Kitabı oku: «Gli albori della vita Italiana», sayfa 2
Ora, se altrove questa corrente di sensi simpatici fra i lettori ed il pubblico è diventata quasi abituale, purtroppo dobbiamo confessare che in Italia non è frequente. E la ragione è facile. Le conferenze sono freddolose; una temperatura mediocre le ammazza subito, è finchè le signore non si decideranno a frequentare con assiduità questi convegni dove l'arte o la scienza le desiderano, l'ambiente sociale e morale sarà sempre freddissimo.
La donna, che (in generale s'intende) ha i nervi più forti dell'uomo, tanto che riesce a ballare un carnevale intero senza stancarsi, si spaventa troppo facilmente all'idea di un piccolo sforzo di attenzione. La sua nativa delicatezza rabbrividisce all'idea di un quarto d'ora di raccoglimento. E se qualche lettore non la contenta, generalizza troppo e si sdegna colla instituzione intera, la sfugge e colla sua assenza la fa morire gelata. Se le signore sapessero come la loro presenza riscaldi, come i loro begli occhi illuminino questi convegni, quanto calore e luce e vita diano a tutte le cose umane il loro aspetto e la benevolenza loro, come voi, egregie Signore, sfiderebbero il pericolo di qualche momento non perfettamente allegro, mosse dall'idea di far un'opera bella, utile e veramente degna della fine cortesia femminile. Che se v'ha certezza di buona riuscita per questa colta società che promove le letture, essa sta tutta nella felice conciliazione dell'opera intrapresa, colle simpatie e colla lieta presenza dell'eterno femminino.
Se in Italia poi è città alcuna più degna di dar vita a simili imprese e dove più fausti sorridano gli auspici, senza dubbio è questa – la cara e gentilissima Firenze – dove le conferenze sembrano esser nate, e dove certo per lunghi secoli vissero prosperamente. Quando la caligine del medio evo cominciò a diradare, e gli uomini, che tornavano a sentirsi giovani, credettero alla bellezza ed all'amore, su per questi giocondi colli fiorentini, fuggendo la morìa e lo spavento, tre giovani e sette fanciulle cominciarono il più lieto corso di conferenze che sia mai stato. Infatti, che altro è il Decamerone se non una serie di conferenze amorose, ora geniali, ora brutali, scintillanti ancora dell'arguzia fiorentina, spiranti ancora l'alito dell'antica vita italiana? Ma passata la gaiezza della fiorente gioventù, quando la dolce fiamma dell'amore fu spenta, un'altra illusione sorrise agli ingegni fiorentini, l'illusione della filosofia. Ed in questa disperata ricerca dell'ideale, in questa speranza sempre vana di sapere il perchè delle cose, ecco rinascere la conferenza, e il Ficino negli Orti famosi, parlare ai fratelli in Platone e cercare affannosamente le prove del Cristianesimo nella filosofia nata già sotto i platani e gli olivi di Acadèmo. E rifiorirono le beltà dell'arte, frondeggiò l'albero della scienza in questa Atene italica che dell'antica ebbe tutto, il genio, la gloria e talvolta anche i vizi.
Caduta la giovinezza con l'amore, sfiorita colla speranza la virilità, venne il doloroso periodo della scienza che è fatta di disillusioni e di scetticismo. Già il Machiavelli leggeva i discorsi sulle Deche negli Orti neoplatonici e cercava, non più le recondite ragioni dei fenomeni universali, ma il segreto dei fatti e delle coscienze contemporanee. Il vero, il freddo vero, rimane immobile e terribile sulle ruine degli ideali e dei sogni caduti. Agli entusiasmi dell'amore, della fede, della speranza, succedono, come i vecchi ai giovani, i severi studii della realtà e della esperienza, e in questo radioso e divino sole di Toscana, Galileo trova e numera le macchie. L'Accademia del Cimento notomizza la natura, l'Accademia della Crusca notomizza la lingua. Non ci sono più entusiasmi e tutta una generazione di vecchi frigidi, lavora matematicamente precisa a scrutare, a compilare, a raccogliere; ma sul suolo spossato la pianta della conferenza vegeta ancora, diventata scientifica, erudita o anche pedante, pur tuttavia verde e vitale. Persino gli ultimi e più cinerei tempi della decadenza la videro trasformata in misere cicalate, ridotta ai puri lenocinii della lingua, ultimo belletto alla decrepitezza del pensiero; ma la videro tuttora, quasi a testimoniare della sua tenace vitalità in queste propizie aure toscane. Le annose radici gettarono polloni ancor verdi fino a che i tempi furono maturi e compiuti.
