Kitabı oku: «Gli albori della vita Italiana», sayfa 3
III
È noto che i Longobardi per due secoli oppressero duramente l'Italia, ponendo nelle città principali i loro duchi. A questi i Franchi sostituirono poi i conti. Ma perchè i Ducati erano assai grandi, e i duchi troppo potenti, i Franchi, non volendo che questi principi mettessero a pericolo l'unità e la forza dell'Impero, resero più deboli i conti e più piccoli i loro Comitati. Sui confini dell'Impero occorreva però aver forza maggiore alla difesa, quindi vi crearono quello che chiamarono Marche, le quali erano grossi Comitali, e i conti che le comandarono, furono Mark-grafen, margravi, marchesi. La Toscana fu uno di questi Margraviati. Il marchese o duca, giacchè qui usavano allora l'uno e l'altro titolo, aveva il supremo comando, in nome dell'Impero, e al disotto di lui erano i conti. Al tempo di questi margravi, Firenze rimase lungamente una città oscura. Pisa e Lucca cominciarono a sorgere più presto, la prima perchè favorita dalla sua posizione sul mare; la seconda perchè, stata già sede dei duchi longobardi, era adesso sede principale dei margravii. Conseguenza di questa forma di governo stabilitasi in Toscana, fu che, mentre in Lombardia ed in tutta l'Italia settentrionale, gl'Imperatori favorivano i nobili minori ed i vescovi, a danno dei maggiori, che volevano indebolire, l'esistenza dei margravii in Toscana portò invece l'indebolimento dei conti minori, dei vescovi, ed in generale uno svolgimento meno vigoroso del feudalismo.
Questo stato di cose durò fino ai tempi della contessa Matilde, la quale comandava nella Toscana, ed in gran parte dell'Italia centrale. Essa si trovò trascinata nella lotta fra l'Impero e la Chiesa, fu severa contro quelle città, quei conti e nobili che non s'univano a lei, ma favorivano l'Impero. È questo il momento in cui Firenze, stata quasi sempre amica dei Papi, cominciò a prosperare, senza che però il Comune si fosse ancora formato. Il vederlo così tardi apparire è un fatto che stimolò continuamente l'attenzione degli storici, i quali non si seppero rendere ragione del perchè un Comune che poi progredì con tanta rapidità, dovesse essere quasi l'ultimo a sorgere. Infatti esso ci si presenta, non solamente dopo i Comuni di Venezia, di Amalfi, delle principali città marittime, che precedettero tutte le altre; non solamente dopo i Comuni lombardi; ma anche dopo i Comuni stessi della Toscana. È questo un altro dei tanti misteri, che troviamo nella storia di Firenze.
Il primo segno, che incominci a farci vedere come già si formi una cittadinanza fiorentina, e ci presenta non un Municipio, ma quasi l'ombra lontana d'un Municipio che vuole apparire, è un fatto assai strano. Nel 1063 il popolo di Firenze si ribellava contro il suo vescovo Mezzabarba, perchè lo credeva eletto simoniacamente, cioè per danaro pagato al duca Goffredo, marito di Beatrice, la madre di Matilde. Volevano che il vescovo si dimettesse, e le passioni si accesero perciò a segno che centinaia e centinaia morirono senza sacramenti, piuttosto che riceverli da preti ordinati dal vescovo simoniaco. Il Papa disapprovò questa condotta, ma invano scrisse e mandò suoi messi a calmare gli animi. Quando il furor popolare era al colmo, un frate dell'ordine di Vallombrosa, del quale si narra che era stato guardiano di giumenti, si offrì di passare attraverso al fuoco per provare che il vescovo non era legittimamente eletto. La prova ebbe luogo presso la Badia di Settimo e noi abbiamo un documento del tempo, che minutamente descrive il fatto. In esso si racconta, che il vescovo aveva minacciato coloro che non volevano obbedirgli, di farli «non condurre, ma trascinare» dinanzi al Præses dal Municipale Præsidium, e di fare confiscare i loro beni dal Potestas.
