo, che andava tortuoso in mezzo ai campi, poi entrò in una strada più larga, salì una collinetta, a metà della quale sorgeva un bianco lungo caseggiato, che aveva accanto una chiesa, e un piccolo campanile.
Proprio nel momento in cui Lina saliva, il suono di due campane, garrulo, acuto, vibrava nell’aria pura e tranquilla della serena mattinata di luglio.
Un uomo seguiva Lina ad una grande distanza, tenendola sempre d’occhio, balzando da un luogo all’altro, talora appiattandosi dietro un albero, un cespuglio, o scendendo in qualche fossato, in qualche borratello, donde solo a tratti sguizzava fuori, volendo tenersi nascosto, e non essere scoperto dalla ragazza, che pedinava con tanta alacrità.
Lina si era messa per una selvetta, che circondava il caseggiato, e di tanto in tanto le pareva di udire uno stormìo di frasche, uno scalpiccìo, come se altri corresse dietro a lei, e si era voltata più volte, senza che però le venisse fatto di veder alcuno.
Arrivò dinanzi al caseggiato e si fermò sotto un porticato dal quale era l’entrata principale. Sulle due pareti laterali si leggevano scritte a grossi caratteri, da una parte, le parole: Dio ti vede! – dall’altra: – Penitenza, o Inferno!
La parete di fondo era quasi tutta occupata da una amplissima porta, sul davanti della quale penzolava una corda greggia, e assai lurida, che serviva per tirare il campanello.
Lina era ad un Convento di cappuccini.
Che cosa vi andava a fare la seducente e florida ragazza?
Guardò a destra e a sinistra, come se le stesse a cuore che nessuno in quell’istante potesse vederla, poi accostò alla corda una mano quasi tremante.
Subito udì lo scampanellìo di un grosso campanone: poi un ciabattare lungo il corridoio: finalmente gli occhi lucenti di un fratacchione scintillarono tra i buchi di un piccolo reticolato infisso nella porta.
– Sia laudato Gesù Cristo!… Che cosa vuoi, figliuola? – domandò con un vocione robusto.
– Sempre sia!… – rispose Lina tutta rossa. – Desidero parlare a Fra Leone…
– Credo sia a pulire la chiesa… ma vado a chiamartelo e sarà qui nel tempo che tu dici un Gloria patri.
Poco dopo Lina udiva di nuovo un rumore di sandali, di tonache battute nelle gambe di coloro che camminavano, udì cigolare un grosso catenaccio e la porta si aprì.
Un frate di elevata statura, pallido, macilento, con lunga e folta barba nera, comparve sulla soglia.
Vista la ragazza, socchiuse la porta dietro a sè, fece alcuni passi e con ogni cautela si allontanò dal porticato, tenendo per mano Lina e guidandola verso un luogo più remoto, tutto coperto da alberi, su uno dei fianchi del caseggiato.
– Sorella! – disse il frate dopo un breve silenzio, con voce esile, quasi appena gli restasse la forza di respirare.
La ragazza cominciò a parlare, con voce anche più sommessa, quasi all’orecchio del frate, facendo vivissimi gesti, tutta concitata come se proferisse parole che le scottassero il labbro, girando sempre attorno gli occhi per timore che altri la spiasse.
Al frate sfuggì due o tre volte un gesto di sodisfazione, una volta levò le mani al cielo, come in atto di preghiera e di ringraziamento.
– Ma c’è qualcuno tra quelle piante! – disse a un tratto Lina, raccapriccita, indicando al frate la punta di due alberetti, quasi accosto l’uno all’altro, e che si agitavano in modo strano, non ostante che non vi fosse alito di vento in quella calda mattinata.
Il rumore tra le foglie aumentò. Apparve fra il verde un grosso cappellaccio, poi un uomo che si faceva largo tra gli arbusti con le braccia lunghe e nerborute, e spiccando un salto balzò in mezzo al frate e alla ragazza, e arrivò così bruscamente e all’improvviso, che i due, i quali avevano cessato il dialogo, gettarono insieme un grido di spavento.
L’uomo, arrivato così in mal punto, era Lucertolo.
Ficcò gli occhi addosso al frate, poi, facendo un ghigno sinistro, dando in un urlo di gioia, lo aggranfiò con le sue mani di acciaio sotto il mento, e scuotendolo, squassandolo con quanta forza aveva:
– Ti ho ritrovato alla fine – esclamò. – Ti ho ritrovato, Bobi Carminati!… Ah, sei vivo anche tu… Il mio trionfo doveva essere completo.
Il frate barcollava, affranto, atterrito da quella improvvisa apparizione, e Lucertolo dovette spingerlo a sedere verso un alto mucchio di sassi perchè non cadesse.
– E che cosa volete fare ora? – domandò a Lucertolo Lina.
L’uno e l’altra stavano in piedi dinanzi al frate, che era quasi disteso, prostrato sui sassi.
– Intendo, prima di tutto, di sapere come Bobi è arrivato qui… Voglio che mi spieghi la storia dell’annegato!
Bobi Carminati fece il suo racconto in brevi parole.
La notte in cui egli si trovava insieme con un altro famiglio a perlustrare lungo la sponda dell’Arno, si erano incontrati, come già sa il lettore, in alcuni ladri che, udite le intimazioni dei famigli, avevano lasciato in terra varie sacca che portavano, e si erano dati alla fuga.
