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VI.
IL GIURATO

L'ISTITUZIONE dei giurati è un mistero come un altro. Più si studia e72 meno si arriva a capirlo.

Difatti, a che serve fare un corso intero di giurisprudenza, subire esami, addottorarsi, avvocatarsi e, cominciando dal primo gradino del pretore, salire su su fino a giudice o presidente della Corte, quando un bottegaio, un farmacista, un negoziante d' olio, un venditore di fiammiferi all'ingrosso, vengono in Tribunale a pigliare il posto del vero giudice, e il loro verdetto, quale e' si sia,73 decide sommariamente della sorte dell'imputato?

Mistero!…

Perchè si crede e si deve credere che dodici o quindici persone, sprovviste per il solito d' ogni studio legale e d' ogni pratica forense, debbano essere più competenti, in un dibattimento grave e spesso complicatissimo, a emettere un giudizio retto e spassionato, di quello che potrebbero esserlo gli stessi magistrati, largamente forniti di studi, di criteri e d' esperienza?

Mistero!…

E perchè, per la medesima ragione, dovendo giudicare della gravità di un caso chirurgico, invece di chiamare un professore dello Spedale o un altro valente operatore, non si chiama il lattaio, il calzolaio o il tappezziere di casa?

Mistero!…

Perchè ostinarsi a cantare tutti i giorni la coscienza, la rettitudine e l'incorruttibilità della nostra magistratura, mentre poi, all'atto pratico,74 questa medesima magistratura così coscienziosa, così retta, così incorruttibile la facciamo controllare (il verbo è francese, ma il significato è italiano) da un' altra magistratura, apocrifa, posticcia, improvvisata?

Mistero!…

Perchè deve esser lecito strappare dalle sue consuetudini giornaliere un povero diavolo, il quale per venti o trent' anni non ha fatto altro che fabbricare o sapone, o camiciole di lana, o versi endecasillabi, per costringerlo a mascherarsi lì per lì da giudice di Tribunale, col pericolo che egli assolva innocentemente qualche arnese galerabile,75 e mandi all'ergastolo qualche malcapitato galantuomo?

Mistero, mistero, e sempre mistero! vale a dire76 tutte cose che si vedono fare, senza poterne capire la ragione ragionevole per cui si fanno.

–Che cos' è il giurato?

–Il giurato è un libero cittadino, condannato dalle libere istituzioni a far da urna, rigirandosi in bocca due pallottole, sopr'una delle quali è scritta la condanna, e sull'altra l'assoluzione dell' imputato. La prima pallottola che il giurato sputa, è quella che il vero giudice è tenuto a fare eseguire.

–Qual'è, per un giurato, la più grande afflizione di spirito?

–Quella di non saper mai a che ora potrà pranzare.

–Che fa il giurato, durante il dibattimento?

–Quando va a prendere il suo posto è rassegnato: dopo un' ora, è uggioso: dopo un' ora e mezzo, è impaziente: dopo un' ora e tre quarti, diventa atrabiliare: dopo due ore, finisce col credersi più infelice dello stesso imputato, perchè egli si sente già condannato, mentre l'altro ha sempre qualche speranza.

–Come si chiama la deliberazione del giurì?

–Verdetto.

–Questa parola significa forse l'obbligo nei giurati di colpire nel vero?

–Nossignore. Questa parola significa semplicemente "è vero che i giurati hanno detto quel che hanno detto!"…

–Che cos'è dunque il verdetto?

–È la cosa meno seria, fra le cose serie di questo mondo.—

C. COLLODI.

VII.
A UN FIORE SECCO

ECCOTI qui, tra le mie mani, sotto i miei occhi.

Nulla è più in te di ciò che era meraviglioso in te. Non hai nè colore, nè rilievo, nè profumo. Il vento non ti culla più, gli insetti non ti cercano, le farfalle ti hanno dimenticato. Appena appena al vederti si può credere che tu sia stato un fiore, e che tu sia stato bello nessuno lo crederebbe se io non lo affermassi.