Ed ora, rinnovata ogni cosa nella vita sociale, politica e letteraria, ecco di nuovo la conferenza antica che, sotto forma di lettura, ringiovanita e rinnovata, si ripresenta ai colti fiorentini, non immemori delle gloriose loro tradizioni. E così, uscita dal pelago alla riva, si volge all'acqua perigliosa e guata il passato e si propone di dipingervi per ora il lontano periodo delle origini, il principiare dei Comuni, della Monarchia, del Papato, della lingua e dell'arte. Eccola, sotto il patrocinio di illustri uomini, col decoro di celebri nomi, ricordarvi che, nata già in Firenze, a voi, concittadini suoi, spetta il farle accoglienze oneste e liete ed assicurarle vita duratura. Eccola, per indegno ambasciatore, rivolgersi fiduciosa a voi, graziose signore, chiedendo la benevolenza e l'amor vostro che vivifica, riscalda ed illumina. Eccola, infine, ad implorare la vostra cortese pietà per la vittima della prefazione.
NOTA
Alle letture fiorentine doveva preludere l'onor. Ferdinando Martini. Ma l'illustre uomo, trattenuto a Roma da gravi doveri, non potè, ed io fui chiamato a sostituirlo.
Grato agli egregi amici che pensarono a me ed a tutti coloro che benevolmente mi accolsero e festeggiarono, mi è forza però far noto ai lettori come fu fatta questa conferenza; cioè quasi all'improvviso. Ed essendo prefazione ad un libro ancora da farsi, non poteva darne che cenni vaghi con parole inconcludenti. Si trattava di menare il can per l'aia un paio di quarti d'ora, tanto per cominciare. Il che mi sia di scusa presso coloro che cercheranno qualche cosa qui, e non la troveranno. O. G.
LE ORIGINI DEL COMUNE DI FIRENZE
DI
PASQUALE VILLARI
I
Signori e Signore.
Chiunque sente annunziare una conferenza sulle origini di Firenze, immagina subito una serie svariata di avvenimenti fantastici e pittoreschi: castelli feudali; associazioni di operai, che combattono intorno al Carroccio; poeti; pittori; l'origine delle arti, della lingua, della cultura italiana. Chi invece ha l'onore di fare la conferenza, e si pone a studiare coscienziosamente il soggetto, si trova dinanzi alcuni brani di vecchi annalisti, i quali contengono una serie scarsa di aride notizie, poco più che dei nomi e delle date: le date spesso sbagliate, i nomi non sempre intelligibili. È facile immaginarsi come gli antichi sciupassero qualche volta i nomi, se noi pensiamo che, per esempio, un cronista quale era Giovanni Villani, nel parlarci di Federico II di Svevia, di Corradino e degli altri della famiglia Hohenstaufen, di Casa Sveva, traduce questo nome in Stuffo di Soave. E così avvenne che gli scrittori moderni, in tanta scarsità di notizie, ricorsero fra di noi al partito di rinunziare addirittura a discorrere delle origini di Firenze. Basti dire che l'illustre marchese Gino Capponi, nella sua grande opera, dopo una brevissima introduzione, fa un salto fino alla morte della Contessa Matilde, e poi in dodici pagine tratta più di un secolo di storia, arrivando fino al 1215.
Gli antichi si trovarono dinanzi a questa medesima difficoltà. Ma essi seguirono un metodo molto semplice. Il Villani ed altri cronisti, non trovando notizie sulle origini di Firenze, ci dettero una leggenda, che non ha nessun fondamento storico, e non ha neppure la poesia che si trova nelle leggende che circondano le origini di Roma e delle città della Grecia. È una leggenda, invece, che qualche volta manca addirittura di senso comune. Basti dire che in essa (quale almeno la leggiamo nel Malespini) ci si descrive la moglie di Catilina, che, il giorno della Pentecoste, va a sentire la messa nella Canonica di Fiesole.
Bisogna quindi ricorrere ai documenti; ma i documenti fiorentini che noi abbiamo, cominciano quando già il comune esisteva da un pezzo. È naturale che il Comune non potesse fare dei trattati, delle leggi prima di cominciare ad esistere. Abbiamo quindi bisogno d'aiutarci colla storia generale del tempo, coi documenti posteriori, o di altri luoghi vicini; di interpretare delle frasi; fare delle indagini, per potere, retrocedendo con la induzione, cercare la spiegazione degli avvenimenti anteriori. E così è che a voler fare davvero una buona conferenza sulle origini di Firenze, bisognerebbe farla estremamente noiosa.
