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Kitabı oku: «La vita Italiana nel Rinascimento. Conferenze tenute a Firenze nel 1892», sayfa 5

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V

Ma ritorniamo nelle aure pure della famiglia, dove con le ricchezze accumulate eran, pur troppo, entrati i mal germi, onde si corruppe e disfece più tardi la vita e la coscienza italiana. Fra il Tre e il Quattrocento era seguito un gran crollo: il rinnovarsi dei tempi e de' costumi, già anelanti e vagheggianti la scioltezza del vivere che si sbrigliò nel Rinascimento, aveano intepidito la fede, smagato la religione, e la gente parea soltanto intendere ai godimenti mondani. Le lettere del Mazzei ce ne porgono testimonianza: il buon notaio di Prato è il savio d'un'“anima rozza„ e d'un “cuore agghiacciato„29: quel suo amico Datini, diciamolo aperto, è il più esoso tipo di mercante che ci abbia dato quel secolo. Ser Lapo è uno spirito ascetico, timorato, un uomo di buona e antica fede, un moralista convinto. In quelle Lettere ci par di vedere alle prese il peccatore ribelle col sant'uomo, che vuol condurlo ad una buona morte, alla redenzione delle colpe terrene. È la lotta del sentimento religioso con lo spirito di materialità de' nuovi tempi, che sfolgorò nella gloria della Rinascenza, ma che dopo così mirabili splendori lasciò nelle anime degl'Italiani un buio ed un vuoto paurosi. Da coteste tenebre, purificatosi nei secoli di servitù, maceratosi nelle vigilie del pensiero, l'uomo moderno doveva risorger più tardi.

Ritorniamo in famiglia nella casa fiorentina, dalle cui finestre “le schiavette amorose scotevano le robe la mattina, fresche e gioiose più che fior di spina„30: nella casa dove la buona massaia godè appena pochi mesi felici, dopo le nozze, mentre poi dovè noverare gli anni del matrimonio da' nomi dei figliuoli che le crescevano intorno e le ricordavano, ciascuno, qualche lunga assenza del marito, andatosene a trafficare oltremonte od oltremare.

La giovenile freschezza appassiva, e, come scrive il Sacchetti, “la più bella che sia, in piccol tempo, come un fiore, vien meno, e diventa secca nell'ultima vecchiezza e in fine doventa uno teschio„31. È naturale cercassero con l'arte correggere la natura e porre riparo ai danni del matrimonio, e non soltanto per vanità. Perfino i maestri dipintori come Taddeo Gaddi, s'accordavano nel giudicare con Alberto Arnoldi32 che le donne fiorentine “sono i migliori dipintori del mondo„. “E fu mai dipingere, che su 'l nero, o del nero facesse bianco, se non costoro? E qual artista, o di panni, o di lana, o dipintore, è che del nero possa far bianco? certo niuno; perocchè è contro natura. Serà una figura pallida e gialla, e con artificiali colori la fanno in forma di rosa. Quella che per difetto, o per tempo, pare secca fanno divenire fiorita e verde. Io non ne cavo Giotto, nè altro dipintore che mai colorasse meglio di costoro; ma quello che è vie maggior cosa, che un viso che sarà mal proporzionato, e avrà gli occhi grossi, tosto parranno di falcone; avrà il naso torto, tosto il faranno diritto; avrà mascelle d'asino, tosto l'assetteranno; avrà le spalle grosse, tosto le pialleranno; avrà l'una in fuori più che l'altra, tanto la rizzafferanno con bambagia, che proporzionate si mostreranno con giusta forma. E così il petto e così l'anche, facendo quello, senza scarpello, che Policreto con esso non avrebbe saputo fare… Insomma le donne fiorentine sono maggiori maestre di dipignere e d'intagliare, che mai altri maestri fossono, perocchè assai chiaro si vede ch'elle restituiscono dove la natura ha mancato.„ – Nè di ciò possiamo o vogliamo riprenderle: unica libertà, onde godevano, mascherarsi da giovani e felici, rifarsi lieto e fresco il volto, quando spesso il cuore piangeva, in vedersi d'intorno e da presso altri visi di donna. Anche amavano variar le fogge, le mode, le “portature„, e in ciò sfogavano la loro ambizione. I lodatori dell'antico, cominciando da Dante, le biasimavano di tanta volubilità, ingrata fino ai novellieri moralisti, ingratissima ai rettori, a quel governo di mariti che volentieri avrebbe lesinato su codesto lusso delle mogli.