Queste sono le prime parole che incominciano a farci vedere l'esistenza di alcune magistrature, magistrature però che esistono prima che il Comune sia nato, e si connettono ancora con le istituzioni feudali. Il Potestas però qui non ha nulla da fare col Podestà, che si trova più tardi; non è altro che il margravio, il duca Goffredo. Qui come altrove noi troviamo nei documenti del tempo nomi romani anche per indicare idee e istituzioni germaniche. Il Municipale Præsidium non poteva essere che un presidio, dal duca Goffredo e poi dalla contessa Matilde tenuto in Firenze. Ma il chiamarlo Municipale fa credere che fosse composto di cittadini, e dimostra che la Città cominciava a sentire la sua personalità, la sua individualità. La narrazione degli avvenimenti citati, è fatta in forma di lettera scritta al Papa, in nome del Clerus et Populus Florentinus; e le lettere che San Pier Damiano, incaricato dallo stesso Papa di calmare il furore popolare, mandava a Firenze, sono indirizzate: Civibus florentinis. Noi dunque non abbiamo ancora il Comune, ma ci accorgiamo che oramai è vicino a sorgere. Pure esso tarda ancora, e lo vediamo, la prima volta, apparire, quando già altri Comuni vicini si sono non solamente formati, ma cominciano a prosperare.
E qui si presenta una prima osservazione, la quale giova anch'essa a spiegarci, perchè mai il Comune fiorentino nacque più tardi degli altri. La condizione geografica di Firenze ebbe in ciò una parte grandissima. Se la città si fosse trovata sulla pianura, come Lucca e Pisa; se si fosse trovata sulla collina, come Siena, Arezzo, i nobili avrebbero avuto interesse ad entrarvi, perchè i cittadini, che alla nobiltà erano avversi, avrebbero avuto non piccolo vantaggio nell'assalire i castelli nella valle o nella pianura. Ma Firenze essendo invece nella valle, circondata da colline, sulle quali erano moltissimi castelli che l'accerchiavano, i nobili avevano una posizione vantaggiosa, che tornava loro conto mantenere, perchè così potevano più facilmente minacciare e vincere la cittadinanza. Da questo fatto vennero due conseguenze. La prima fu che il Comune fiorentino, col suo territorio, come dice il Villani, tutto incastellato, stretto cioè da un cerchio di castelli feudali, non poteva facilmente espandersi; e così il suo nascere e la sua indipendenza furono da tali condizioni ritardati. La seconda conseguenza fu, che tra i nobili e gli abitanti della Città, la maggior parte dei quali erano commercianti o artigiani, nacque un antagonismo molto più profondo e duraturo, che non si vide a Pisa, a Siena, a Lucca, in alcun altro dei Comuni italiani. La democrazia e l'aristocrazia si trovarono di fronte, separate in due campi avversi, senza potersi fra loro mai conciliare.
IV
Così noi abbiamo una spiegazione del perchè il nostro Comune sorse più tardi degli altri, e la spiegazione del perchè, sin dal principio, esso ebbe un carattere più democratico. E questo ci viene indirettamente confermato dai documenti toscani, nei quali, quando si parla di Firenze, non troviamo quasi mai la parola nobiles, che pure s'incontra assai spesso quando si parla di Pisa, di Siena, di Lucca. Ma oltre di ciò, bisogna osservare che questa cittadinanza (se così dobbiamo ora chiamarla) di Fiorentini, che apparisce già formata prima del Comune, non era costituita quale noi ce la potremmo immaginare oggi. Essa era divisa in un numero grandissimo di piccoli gruppi, sopratutto associazioni di arti e mestieri, le quali erano una trasformazione delle antiche Scholæ romane, quali le troviamo a Ravenna ed a Roma in tutto il Medio Evo. Queste associazioni primitive, informi di arti e mestieri, noi le vediamo a Venezia, fin dal nono secolo, ricordate nella cronaca Altinate. E sebbene i documenti e le cronache di Firenze non ce ne parlino, perchè noi non possiamo pretendere di trovare nè documenti nè cronisti d'un Comune che ancora non esisteva, che ancora non aveva proclamata la sua indipendenza, ciò non basta a negare che la cittadinanza fosse già divisa in gruppi più o meno ordinati e costituiti. Questa divisione anzi è quella che ci fa intendere come mai, prima che fosse nato il Comune, la società potesse prosperare di ricchezza e di forza, tanto da muoversi qualche volta a far guerra per proprio conto. Il governo locale s'andava formando in queste associazioni embrionali, le quali, coi loro capi, reggevano la cittadinanza, senza bisogno d'un governo centrale; così la prosperità poteva crescere e l'indipendenza esistere di fatto, prima che di diritto, prima che il Comune fosse nato. Di maniera che alla contessa Matilde bastava avere nella Città un presidio composto di Fiorentini, i quali, in nome di lei, facevano quello che la Città voleva. Ai Fiorentini non giovava dichiararsi indipendenti prima del tempo. Quando si fossero allora separati dalla Contessa, questa, col solo abbandonarli, li avrebbe lasciati in balìa di tutti quei nobili che d'ogni lato li circondavano. Prima dunque d'arrischiarsi ad un tal passo ardito, dovevano mettersi in grado di poter combattere e demolire i vicini castelli, sentirsi forza sufficiente a condur soli una guerra lunga e difficile. Perciò essi tardarono tanto, e così può dirsi che il Comune esista già prima che sia nato.