Ma si dirà: perchè scegliere allora un tale argomento? Ve ne sono tanti nella storia d'Italia meno oscuri e più dilettevoli. Perchè scegliere questo appunto delle origini? Il vero è che esso ha pure la sua grande importanza, la quale risulta da più e diverse cagioni. E prima di tutto ve n'è una assai generale. Il Comune italiano è una istituzione che creò la società moderna. Il Medio Evo non conosceva lo Stato; l'Europa era divisa in castelli feudali, in associazioni, quasi in piccoli gruppi e frammenti. Al di sopra di questi frammenti, in cui la società si era sgretolata, v'erano due grandi, due universali istituzioni: l'Impero e la Chiesa; l'Impero, che rappresentava il principio giuridico e politico del mondo; la Chiesa, che rappresentava l'unità del principio religioso. Ma queste due istituzioni, appunto perchè universali, non potevano favorire la costituzione dello Stato moderno, nazionale. Il Comune si pose a tale opera, e gettò le basi dello Stato moderno. Il Medio Evo non conosceva la civile uguaglianza; l'aristocrazia era una casta separata dal resto della popolazione; essa in Italia rappresentava il sangue straniero. I lavoratori, specialmente i lavoratori della terra, non erano liberi, erano attaccati alla gleba, erano in condizioni servili. Il Comune italiano proclamò l'indipendenza del lavoro, l'uguaglianza degli uomini. Queste sono le basi su cui si fonda la società moderna; e così noi, studiando le origini del Comune, veniamo come a studiare le origini della società di cui facciamo parte, a cercare quasi le origini del nostro proprio essere civile. Quindi è che tutti i problemi, i quali si riferiscono alle origini dei Comuni italiani hanno una grande importanza, destano un singolare interesse. Questa è anche la ragione per la quale si è tanto disputato, per sapere se il Comune discendeva dalle istituzioni e dalla cultura romana o doveva invece la sua esistenza ad un principio nuovo, portato fra noi dai popoli germanici, i quali avrebbero così avuto il vanto d'aver messo le prime basi alla moderna civiltà. Il patriottismo si è mescolato in questa disputa, ed ha reso sempre più difficile il trovare una soluzione imparziale e scientifica.
Ma pel Comune di Firenze v'è ancora una ragione speciale, che rende maggiore la sua importanza, e più vivo il desiderio d'indagarne le origini. Esso è il più democratico di tutti quanti i Comuni italiani, è quello che ha più di tutti lavorato per l'uguaglianza civile degli uomini. Uno storico, assai celebre, il Thiers, appunto per questa ragione, aveva deciso di dedicare gran parte della sua vita alla storia di Firenze. Egli diceva: nessun altro Comune ha, nel Medio Evo, affrontato tanti problemi economici, politici, sociali, e nessuno s'avvicinò tanto alla loro soluzione; nessun creò un così gran numero di nuove, ingegnose, mirabili istituzioni, come il Comune di Firenze. Ed aveva perciò in molti anni raccolto una vasta serie di materiali, che andarono poi bruciati al tempo della Comune di Parigi. Ma vi è di più. La storia fiorentina si può dire che sia a tutti noi notissima. Nessun paese in fatti ha avuto un così gran numero di sottoscrittori che l'abbiano illustrata. Ogni avvenimento, ogni individuo, ogni pietra di Firenze fu oggetto di lunghi studi, di dotte ricerche. Le sue rivoluzioni furono descritte con grande eleganza di stile, ed i personaggi che si presentano nella sua storia, sono a noi tutti famigliarissimi. Ma, ciò non ostante, la storia di Firenze apparisce assai spesso come un enigma. Rivoluzioni succedono a rivoluzioni, senza che noi possiamo capire il perchè di tanta irrequietezza. Questo popolo sembra non avere e non lasciar mai pace e nessuno. Per un matrimonio avvenuto in un modo piuttosto che in un altro, perchè il Buondelmonti, invece di sposare l'Amidei, sposa la Donati, non basta averlo pugnalato sul Ponte Vecchio, ai piedi della statua di Marte; ma la cittadinanza intera si divide in Guelfi e Ghibellini, che lacerano la Città per secoli, e non si acquetano mai fino a che non sorge la tirannide ad opprimerli tutti. E vien fatto qualche volta di chiedere: che cosa vogliono questi Fiorentini, che empiono continuamente di tumulto e di sangue le strade della loro bella città? Perchè non posano mai? Sono essi così assetati di sangue, così pieni del desiderio della vendetta, da non poter trovare nè lasciare tregua a nessuno?