“Se un arzagogo apparisse con una nuova foggia, tutto il mondo la piglia„. “Che fu a vedere già le donne col capezzale (lo scollo) tanto aperto che mostravano più giù che le ditelle! (le ascelle); e poi dierono un salto, e feciono il collaretto infino agli orecchi„. “Le giovanette che soleano andare con tanta onestà„, hanno “tanto levata la foggia al cappuccio„ da ridurlo una berretta e “imberrettate portano al collo il guinzaglio, con diverse maniere di bestie appiccate al petto. Le maniche loro, o sacconi piuttosto si potrebbono chiamare, qual più trista e più dannosa e disutile foggia fu mai? potè nessuna tôrre o bicchiere o boccone di su la mensa che non imbratti e la manica e la tovaglia co' bicchieri ch'ella fa cadere?.. Lo 'mbusto è tutto in istrettoie, le braccia con lo strascinío del panno, il collo asserragliato da' cappuccini…„ “Non si finirebbe mai di dire delle donne, guardando allo smisurato traino de' piedi„ alle code delle vesti “e andando infino al capo; dove tutto di su per li tetti, chi l'increspa, e chi l'appiana, e chi l'imbianca, tantochè spesso di catarro si muoiono„33.

Ma cotesta smania del nuovo s'attaccava anche agli uomini. Il povero messer Valore de' Buondelmonti, un vecchione tagliato all'antica, fu costretto da' suoi consorti a mutare il cappuccio; e come l'ebbe fatto, tutti se ne meravigliavano e lo fermavano per la via: “O che è questo, messer Valore? io non vi conoscea, avete voi i gattoni?„34.

Venne un tempo la moda delle gorgiere intorno la gola e delle bracciaiuole, sicchè poteva dirsi dei fiorentini portassero “la gola nel doccione„ e il braccio nel “tegolo„, onde accadde a Salvestro Brunelleschi, “avendo una scodella di ceci innanzi e pigliandoli col cucchiaio, per metterseli in bocca„, di cacciarseli nella gorgiera, e di scottarsi35. Più tardi venne quella delle “calze„ (i calzoni) di differenti colori non solo, ma anche “dimezzati e attraversati di tre o quattro colori„: de' piedi con una punta lunghissima36; e delle gambe così “incannate co' lacci che appena si possono porre a sedere„. “I più dei giovani senza mantello vanno in zazzera„ e “al polso danno un braccio di panno„ e “mettono in un guanto più panno che in un cappuccio„37.

Le vecchie foggie contrastavano con le nuove, con le modernissime: ognuno si sbizzarriva a sua posta. La gente, curiosa anche allora, prendea diletto a vedere “le nuove cappelline, le nuove cuffie e le nuove cianfarde, e' nuovi gabbani, i nuovi tabarroni, e le antiche arme; sì che appena si conoscono insieme, sguarguatando (sbirciando) l'uno insino in sul viso dell'altro, prima che si conoscono„38. Una vera mascherata!

VI

Ora gli uomini, che han sempre fatto le leggi, pensarono con tal freno vietare i “disordinati ornamenti delle donne di Firenze„. Il Comune promulgò statuti suntuari fino dal 1306 e dal 133039, e provvisioni severissime nel 1352, nel 1355, nel 1384, nell'88, nel 1396 e poi di nuovo nel 143940 e nel 1456 e perfino ne troviamo nel 156241. I religiosi tuonavano dal pergamo, i savi ammonivano e davano, come il Dominici, “regoluzze„ alle madri timorate “circa i vestimenti„; i novellieri mordevano con le loro facezie il lusso troppo smodato. Anche nelle altre città di Toscana e d'Italia, si mandava a Firenze “per esempio de' detti ordini„ e per “confermargli„42.