Ebbene: in cotesto tuo aspetto freddo e rassegnato tu vali per me più di tutti i fiori che abbelliscono e abbelliranno i giardini della terra. Non perchè dal delicato ramo che ti diede la vita sia venuta a staccarti trepidante la mano d'una donna, chè tale felice sorte non ti toccò. Non perchè tu sappia la voluttà del riposo sopra il seno di lei che amo, o conosca il divino contatto delle sue labbra. No: in una notte buia, quando tutto attorno a te era silenzioso e vuoto e tu dormivi sognando forse il lieto sole del domani, io venni a coglierti.

Perchè ti colsi, quella notte, allorchè tutto taceva ed era vuoto attorno a te? Perchè approfittai di quell'istante in cui tu eri rimasto solo, e perchè ora sei mio e ti tengo celato e caro come il più prezioso di tutti i tesori?

Perchè tu, un giorno, vivo, scarlatto, profumato, spiccando in mezzo al verde tenero delle foglie, fosti il testimone.

Perchè tu fosti presente quando i miei occhi per la prima volta si incontrarono nei suoi, e ammirasti il sorriso che illuminò la sua faccia allorchè essa rispose leggiadramente al mio saluto.

Perchè tu assistesti al nostro primo incontro e contasti, uno ad uno, i minuti di quell'ora che non ritornerà giammai.

Perchè mi vedesti felice al suo fianco, udisti il suono della sua voce e la mirasti ascoltare benevolmente le mie parole.

Perchè contemplasti la mia sommissione e vedesti i miei occhi inalzarsi a lei supplici.

Perchè udisti il suo riso e ammirasti la gentilezza della sua persona.

Perchè tu puoi far fede77 che ella un istante mi amò, affinchè io mai non ne dubiti; perchè tu sentisti il dolore che velava la mia voce allorchè le indirizzai l'ultima parola, e vedesti il subitaneo smarrimento che passò in quell'istante dentro i suoi occhi.

Per questo io corsi a te, solo, di notte, e ti tolsi al tuo ramo senza pietà, e mi impadronii di te come cosa che a buon diritto dovesse appartenermi. Per questo ti tengo ora qui, mio prigioniero, e voglio che tu mi risponda, e ti invito a raccontare lungamente. Descrivi in tutti i suoi più minuti particolari la storia di quell'ora e falla78 divenire la storia di cento secoli. Dimmi79 la sua bellezza, rivelami tutte le grazie della sua persona, ricordami il colore dei suoi occhi come se io già lo avessi dimenticato. Parlami della soavità del suo sguardo e pensa insieme a me alla voluttà di un suo bacio. Parlami di lei, di lei sempre, e quando credi di aver terminato, ricomincia ancora!

ENRICO GUIDOTTI.

VIII.
LA DOTE D'ORSOLINA

SE in un giardino si trovano dei pomi maturi, una bella ragazza di diciott'anni, e un bel giovinetto di venti, e non si rinnova la storia di Adamo ed Eva, è proprio un miracolo. Non occorre nemmeno il serpente.

Nei dintorni di Milano c'è uno stabilimento industriale circondato da un parco, ove il signor Carlo Y–, figlio del proprietario, s'incontrava sovente con l'Orsolina, figlia del capo-fabbrica.

Egli è un bel giovane che ha appena finiti i suoi studi, e la ragazza è un tipo milanese perfetto; svelta, brunetta, graziosa. Si vedevano ogni giorno, si piacquero, e dichiararono di amarsi sul serio, coll'intervento del Sindaco e la registrazione nello "stato civile."80 Per disgrazia, invece del serpente che incoraggiasse i loro progetti clandestini, li vide il cassiere della casa, che si credette in obbligo di avvertirne il padrone, il quale appunto in quel giorno aveva ricevuto una lusinghiera proposta di matrimonio pel figlio. Si trattava d'una ricchissima signora di Como,81 che portava in dote case, campagne e capitali, con un quarto di nobiltà per giunta, e le solite speranze.