Ma quando ci facciamo questa domanda, il mistero cresce ancora più, perchè in mezzo a tanto tumulto, noi vediamo fiorire splendidamente le arti della pace. Il commercio, le industrie dei Fiorentini riempiono colle loro manifatture tutti quanti i mercati dell'Europa, dell'Oriente e dell'Occidente. E, come se questa contraddizione fosse poca, a crescere ancora più il mistero, noi vediamo qui sorgere le più pure, le più ideali immagini che la mente umana abbia mai saputo creare. La Beatrice di Dante, la Santa Cecilia di Donatello, le Madonne di Luca della Robbia, i Santi, gli Angeli di Benozzo Gozzoli e di Beato Angelico sorgono in mezzo a questo tumulto infernale, così splendidi e numerosi, che noi siamo spinti a domandarci: di dove mai essi vengono? chi li ha creati? Essi sembrano discesi in una bolgia infernale, come l'Angelo di Dante, che, a piedi asciutti, sdegnoso, frettoloso, traversa la palude Stige, rimuovendo con la mano dal viso le ingrate esalazioni. E allora nasce la speranza, che forse, studiando le origini del Comune, vedendo in che modo esso fu costituito, di dove questa società è partita, dove si è fin dal principio indirizzata, la ricerca, per quanto arida, per quanto penosa ed incompiuta, possa gettare una qualche luce sugli avvenimenti posteriori della storia fiorentina. Ed è perciò che gli scrittori moderni si sono oggi più che mai rivolti nuovamente a studiare le origini di questo Comune. Cerchiamo dunque di affrontare l'arido problema. E qui ho bisogno di raccomandarmi non solo alla vostra indulgenza, ma anche a tutta la vostra pazienza.
II
Innanzi tutto, come ho già accennato, ci si presenta una leggenda. Questa incomincia da Adamo, poi salta ad Attalante, il quale viene a cercare il luogo più salubre d'Europa, per formarvi una città. Trova questo luogo sulla collina che è a settentrione di Firenze, e col consiglio e l'aiuto di un astrologo, vi costruisce una città, unica al mondo per la sua salubrità, e che perciò vien chiamata Fiesole, Fie-sola. Ciò che vale a darci un'idea della rozzezza di questa leggenda, si è il modo in cui essa spiega il nome di quasi tutte le città della Toscana. Lucca si chiama Lucca da lucere, perchè i Lucchesi furono i primi ad accertare la luce del Cristianesimo. Pistoia si chiama Pistoia perchè in quella campagna fu già grandissima guerra ai tempi di Catilina, tale che vi morì così gran gente, che si sviluppò la peste, donde il nome di Pistoia. Siena è nel luogo in cui i Francesi, andando a combattere i Longobardi, che erano nel mezzogiorno d'Italia, lasciarono tutti i loro vecchi. Di qui il nome Senæ, Senarum, adoperato in plurale. Pisa è nel luogo dove i Romani pesavano i tributi dei popoli soggetti. Era necessario pesare contemporaneamente in due luoghi diversi, e però, Pisæ Pisarum, al plurale.
La leggenda prosegue dicendo che Attalante ebbe varii figli, uno dei quali, Dardano, andò a fondare la città di Troia, e quindi narra l'assedio e l'incendio di questa città, la fuga di Enea, l'origine di Roma. E qui si salta a Catilina, che venne a Fiesole, inseguito dai Romani, comandati da un generale, il quale si chiamava Fiorino, e fu disfatto sulle rive dell'Arno. Cesare allora venne a vendicarlo, e fondò in suo onore, sull'Arno, la città di Firenze, la quale fu costruita come una piccola Roma, con tutti i monumenti che erano nella Città eterna, il Campidoglio, l'Anfiteatro, le Terme, il Foro, e fu chiamata perciò la piccola Roma. Vengono poi i barbari, e Totila distrugge Firenze; ma Carlo Magno la ricostruisce. E finalmente arriviamo alla guerra che Firenze muove a Fiesole, distruggendola.