Incomincia una contesa, una lotta assai singolare tra la burbanza de' legislatori severi e la malizia donnesca. Le femmine astute non contrastano apertamente, ma fingon di piegare il capo crucciose, finchè passi quella bufera. Sono addottrinate, esperte del mondo: le leggi troppo severe rimangono senza sanzione. Quando e come possano, cercano, se non annullarle, deluderle. Alla venuta del duca di Calabria, nel 1326, si fanno attorno alla duchessa sua moglie che è una francese, Maria di Valois, e ottengono sia loro reso un “loro ornamento di trecce grosse di seta gialla e bianca, le quali portavano in luogo di trecce di capelli dinanzi al viso… ornamento disonesto e trasnaturato„, brontola il Villani che vide “il disordinato appetito delle donne„ vincere “la ragione e il senno degli uomini„. Quattr'anni appresso i Fiorentini per calen d'aprile “del 1330„ “tolgono tutti gli ornamenti alle lor donne„ e come dice il Del Lungo in un magistrale lavoro, a cui per voi darà qui il desiderato compimento, “le disabbigliano da capo a piè„43.

Anche questa, bufera che passa! A simiglianza delle donne di Fiandra, tormentate per la stessa cagione da Tommaso Connette fanatico carmelitano, esse, come scrive il Paradis negli Annales de Bourgognereleverent leur cornes, et firent comme les lymaçons, lesquels quand ils entendent quelque bruit retirent et reserrent tout bellement leurs cornes; mais, le bruit passé, soudain ils les relevent plus grandes que devant44. E occasione a rilevarle, la venuta del duca d'Atene in Firenze nel 1342, e la “sformata mutazione d'abito„ portata da quei francesi.

E qui vorrei indugiarmi a descrivervi il figurino d'allora, quando i giovani vestivano “una gonnella corta e stretta„ che per metterla occorreva l'“aiuto d'altrui„, cinta alla vita da una striscia di cuoio con ricca fibbia e puntale, con “isfoggiata scarsella alla tedesca„, con il cappuccio attaccato ad una corta mantellina e terminato in una punta o becchetto lungo infino in terra, per avvolgerlo al capo “per lo freddo„: e i cavalieri una guarnacca attillata, con le punte de' manicottoli strascicanti per terra, foderati di vaio, ed ermellini, de' quali le donne copiaron subito la singolare “stranianza„45. Ma gli affreschi del Memmi in S. Maria Novella, che ritraggono quelle fogge, sono a voi noti, anche per visite recenti, quando in un'occasione solenne tentaste di rinnovarle. A studio, dico tentaste, perchè l'eleganza moderna non può agguagliare la magnificenza signorile di que' drappi, di quelle vesti sontuose.

La Prammatica del vestito del 1343, che conservavasi nell'Archivio della Grascia, di cui ottenni alcun estratto dalla cortesia d'un amico il quale ebbela fra mano, serba memoria di quegli splendidi abbigliamenti ch'eran colpiti dal rigor delle leggi e bollati con un marchio di piombo, avente sull'una e sull'altra faccia un mezzo giglio ed una mezza croce, a cura dei famigli di quei poveri “uficiali forestieri„, deputati dal Comune all'applicazione della legge. Eccovi descritto un capo di vestiario proibito, appartenente a donna Francesca moglie di Landozzo di Uberto degli Albizzi del popolo di San Pier Maggiore: “Un mantello nero di drappo rilevato col fondo di color giallo, con sopra uccellini, pappagalli, farfalle e rose bianche e vermiglie e molte altre figure vermiglie e verdi, e con trabacchi e dragoni, e con lettere e alberi gialli e neri e molte altre figure di diversi colori, foderato di drappo bianco con righe nere e vermiglie„. Nè basta: spesso erano anche motti, non soltanto lettere, impressi sui drappi.