– Io li avevo inseguiti… – continuava il Carminati. – A un certo punto dovei fermarmi… Un cadavere era disteso sull’erba… Gli accostai la lanterna e vidi che aveva la testa sfracellata da un grosso colpo di bastone. Era di sicuro un complice pericoloso, del quale i ladri avevano voluto sbarazzarsi… Pensai a incarnare una idea, che da molto tempo mi angustiava… I rimorsi del delitto da me commesso nel Vicolo della Luna non mi lasciavano più tregua… Vestii il cadavere, de’ miei panni e lo gettai nel fiume… Stetti poi alcuni giorni errante per la campagna… Seppi che mi si credeva morto… Una notte scura, burrascosa, potei traversare il confine… Mi recai a questo convento… Chiesi di poter lavorare… e fui adoperato in alcune faccende… portar legna, tirar acqua, zappare l’orto… Pochi mesi dopo, riuscii a farmi accettare come converso, e vestii l’abito… Lina era avvisata… Ci eravamo proposti in un modo o nell’altro di far risaltare l’innocenza di Nello… Dio mi aveva toccato il cuore… Ho fatto la più dura penitenza del mio delitto, ed ero pronto ad espiarlo anche con la confessione, se non fossimo riusciti a salvare Nello in altro modo… Guardami – concluse il Carminati, indirizzandosi a Lucertolo – e vedrai se ho sofferto!
Lucertolo taceva, tutto assorto nelle sue meditazioni.
Si accostò a Lina dopo un istante, e stendendole la mano, disse in modo solenne:
– Hai fatto le tue riflessioni sulla mia domanda… Vuoi dunque sposare il capo-agente Lucertolo?… Io ho già ricevuto la mia nomina!
Lina impallidì, e non rispose; ma guardava il fratello, e si sentiva impietosire dal misero stato di lui.
– Se tu acconsenti – ripigliava il capo-agente – Lucertolo servirà prima te per tutta la vita e poi la polizia… Tutti gli sforzi, che ho fatto sin ora per scuoprire la verità circa il delitto del Vicolo della Luna, li raddoppierò perchè la verità rimanga sempre, come rimarrà se tu vuoi, occulta… Parla?
Una conversazione concitata, a mezza voce, durò per alcuni minuti tra il frate, il birro e Lina.
– Acconsenti? – disse alla fine Lucertolo, quasi inginocchiato dinanzi alla appetitosa e robusta ragazza.
Il Carminati faceva un cenno di adesione alla sorella.
– Acconsento! – replicò Lina, tutta sfavillante di un malizioso sorriso.
– E lo giuri? – domandò Lucertolo.
– Lo giuro!
– Quando potrò entrare in servizio… attivo? – insistè il birro, gongolante.
– Ai primi freschi… in ottobre – soggiungeva Lina con un’espressione sempre più furbacchiola.
Rimasero una mezz’ora insieme tutti e tre, divisando come dovessero regolarsi, disponendo tutte le cautele per l’avvenire.
– Addio, Bobi! – disse Lina accomiatandosi.
– Addio, sorella! – soggiunse il frate. – E da qui innanzi non ci vedremo mai più… Io sarò veramente morto per tutti: e, quando venga la mia ora, sarò seppellito laggiù nel cimitero del convento, dove non si scrive nessun nome sulle fosse, in segno della nostra umiltà… Alcuni frati si ricorderanno forse di me, per qualche tempo, col finto nome che ora porto.
– Addio, Marrone! – disse Lucertolo, dando al Carminati il nomignolo che egli aveva da pompiere. – Marrone frate!… chi l’avrebbe mai detto?…
– Addio – ripetè il frate, stringendo loro la mano. – Rammentate che Bobi Carminati è morto… e la preghiera contrita di Fra Leone salirà al cielo per voi!…
Proferite queste parole, il frate rientrò nel convento e serrò dietro di sè la porta pesante.
Lina e il capo-agente Lucertolo, tenendosi per mano, scesero, saltellando, l’erta.
XXXIII
Un mese dopo in una chiesa di Roma si celebrava con gran pompa il matrimonio fra Antonietta e Roberto: ufficiava un arcivescovo cattolico in tutto lo sfarzo de’ suoi ricchi paramenti.
Due vecchi erano inginocchiati vicino agli sposi: Agatina ed Enrico.
Il sì fu pronunziato da Roberto e Antonietta con profonda commozione.
I loro cuori, che battevano concordi, amantissimi, non dovevano disgiungersi mai nella vita: un amore immenso li esaltava, li faceva palpitare; erano contenti della loro passione, dei grandi, terribili ostacoli superati.
Era stato fortemente combattuto il loro amore ma, nella sua potenza, usciva vincitore da tutti gli ostacoli.
Ormai la felicità li aspettava e quale felicità!
E sui primi dell’autunno fu celebrato con assai minor pompa, ma con più clamore e con non minore allegrezza, il matrimonio fra Lina e Lucertolo, matrimonio dal quale nacquero due figli, che sono oggi tra i migliori agenti della polizia, e il cui nome è spesso citato con elogii.
Intrepidi, ingegnosi, giungeranno essi ad occupare tra poco un grado più elevato di quello a cui giunse, dopo tante fatiche, il loro strano e bizzarro genitore Lucertolo?
FINE