Nel 1081 noi troviamo che l'imperatore Arrigo concedeva ai Lucchesi di poter liberamente commerciare nei mercati di San Donnino e Capannori, dai quali esplicitamente escludeva i Fiorentini. Ciò vuol dire che il commercio di questi era già grande abbastanza e temibile, in un tempo nel quale noi siamo ancora lontani dal veder sorgere il Comune. Con gli artigiani v'erano anche delle famiglie di signori, di grandi, che si chiamavano Sapientes, Boni homines, i quali a Firenze non erano nè conti nè visconti o duchi; erano quasi sempre nobili decaduti, che, non potendo vivere nel contado colla società feudale, s'erano ridotti in Città, o erano nuovi ricchi, saliti su dal popolo, col quale serbavano sempre stretti legami. Erano anch'essi associati fra loro, e possedevano in comune delle torri, intorno alle quali cominciarono a formare le cosidette Compagnie o Società delle torri.
Tali sono le condizioni in cui noi ci possiamo immaginare Firenze, prima che il Comune nascesse. E tanto è vero che i Fiorentini avevano già di fatto una indipendenza reale, prima che avessero una indipendenza legale, che noi troviamo nel 1107, nel 1110, nel 1113 tre guerre da essi combattute contro i vicini castelli di Monte Orlando, di Prato, di Monte Cascioli, vincendo i Cadolingi e gli Alberti, conti allora potentissimi. E queste guerre furono condotte nell'interesse commerciale delle Città, contro il feudalismo, il che ci riconferma nella opinione, che le forze crescenti della cittadinanza venivano dal commercio e dall'industria, e che gli artigiani dovevano formare la parte principalissima di quella cittadinanza, se tutto si faceva a loro vantaggio.
Un altro fatto che, in tanta scarsità di notizie, ha pure la sua importanza, si è che nel 1113, quando i Pisani andarono all'impresa delle Baleari contro i Saraceni, temendo che la loro città potesse essere assalita dai Lucchesi, ne affidarono la guardia ai Fiorentini. E questi presero subito il loro campo fuori delle mura, con ordine ai soldati, che nessuno, pena la vita, osasse entrare nella Città, perchè non volevano che fosse fatto ingiuria ad alcuno, sopra tutto alle donne: non volevano che la lealtà fiorentina potesse essere neppure un momento sospettata. Uno solo, violando le leggi della disciplina, osò entrare in città, e fu messo a morte. I cronisti raccontano tutto ciò con molti particolari che tradiscono la leggenda. Nondimeno questo ed altri simili racconti ci dicono, che i Fiorentini erano allora in concetto di una grande lealtà d'animo, di una grande moralità di costumi, e ciò risponde anche a tutte le descrizioni che i cronisti ci fanno dei tempi più antichi del Comune, risponde alla descrizione che ci fa Dante di Firenze, quando viveva sobria e pudica. Il Villani si ferma con orgoglio a descrivere la semplicità di quei costumi, e finisce col dirci, che una dote di 100 lire era allora una dote comune, e una di 300 lire era tenuta dota isfolgorata. Dal che noi possiamo nuovamente concludere, che nella Città non potevano esservi ancora nè una vera aristocrazia, nè costumi feudali. Vediamo semplicemente i costumi dei primi artigiani fiorentini, costumi che continuarono a durare un pezzo nella loro antica purità.