VII

Ma di quell'Archivio stesso della Grascia e di quei disgraziati ufficiali, costretti a un cómpito così disumano, di quei poveri potestà e capitani, cavalieri, giudici, notai e famigli che dalle città guelfe di Lombardia e delle Marche venivano in Firenze a sostenere le parti di rettore, a contrastare nel loro rozzo dialetto, beffato dai novellieri borghesi, con le lingue arrotate delle donne e de' loro mariti, ancor si conserva un documento curioso. Chi non ricorda la novella46 di Franco Sacchetti, in cui narra le tribulazioni di “uno judice di ragione„, Messer Amerigo Amerighi da Pesaro, “bellissimo uomo del corpo„, e ancora “valentissimo della sua scienza„, il quale ebbe mandato, mentre Franco era de' Priori nella nostra città, di proceder sollecitamente ad eseguire certi “nuovi ordini„, al solito “sopra gli ornamenti delle donne?„ Il valente giudice si pone all'opera, e manda attorno il notaio, e i famigli, a fare inquisizioni; ma i cittadini vanno a' Signori e dicono “che l'officiale nuovo fa sì bene il suo officio, che le donne non trascorsono mai nelle portature come al presente fanno.„

Or ecco la discolpa di Messer Amerigo: “Signori miei, io ho tutto il tempo della vita mia studiato, per apparar ragione; e ora, quando io credea sapere qualche cosa, io trovo che io so nulla; perocchè cercando degli ornamenti divietati alle vostre donne per gli ordini che m'avete dati, sì fatti argomenti non trovai mai in alcuna legge, come son quelli che elle fanno; e fra gli altri ve ne voglio nominare alcuni. E si truova una donna col becchetto frastagliato avvolto sopra il cappuccio. Il notaio mio dice: Ditemi il nome vostro, perocchè avete il becchetto intagliato. La buona donna piglia questo becchetto, che è appiccato al cappuccio con uno spillo e recaselo in mano, e dice ch'egli è una ghirlanda. Or va' più oltre, truovo molti bottoni portare dinanzi. Dicesi a quella che è truovata: Questi bottoni voi non potete portare. E quella risponde: Messer sì, posso, chè questi non sono bottoni, ma sono coppelle; e se non mi credete, guardate, e' non hanno picciuolo; e ancora, non c'è niuno occhiello. Va il notaio all'altra che porta gli ermellini, e dice: Che potrà apporre costei? Voi portate gli ermellini. E la vuole scrivere. La donna dice: Non iscrivete, no; chè questi non sono ermellini, anzi sono lattizzi. Dice il notaio: Che cos'è questo lattizzo? E la donna risponde: È una bestia„. E il notaio non insiste, come non sanno insistere i magnifici signori Priori, che si ricordano delle loro donne lasciate a casa, e conchiudono, come hanno sempre conchiuso in Palagio, esortando messer Amerigo a tirar via, e lasciar “correre le ghirlande per becchetti e le coppelle e i lattizzi, e' cinciglioni„.

Non volevano forse che il giudice pesarese avesse a ricordare il malinconico distico che un suo collega della Mercanzia aveva scritto sul margine degli Statuti:

 
“S' tu ài niuno a chi tu vogli male
“Mandallo a Firenze per uficiale.47
 

Pur questa volta, la novella del Sacchetti è verace documento di storia; l'Archivio della Grascia serba gli Atti civili del Giudice degli appelli e nullità, e fra quei protocolli appunto ve n'è uno di Giovanni di Piero da Lugo, notaio del dottore in legge ser Amerigo di Pesaro, ufficiale della Grascia del Comune di Firenze, per sei mesi, a cominciare dal XV marzo 1384.

Quel giorno stesso l'Amerighi pubblicò, a' soliti luoghi, un bando per ricordare le pene delle leggi contro chi trasgrediva alla Prammatica sopra 'l vestire. E il 27 marzo cominciarono per parte degli ufficiali le inquisizioni. Vedevano per via alcuna donna con due anelli, ornati di quattro perle, con una cappellina di velluto nero ricamata, con una ghirlanda, con una delle abbottonature proibite? E subito si contestava alle malcapitate (diciamolo col frasario odierno) la contravvenzione. Andava il messo alle case con un “mandato di comparizione„, e il giorno fissato compariva per la moglie il marito, che riconosceva l'errore e pagava la multa. Così s'andò innanzi un bel po'; ma più tardi dovettero le donne, ammaliziate, cominciare quelle contestazioni, accennate dal novelliere, e naturalmente omesse nel protocollo del notaio. Le inquisizioni si fanno più rare, le condanne meno frequenti e i mariti che compariscono principiano a negare la reità delle mogli, con validi argomenti: una è troppo vecchia perchè possano imputarsele siffatti trascorsi, un'altra era in casa quel tal giorno a quella tale ora, una terza è in lutto e così via… E il protocollo si chiude quasi senza registrare più nessuna condanna.