Il babbo del signor Carlo, uomo di lunga esperienza, capì subito che non bisognava attaccare il giovinotto di fronte; nell'amore, l'opposizione è un incentivo, e gli ostacoli sono sproni.

–Sarà un amoretto giovanile,—egli pensava,—bisogna farlo cessare con prudenza, e si fece chiamare il capo-fabbrica.

Il sor Fabrizio era un ambrosiano all'antica,82 la probità in persona, calmo e operoso ad un tempo, e fino come una volpe, sotto un'apparente bonomia.

–Dite un po', Fabrizio, vi siete accorto che mio figlio va ronzando intorno alla vostra figliuola?83

–Non me ne sono proprio mica accorto.

–Ebbene, ve lo dico io per vostra norma a scanso di pericoli. 10

–Pericoli non ve ne possono essere, la mia Orsolina è una perla!

–Lo so benissimo, ma la gioventù… m'intendete....

–Anzi non intendo niente!… io vado superbo… e mi chiamo altamente onorato della predilezione del signor Carlo.

–Va bene fino ad un certo punto,… ma sapete… i giovinotti… non bisogna troppo fidarsi....

–Mi meraviglio!… sono discorsi questi che mi sorprendono… e, se non fosse lei che parla, farei subito tacere chi osasse di calunniare i miei signori padroni. Sono quarantadue anni e quattro mesi che li servo, e non ho avuto che a lodarmi di tutti loro. Primo il signor Giacomo di venerata memoria,… poi il signor Gaspare di pari probità,… adesso lei che seguita le onorate tradizioni della casa, poi verrà il signor Carlo a continuare l'inalterabile sistema.... A Milano li conoscono, neh? e anche fuori! Sono case vecchie… e bisogna andar superbi di servirle!

–Vi ringrazio, vi ringrazio, ma non bisogna confondere le cose; gli amoretti non hanno a che fare cogli affari. Insomma, capite bene che i giovani si scaldano presto la testa, e allora....

–Allora tocca a lei, se non è contento, di allontanare il signor Carlo. Da parte mia, se i giovani si amassero, do il mio pieno consenso, ed anzi mi reputo ben fortunato di diventare il suocero del mio futuro padrone!

–Oh, là… là… come andate avanti! non si tratta già di matrimonio!

–Ma allora,… di che si tratta?

–Infatti vi parlerò chiaro. Mi vien fatta una proposta di matrimonio, che potrebbe convenire a mio figlio, e che a me conviene perfettamente. Si tratta d'una ricchissima signora!… capite bene....

–Capisco benissimo… se colla ricchezza ci entra anche l'amore, niente di meglio! ma se l'amore mancasse… ci sarebbe il superfluo senza il necessario.

–Ma neanche il solo amore basta per maritarsi… ci vuole la dote!

–Sicuro!… è giustissima, ci vuole la dote, anzi, ci vogliono delle doti… e il denaro è la cosa meno necessaria alla felicità,… specialmente per chi ne ha più del bisogno.

–Converrete, caro Fabrizio, che un padre ha pieno diritto di scegliere per suo figlio un partito conveniente.

–Verissimo!… Qualora al figlio convenga il principale, che è la donna, il padre ha diritto di occuparsi dell'accessorio… che è la dote.

–Ebbene, vi dirò in confidenza chi sarebbe la donna, e poi mi direte francamente la vostra opinione. Si tratta della figlia unica del signor B–, della casa B. S. e Comp., di Como.

–Una bellissima ragazza… e ricchissima.

–Il padre vedovo cede alla figlia tutta la dote materna, la magnifica villa sul lago, la galleria dei quadri, e vi aggiunge un cospicuo capitale. Poi, alla sua morte il resto. Di più, la madre della ragazza era contessa, ciò che la mette in parentela colle famiglie più nobili. Trovatemi, caro Fabrizio, fra le vostre aderenze un simile partito!