Ma perchè tutti questi fatti non hanno grandi narratori, non hanno molti documenti? Torniamo a ripeterlo, perchè il Comune non era nato, non poteva quindi fare trattati in suo nome; e se combatteva per proprio conto, lo faceva col consenso di Matilde, dalla quale tuttavia dipendeva, dalla quale non era e non voleva essere indipendente, perchè non gli conveniva.
V
Ed ora, o Signori, siamo all'anno 1115, anno in cui muore la contessa Matilde, e l'indipendenza del Comune incomincia. Come incomincia? Prima di tutto l'esercizio principale del potere di Matilde in Firenze, consisteva nel rendere giustizia solenne nei tribunali che presiedeva; e noi abbiamo in fatti molte sentenze da lei pronunciate. Un dotto scrittore tedesco ha esaminato queste sentenze, ed ha osservato che in esse, a poco a poco, il carattere germanico margraviale del tribunale si andava alterando, sotto l'azione crescente del diritto romano. E quale era questa alterazione? Secondo l'antica usanza, il presidente del tribunale pronunziava solennemente le sentenze, le quali esso formulava col parere dei giudici. A poco a poco l'importanza dei giudici crebbe in maniera, che il presidente divenne inattivo, fece cioè poco più che pronunziare la sentenza da altri apparecchiata. Questo fatto semplicissimo portò che la presenza di Matilde cominciò a divenire quasi superflua, a segno che essa di tanto in tanto non intervenne nei giudizii, lasciando i tribunali a sè stessi. Negli ultimi quindici anni della sua vita, noi infatti non la vediamo quasi più comparire nei tribunali fiorentini. I giudici che spesso erano fiorentini, pronunziarono allora essi le sentenze, e così i cittadini si trovarono già fino dai tempi della Contessa, ad esercitare uno dei principali attributi della sovranità. Di maniera che, quando essa morì, restò un popolo, che non era ancora libero e indipendente davvero, ma che aveva già fatto guerre per proprio conto, e si amministrava da sè stesso la giustizia.
Quando la contessa Matilde scomparì dalla scena del mondo, vi fu nell'Italia centrale un periodo di estrema confusione. Essa aveva lasciata erede di tutti i suoi beni la Chiesa, la quale perciò voleva assumere il governo della Toscana. Ma il Margraviato apparteneva all'Impero che voleva riprenderlo. La Contessa poteva disporre dei soli beni allodiali, non dei feudali. Distinguere gli uni dagli altri non era facile, spesso non era possibile; e così ne nacque una crisi economico-sociale-politica. Il Margraviato ne andò in fascio, e le sue varie parti si separarono, per mancanza di un'autorità superiore che potesse esercitare il potere. In mezzo a questo stato di cose, Firenze si trovò libera e indipendente, senza quasi avvedersene, senza quasi sentire il bisogno di avere un nuovo governo. La società era già tutta quanta in mano delle associazioni; di un governo centrale v'era appena bisogno. Quelle famiglie che avevano comandato il presidio, che avevano amministrato la giustizia in nome di Matilde, continuarono a farlo in nome del popolo, e furono i Consoli del Comune. Quale è il primo segno di questa indipendenza? La ripresa della guerra contro il Castello di Monte Cascioli, che fu demolito e bruciato. Questo fatto ebbe una speciale importanza.