Che cosa possiamo noi cavare da questa leggenda, la quale fu certo compilata nel secolo duodecimo, il secolo cioè in cui nacque il Comune fiorentino? Innanzi tutto ne caviamo, che nel secolo in cui Firenze nasceva, i Fiorentini avevano la mente piena di idee e di tradizioni romane. Qui noi non troviamo tracce di tradizioni germaniche, anzi la leggenda sembra respingerle sdegnosamente ogni volta che si presentano. In una delle sue compilazioni, si ricorda essere stata opinione molto diffusa, quella che diceva la famiglia Uberti venuta di Germania, discesa dall'imperatore Ottone. Ma ciò, si aggiunge subito, è un errore, perchè gli Uberti discesero invece dal sangue di Catilina «nobilissimo re di Roma». Questi ebbe un figlio, Uberto Cesare, a cui una moglie fiesolana dette 16 figliuoli, uno dei quali fu mandato da Augusto a sottomettere la Sassonia, che s'era ribellata, e colà sposò una dama tedesca, da cui nacque Ottone imperatore. E così non sono già gli Uberti discesi dagl'imperatori tedeschi; ma gl'imperatori sono discesi dagli Uberti di Firenze, i quali vengono dal sangue di Catilina romano. La leggenda ci dice ancora che tra Fiesole e Firenze vi fu un antagonismo perpetuo. Fiesole infatti è città etrusca, Firenze città romana. Tutti i nemici di Roma sono, secondo essa, nemici di Firenze; tutti gli amici di Roma sono amici di Firenze; Cesare, Fiorino, Augusto. Carlo Magno è quello che ricostruisce Firenze, dopo la distruzione fattane da Totila, ed esso è il restauratore dell'Impero. Totila rappresenta i barbari che lo distrussero. Catilina, nemico di Roma, è l'amico di Fiesole, il nemico di Firenze.
Se noi guardiamo alle poche notizie storiche che abbiamo su tutto ciò, vedremo che la leggenda non fa altro che ripeterle nel suo fantastico linguaggio. Fino dai tempi di Dante era noto che Firenze discese da Fiesole ab antico, ed il Machiavelli ci dice che Firenze fu una città, la quale nacque dai mercanti fiesolani, che vennero a cercare un emporio sull'Arno, là dove il Mugnone si congiunge con esso. Fondarono delle capanne, le quali divennero case, e le case formarono più tardi una città. Questa si formò, secondo tutte le notizie che abbiamo, due secoli circa innanzi Cristo. Era un municipio florido al tempo di Silla, e gli scavi recentemente fatti hanno confermato tali notizie, essendosi trovate monete, colonne, ruderi, i quali provano che la Città a quel tempo aveva già le terme ed un Anfiteatro di pietra. Augusto la restaurò e vi fondò, secondo alcuni, una colonia, che fu chiamata perciò Julia Augusta Florentia. Secondo altri, la colonia fu fondata invece da Silla. È certo che Firenze ebbe mura romane, le quali esistevano ancora a' tempi del Villani, e qualche avanzo se n'è ritrovato ai giorni nostri. Il suo anfiteatro fu in tutto il Medio Evo conosciuto col nome di Parlascio, e di esso qualche traccia può vedersi ancora nel Borgo dei Greci. Le Terme erano presso la strada che oggi porta questo medesimo nome. La città aveva pure il suo Campidoglio, in Mercato Vecchio, nel luogo dove fu la Chiesa lungamente chiamata di Santa Maria in Campidoglio. Era nondimeno piccolissima; non solamente non andava al di là d'Arno, ma anche la strada che ora è chiamata Borgo Santi Apostoli, rimaneva fuori delle mura. Questo è tutto quello che noi sappiamo dei tempi più antichi.
Quanto alla notizia poi che ci dà la leggenda, della distruzione di Firenze per opera di Totila, essa non è vera che in parte. È certo che Totila coi Goti venne in Toscana, verso la metà del sesto secolo, la oppresse, la saccheggiò, entrò in Firenze, e la trattò assai duramente, ma non la distrusse. Se non che Firenze allora, e durante tutto il dominio dei Longobardi, cadde in una così grande oscurità, che par quasi scomparsa dal mondo, e nei documenti è qualche volta menzionata, come se non fosse altro che un borgo di Fiesole. La leggenda esprime tutto questo, dicendo che Totila distrusse Firenze. E siccome essa incominciò finalmente a risorgere alquanto al tempo dei Franchi, sotto Carlo Magno, così la leggenda, seguendo sempre lo stesso metodo, dice che Firenze fu ricostruita da Carlo Magno. Questi vi si fermò per celebrarvi il Natale nel 786, e dopo di lui molti Imperatori, trovandola sulla via di Roma, dove andavano a prendere la corona, vi si fermarono del pari. Più volte ci vennero anche i Papi, quando i frequenti tumulti popolari li cacciavano dalla Città eterna. Alcuni di essi morirono a Firenze, dove tennero Concilio, ed Alessandro II vi fu eletto. Certo è che le continue relazioni di Firenze con Roma cominciarono a farla risorgere alquanto dalla profonda oscurità in cui era caduta durante il dominio longobardo.