–Ecco, le dirò quello che penso. Fra le mie aderenze conosco le terre dell'Orsolina;… essa le ha divise in quattro tenute; un vasetto di geranio, uno di reseda, un garofano e un rosaio. Non ha spese di coltura, perchè governa tutto da sè; non teme la grandine, perchè ad ogni minaccia li mette al coperto. Denaro non ha che quello che guadagna colle sue mani, ma siccome spende sempre meno di quanto guadagna, così ha sovente qualche risparmio da mettere alla banca del popolo. Conosco la signora B–, l'ho veduta quest'inverno a Milano; è bella, ma meno dell'Orsolina; si veste di velluto, ma lo trascina nel fango delle strade; ha carrozze e cavalli di lusso, cocchieri in parrucca, palchi in teatro, ma non so se le rendite della sua dote basteranno a pagare tutte le spese! È vero che i miei signori padroni non hanno bisogno di denaro,… e possono fare anche un matrimonio passivo, per il gusto d'avere una villa sul lago, una galleria di quadri… e un quarto di nobiltà. Alla mia Orsolina bastano i giardini pubblici e la galleria di Brera,84 nostre proprietà comuni, come cittadini milanesi,… e per la nobiltà l'Orsolina ha la sua parte, e tanto bella che non vorrebbe cederla per nessuna altra. Essa ha ereditato la medaglia del merito militare, che mio figlio ha guadagnata combattendo valorosamente nelle guerre per l'indipendenza della patria, e che morendo sul campo di battaglia ha mandata a sua sorella col mezzo d'un camerata ferito al suo fianco.

Così dicendo, Fabrizio si asciugava gli occhi gonfi di lagrime, e non potè proseguire; le parole gli rimasero strozzate nella gola alla memoria di tanto sacrificio!

Il padrone, parimenti commosso, lo guardava tacendo, quando s'aperse l'uscio, ed entrò nello studio il giovane Carlo.

–Padre mio,—egli disse,—so tutto; il cassiere mi ha informato delle vostre intenzioni; io vengo ad aprirvi il mio cuore. Amo teneramente l'Orsolina, e le ho promesso di sposarla; essa è degna di portare il nostro nome, e sarà la provvidenza della nostra casa, come lo era la povera mia madre, che dal cielo approva la mia scelta. Voi non vorrete che io manchi alla parola d'onore, sagrificando anche il mio affetto. Ho tutta la venerazione per il signor B– di Como e sua figlia, ma rinunzio volentieri a tutte le loro ricchezze e sento che sarò più felice coll'Orsolina senza dote....

–Come senza dote?—saltò su a dire Fabrizio un po' risentito.

–Se parli con lui,—soggiunse il padre di Carlo, con mal dissimulata ironia,—sua figlia è più ricca della signora B–.

–Sicuro,—rispose Fabrizio,—mia figlia appartiene alla classe che produce, e le signora B– alla classe che consuma. È facile tirarne le conseguenze. Se poi le doti morali sono da preferirsi alle materiali, chi più dell'Orsolina ha un cuor d'oro, una mente retta, un giudizio sano, un'anima onesta? È certo però che, per quanto possa essere profonda la sua affezione, essa non concederà mai la mano di sposa ad un giovane, che non abbia ottenuto il pieno consenso paterno, specialmente se questo giovane è ricco! C'è dunque realmente un pericolo, quello di passare per intriganti, o di veder mia figlia deperire per un amore infelice; noi non abbiamo altre ricchezze che l'onore e la salute, ma queste ci bastano per vivere e non abbiamo bisogno d'altro. Io condurrò mia figlia lontano da tale pericolo,… e da questo momento domando il mio congedo.

Fabrizio era sincero ed era alieno dal conoscere il proprio valore. Bensì lo conosceva il padrone che fidava interamente il buon andamento della fabbrica sull'onestà e sull'attitudine del suo capo. La partenza di lui equivaleva ad un fallimento; un buon capo-fabbrica val più d'una ricca dote; il padre di Carlo si affrettò quindi a chiedere a Fabrizio la mano di Orsolina per suo figlio; e quando alle doti morali della futura nuora aggiunse anche il valore del padre di lei, s'accorse benissimo che se mantenendo la promessa del figlio aveva fatta una buona azione, aveva conchiuso, in pari tempo, anche un ottimo affare.