L'imperatore Arrigo IV aveva mandato un tale Rabodo a restaurare l'autorità dell'Impero in Toscana. Questi, a San Miniato al Tedesco (che allora cominciò ad essere così chiamato) raccolse i nobili, per riprendere, in nome del suo sovrano, il potere; andò poi alla difesa di Monte Cascioli e i Fiorentini, combattendo il Castello, combatterono il vicario e lo uccisero. Così essi presero finalmente il loro partito, e dichiarandosi avversi all'Impero, divennero un Comune indipendente, senza quasi accorgersene. E questa è la ragione per la quale gli storici rimasero maravigliati e confusi. Come! Firenze la patria di Dante, la patria di Michelangelo, quella che ha avuto così gran parte nella coltura del mondo, nasce senza che nessuno se ne avveda? Vi deve essere qualche errore, vi devono essere stati documenti ora scomparsi, deve essere avvenuta una catastrofe che è stata dimenticata. Non è avvenuta nulla di ciò. Firenze aveva cominciato ad essere di fatto indipendente; continuò per la medesima via, quando scomparve la contessa Matilde. La rivoluzione avvenne senza grandi scosse, senza quasi che alcuno se ne avvedesse. Ma gli scrittori come Giovanni Villani non sapevano persuadersi di dover cominciare così modestamente la storia della Città, essi che vivevano nei giorni in cui la patria loro primeggiava e risplendeva. E però, quando nel 1300, al tempo del giubileo, il Villani si trovò a Roma, e ne ammirò i grandi monumenti, «io voglio scrivere, esso diceva, la storia di Firenze, perchè Firenze è figlia di Roma, ed è ora nel suo salire, quando invece Roma è nel suo cadere.» Pieno di questa idea, voleva imitare Tito Livio, e scoprirvi qualche cosa di simile alle origini di Roma. Trovando invece una città nata modestamente da un gruppo di mercanti, arrivata alla libertà e indipendenza senza fare alcun rumore, non se ne contentava, non se ne persuadeva, e ricorreva invece alla leggenda, che connetteva Firenze con Roma, con Troja, con Enea, e la narrava come se fosse storia. Per queste stesse ragioni anche i moderni cercarono nella storia quello che non v'era. I fautori dell'origine germanica dei Comuni non vogliono credere che questa cittadinanza si sia potuta formare di artigiani, senza che vi sia entrato elemento feudale germanico; lo cercano, e non ve lo trovano, e non sanno di ciò persuadersi. Gli scrittori italiani, se sono nemici del Papa, ghibellini, non si persuadono che questa repubblica, la patria di Dante e del Machiavelli, sia nata, si sia formata, sotto la contessa Matilde, amica del Papa, e protetta da lei. E vanno anch'essi in cerca di avvenimenti che non seguirono mai. Gli scrittori guelfi, è vero, si rassegnano a ciò più facilmente assai; ma non sanno neppur essi capire come mai Firenze sia potuta nascere dopo di Pisa, di Lucca, di Siena, di tante altre città. Così tutti cercano quello che non si può trovare, perchè non avvenne mai, e non vogliono vedere la verità che è chiara e lampante sotto i nostri occhi, e sta tutta nelle poche notizie certe che abbiamo. Altre non ve ne sono, altre non sarà facile, non sarà possibile, io credo, trovarne.
VI
La Repubblica si formò dunque come da sè stessa. I capi delle famiglie, i quali avevano giudicato, comandato il presidio, guidato l'esercito in campo, divennero i Consoli. I capi delle associazioni, insieme coi loro aderenti, formarono il Consiglio, che si chiamò anche Senato. Nelle grandi occasioni, quando si trattava d'affari assai importanti, si sonava la campana e si raccoglieva il popolo a Parlamento. E questo era il Comune fiorentino. Noi però non dobbiamo immaginarci che un tal governo avesse l'importanza che hanno i governi delle società moderne, perchè in Firenze il governo vero restava sempre nelle mani delle associazioni. Ciò è tanto vero, che nei documenti, nei trattati che si fanno fra città e città, si dice spesso che saranno eseguiti dai Consoli, se vi saranno, e se non vi saranno, li faranno eseguire i Boni homines, i capi delle Arti o altri cittadini. Il governo centrale aveva un'importanza assai secondaria, il che ci spiega ancora, come mai, in quelle continue rivoluzioni, in quei continui mutamenti di leggi e di statuti, quando a noi pare qualche volta che un governo più non esista, le cose potessero nondimeno procedere secondo il loro ordine naturale e normale. La Città passava di rivoluzione in rivoluzione, senza che alcuno sembrasse turbarsene, e quando a noi parrebbe che dovesse seguirne il finimondo, tutto invece continuava secondo il solito, perchè il governo era sempre restato in mano delle associazioni. Non era uno Stato accentrato come i moderni, era una specie di confederazione di arti e mestieri, di consorterie, di società diverse. Questo carattere generale lo troviamo in tutti i Comuni italiani, ma in Firenze più che altrove. Ciò spiega in gran parte la prodigiosa attività e intelligenza popolare di quei tempi. Il cittadino era ogni giorno chiamato a prender parte alla cosa pubblica; la discussione era continua; continui gli attriti nei quali si formava e svolgeva una varietà infinita di caratteri, di attitudini morali, industriali, politiche. E spiega ancora come, in mezzo a così incessanti tumulti, potessero così splendidamente fiorire le arti della pace: l'industria il commercio, le lettere, la pittura, la scultura, l'architettura.
La seconda guerra che fece Firenze, nei primi tempi della sua vita popolare, fu la guerra contro Fiesole, presa e distrutta nel 1125. E perchè fu fatta questa guerra? Perchè, ci dice il Villani, Fiesole era divenuta il nido di tutti i cattani lombardi, cioè i conti che avevano, secondo lui, origine longobarda, e che veramente avevano la più parte origine germanica. In questo momento, in fatti, nel quale i messi imperiali sono a San Miniato, i signori feudali del contado si raccolgono intorno a loro, contro la Città, e nei documenti troviamo spesso che gli uni e gli altri sono chiamati Teutonici. La popolazione toscana s'era così come divisa in due. Da un lato si vede un partito germanico, feudale, imperiale; dall'altro le città, in cui erano principalmente gli artigiani, gli eredi del sangue romano, che rappresentavano il lavoro e l'industria, e divenivano ogni giorno più una forza, una potenza capace di misurarsi col partito imperiale. A Fiesole, per la posizione assai forte che essa aveva sul monte, resa più forte da una rôcca, s'erano raccolti molti di questi nobili feudali, e minacciavano la sottoposta Città; ne devastavano le campagne, ne impedivano il commercio. I Fiorentini perciò mossero all'assalto. Leggendo la narrazione, che di questa guerra ci dà il più antico cronista fiorentino, il Sanzanome, il quale era un notaio, par di leggere la descrizione d'una delle guerre fra i Romani ed i Cartaginesi. Egli ci presenta un Fiorentino, che si leva in mezzo al popolo e dice: Se siete veramente i figli di Roma, come pretendete, questo è il momento di mostrarlo. E subito dopo fu emanato un editto dai Consoli, che dichiararono la guerra. Si direbbe che il cronista fosse un erudito del secolo XV, tanto le idee, la coltura, la forma, i pensieri romani erano sin d'allora vivi in quella cittadinanza.
Se dunque noi troviamo forme e tradizioni romane, prima che il Comune sia costituito, nella narrazione che descrive la prova del fuoco seguita nel 1068; se troviamo tradizioni e forme romane, quando il Comune si va costituendo, nella leggenda che descrive le sue origini; se troviamo forme e tradizioni romane nel primo cronista che descrive la prima grossa guerra, che fecero i Fiorentini, sempre a difesa del loro commercio, sempre contro i nobili feudali, ci deve esser lecito di concludere, che nelle sue mura stava il sangue romano di fronte agli avanzi delle tradizioni e del sangue germanico, raccolto nei castelli che l'accerchiavano, e che ritardarono la sua indipendenza. Ritardandola, non impedirono però l'incremento delle sue forze industriali, commerciali, militari, e così fu che quando morì la contessa Matilde, Firenze era già di fatto un Comune indipendente, sebbene tal non fosse ancora legalmente. E dopo ciò facilmente capiremo che, quando molti non vogliono in nessun modo persuadersi che la cosa sia così semplice, e vanno cercando astruse spiegazioni con grande dottrina, questa assai spesso serve solo a rendere difficili fatti che per sè stessi sarebbero assai facili.