ANTONIO CACCIANIGA.

IX.
RIVELAZIONI D'UN'OSTRICA

IL dotto naturalista signor X– si presentò all'Accademia scientifica di N– chiedendo d'essere ammesso a leggere in pubblica adunanza alcuni suoi studi. La domanda venne accolta favorevolmente da tutti i membri della presidenza, che lo invitarono a prender posto fra loro.

–Ella ci fa un vero onore,—gli disse il presidente.—La stampa ci porta via il lavoro dei nostri soci che preferiscono presentarsi direttamente al pubblico. I pochi che danno la preferenza alla qualità sulla quantità degli uditori mostrano il loro acume. So che Ella studia molto....

–Sì signore,—rispose il naturalista,—studio moltissimo… e non so nulla.

–Troppa modestia.... Ora siccome dobbiamo inserire gli argomenti delle letture nell'ordine del giorno delle adunanze, la prego di voler favorirmi il titolo dei suoi studi.

–Intendo di presentare all'Accademia… le rivelazioni d'un'ostrica.

La presidenza non seppe rattenere uno scroscio di risa.

–Il naturalista se ne trovò offeso.

–Che cosa c'è da ridere!—egli chiese con indignazione.—Voi ascoltate seriamente le nenie dei vostri poetuncoli, i verbosi vaniloqui dei vostri filosofi, i fantastici sproloqui dei vostri teologhi, e non potete prendere sul serio le modeste rivelazioni d'un mollusco? Vi sorprendete forse perchè vi prometto le rivelazioni d'un acefalo? O credete che colui che non ha testa non possa pensare col cuore… o collo stomaco! Non avete mai veduto degli uomini che ragionano coi pugni? Mi fareste venir la voglia di darvi un saggio di argomentazioni persuasive col solo uso delle gambe.

E così parlando si animava gradatamente, e vedendo che i dotti si facevano dei segni coi gomiti, e lo guardavano con paurosa diffidenza, la sua indignazione giunse al colmo. Si levò in piedi e disse:

–Signori… voi ignorate che il sublime sta nel semplice. Voi siete un composto d'imbecilli… e d'idioti… io vi disprezzo, e vi scaccio da questo tempio della scienza, che profanate colla vostra dabbenaggine!

E così dicendo alzò in aria una sedia, coll'evidente intenzione di rompere la testa ai membri della presidenza, che non volevano credere al linguaggio degli acefali.

Tutti gl'illustri accademici se la svignarono85 per la porta più vicina.

Allora lo sdegno furibondo del signor X– si sfogò sugli scaffali dei libri, rompendo le lastre, mandando in aria i volumi, le carte, i calamai, le lampade, e quanto gli cadde sotto mano. Poi discese le scale gesticolando; e si mise a passeggiare per la via con passi concitati, parlando da solo, e dimenando le braccia.

Alcuni agenti di questura86 avvertiti dal presidente lo seguirono per qualche tempo e quando giudicarono di poterlo afferrare senza pericolo, gli saltarono addosso, lo legarono strettamente, e lo condussero al manicomio.

Sorpreso dall'inaspettata violenza, rimase sbalordito, non oppose la minima resistenza, e si lasciò condurre macchinalmente; ma quando giunse davanti il portone del famoso ospizio, alzò gli occhi in atto di profondo disprezzo, ed esclamò:

–Adesso capisco! è il caso attribuito a Salomone di Caus!87

*   *   *

Pochi giorni dopo questo avvenimento l'Accademia tenne un'adunanza a porte chiuse, nella quale il dottore Z– fece delle comunicazioni intorno ad alcune sue recenti ricerche sulla pazzia.

Risulterebbe da studi profondi, che gli uomini sono tutti più o meno matti… senza far eccezione delle donne. I pazzi rinchiusi nei manicomii sono varietà di poca importanza, che si trovano all'ospizio per circostanze fortuite. Non sono quasi mai i più pericolosi, tanto è vero che gli assassini, che non sono altro che pazzi, si consegnano alle prigioni, e molte volte con stupida barbarie si guariscono dalla malattia di cervello, coll'amputazione della testa!

Il genio è un'esuberanza vitale, come molte altre manifestazioni intellettuali che passano per pazzie. Leggete senza pregiudizi le vite di tutti gli eroi, e vi troverete molti sintomi di pazzia. Ogni guerra offensiva è l'azione furiosa d'un pazzo seguito da migliaia d'altri pazzi. Ogni colpo di Stato che non mena al potere, conduce direttamente al patibolo. La storia non è altro che la narrazione delle più strane pazzie dell'umanità.

Il dottore Z– discendendo colle sue prove fino agli avvenimenti del giorno, parlò d'uomini illustri che vivono circondati dall'ammirazione dei contemporanei, e provò, come due e due fan quattro, che sono matti.

Ascoltando le dotte elucubrazioni dello scienziato, qualche socio credeva di scorgere nel fondo della propria coscienza un germe fosforescente di pazzia, come si vede una fiammella attraverso un vetro appannato.

Taluno ebbe paura che la scienza colle sue progressive scoperte giungesse a leggere i pensieri attraverso le pareti del cranio, e pensava già d'inventare una berretta impermeabile agli sguardi scientifici e di ottenerne il brevetto.

Tal altro pensava invece che il dottor Z– studiasse l'uomo guardandosi nello specchio, e giudicando la società come la riproduzione perpetua di sè stesso.

Però finita la comunicazione scientifica, tutti i soci indistintamente circondarono il lettore, gli strinsero la mano, e gli prodigarono le più lusinghiere congratulazioni.

Tuttavia il presidente dopo replicati elogi, pregò il dottore di voler conservare inediti tali studi, a solo beneficio della scienza, non giudicando la società abbastanza matura per conoscere positivamente i propri destini. Ed anzi allo scopo di prevenire almeno in parte i pericoli minacciati dal progresso delle scienze naturali si propose di fare una lettura in una prossima adunanza, sull'argomento seguente: "Dell'assoluta necessità d'ingannare il genere umano sulle sue origini, e sulle condizioni dell'esistenza, incominciando dall'insegnamento delle scuole elementari, e seguitando a cullarlo d'illusioni, secondo i suoi gusti speciali, per mezzo della libertà di tutti i culti."

I soci approvarono in grande maggioranza.

*   *   *

Intanto al manicomio, dopo un accurato esame del signor X–, era insorta una discrepanza di pareri fra i medici: il dottor L– lo dichiarava affetto da alienazione mentale idiopatica, con delirio ricorrente; il dottore Z– non vedeva che sintomi di neurosi ipocondriaca. Il paziente passava rapidamente da un profondo abbattimento ad eccessi d'esaltazione furibonda. Egli urlava che i veri pazzi non sono all'ospedale, che lo lasciassero andare in pace, se non volevano che diventasse pazzo davvero.

La famiglia del signor X– venne invitata ad informare sulla condotta di lui, sulle sue abitudini, occupazioni e tendenze. Venne dichiarato di carattere bizzarro, capriccioso, ineguale; ora taciturno ora impetuoso. Abitualmente chiuso in sè, immerso in profonde meditazioni, si mostrava intollerante d'ogni volgare pregiudizio, e si accendeva di collere subitanee. Misantropo, disprezzava gli uomini, e studiava i costumi delle bestie. Da qualche tempo88 aveva gettato sul fuoco tutti i libri della sua biblioteca, dichiarandoli un ammasso di assurde corbellerie. Diceva di non voler più leggere altro che il libro inesauribile della natura, e passava il giorno coll'occhio intento sul microscopio, e molte notti sul tetto a contemplare le stelle.

Tali informazioni servirono a confermare i due medici nelle loro diverse opinioni e valsero di prova, al primo per dimostrare l'evidenza della pazzia, al secondo l'evidenza contraria.

Le dichiarazioni della famiglia vennero accompagnate da alcuni foglietti manoscritti, fra i quali si ritrovarono le note seguenti:

"Nel segreto del mio gabinetto io ho interrogato un'ostrica sulle sue idee.

"Essa mi rispose:—Prima di uscire dal mare, io credeva, come tutte le mie compagne, che il mondo fosse stato creato per le ostriche; e che Iddio fosse un'ostrica gigantesca, al cui cenno tutto obbedisse. Però vi sono delle ostriche atee che negano Dio, perchè non lo vedono, si burlano delle ostriche dabbene che credono all'ignoto, e suppongono che fuori del mare tutto sia finito, non potendo immaginare un'altra vita.

"Io stessa non mi sono mai immaginata che vi potessero essere degli animali colla testa.

"Io non la trovavo necessaria, non ne sentivo il bisogno, nè per mangiare, nè per vivere, nè per fabbricare la mia casa, nè per propagare la specie.

"Quale non fu la mia sorpresa, quando cavata fuori dal mare dalla mano d'un uomo, venni posta con alcune mie sorelle in un panierino, e portata in giro per la città! Quali meraviglie! quanti splendori! quale incanto alla vista di tante cose varie, strane, incredibili! e di tanti esseri superiori alle ostriche… almeno in apparenza!

"E se nel solo piccolo mondo si trova tanta varietà d'esseri viventi e di meraviglie, che cosa deve trovarsi in tutti quei globi luminosi che girano negli spazii incommensurabili, e che brillano in ogni parte dell'infinito orizzonte!

"Anche l'uomo, come l'ostrica, non conosce che un minimo frammento del creato, un granellino di sabbia dell'universo!

"Ma l'uomo, tanto superiore alle ostriche, non deve avere la vista corta come i poveri molluschi!

"Egli non giudicherà certamente l'immensità dell'infinito ignoto, dal pochissimo che gli è noto; egli colla sua testa orgogliosa non potrà limitare il suo spirito alle idee dei crostacei, e non vorrà essere nè religioso nè ateo alla maniera delle ostriche!

"—Se io leggessi tali rivelazioni d' un'ostrica all'Accademia scientifica?

"Vado subito a chiederne la licenza."

*   *   *

Dopo avergli somministrate alcune doccie, e praticati dei salassi, il signor X– mostrandosi tranquillo, venne restituito alla sua famiglia, raccomandandogli un regime deprimente, e di vivere in calma, abbandonando affatto gli studi di storia naturale, e lasciando vivere e morire in pace gli uomini, le accademie, e le ostriche.

ANTONIO CACCIANIGA.
72.e, to be omitted.
73.quale e' si sia, whatever it may be.
74.all'atto pratico, in actual practice.
75.arnese galerabile, gallows bird; lit., harness fit for a galley.
76.vale a dire, that is to say.
77.far fede, bear witness; lit., make faith.
78.falla, make it. Consonant of pronoun is doubled.
79.Dimmi, Tell me of.
80.stato civile. The stato civile, or "social state" of persons is their condition as regards the principal facts of existence: birth, marriage, death, etc., and involves the recording of these events in the public registers.
81.Como, town north of Milan, near the Swiss frontier.
82.un ambrosiano all'antica, a Milanese of the old school.
83.va ronzando… figliuola, is hovering about your daughter; ronzare, to buzz, hum, then to rove, ramble.
84.Brera, well-known picture gallery at Milan, open to the public gratis on certain days.
85.se la svignarono, disappeared, escaped.
86.agenti di questura, police officers.
87.Salomone di Caus, a celebrated French engineer, who died about 1626. There is a story to the effect that he was imprisoned on the charge of insanity.
88.Da qualche tempo, Some time before.