La Signoria e il giudice prima di lei si son dati per vinti; ma non senza sospetto che quelli ufficiali, quei notai, deputati all'odioso ministero, non si fossero lasciati vincere dal fuoco di qualche bell'occhio, dalle carezze di qualche voce lusingatrice. Ahimè nelle coperte della Prammatica di quel tempo, leggiamo la confessione, lo sfogo d'un cuore innamorato, prezioso documento umano fra le pedanterie curialesche degli Statuti. Udite:

 
Li dulci canti e le brigate oneste
Gli uccelli, i cani e l'andar sollazzando,
Le vaghe donne, i templi e le gran feste
Che per amore solea ir cercando.
Ora fuoco mi sono, oimè moleste,
Quantunque vengo con meco pensando
Che tu dimori di qui or(a) lontana
Dolce mio bene e speme mia sovrana!
 

Le donne avean trovato alleati nella famiglia del Giudice di ragione: la loro causa era vinta!

Ma per poco, giacchè quasi periodicamente si tornò ad infierire contro la vanità femminile, e altre bufere scoppiarono, sempre di breve durata. Anche tremendi avversari ebbero ne' moralisti che nei trattati del Governo della famiglia, seguitavano a battere cotesto tasto (valga l'esempio del Palmieri); peggiori nemici ne' frati, invasi dal furore di purgare il mondo dai peccati.

Frate Bernardino da Siena nel 1425 continuò a Perugia quei bruciamenti delle vanità che l'anno innanzi aveva iniziato a Roma, facendo un gran falò di “capelli posticci e contraffatti, d'ogni lasciva portatura, di balzi da scuffie„, dadi, carte, tavolieri “e altre cose diaboliche„, preludendo alle grandi fiammate che nel 1497 fece a Firenze il Savonarola, e che gli furono di pessimo augurio. Ma fra tanti oppositori, non mancavano i buoni avvocati. Nell'aprile 1461 un predicatore che aveva vociato dal pergamo in Santa Croce contro le donne, ricorse alla Signoria, e nel Consiglio dei Richiesti si trattò, nientemeno, di proibire la moda. Ma Luigi Guicciardini, padre al grande storico e politico, disse aver risposto a un milanese, giudicante a sproposito dell'onestà delle donne fiorentine dall'abito sfoggiato e dall'incedere, che se l'abito parea disonesto, elleno erano a' fatti assai diverse48.

VIII

Ma queste leggi suntuarie, ritoccate o come oggi direbbero “rimaneggiate„ ogni momento, più che offendere le donne colpivan la borsa dei loro mariti; nè, giova notarlo, si restringevano agli ornamenti, sibbene frenavano o volevan frenare anche il lusso e l'abbondanza delle nozze, dei battesimi, dei conviti e dei funerali. I cortei nuziali non potevano eccedere il numero di dugento persone. I sensali de' matrimoni dovevano denunziare innanzi i nomi degl'invitati. Le donora alla sposa eran regolate dalla legge, e così le cerimonie nuziali; il cuoco “il quale dovrà apparecchiare per qualche sposalizio„ era tenuto a rapportare all'ufficiale del Comune il numero delle vivande e dei piattelli, e le vivande non potevano essere più di tre: non più di sette libbre di vitella, e i capponi, i paperi o gli anitroccoli permessi dagli statuti. Del pari eran regolate le esequie, il numero dei torchi di cera, le vesti dei morti e dei congiunti che seguivano il funerale: i doni dei battesimi… insomma ogni benchè menoma cosa49. Chi contravvenisse a tali disposizioni, condannato a multe assai gravi.

Perchè il Comune, anche allora, cercava dovunque argomenti per tasse, gravami e balzelli, e lo studio dei cittadini, massime di quei furbi mercanti, era tutto in cercare di alleggerirsi delle gravezze, di rubare con qualche onesta licenza50.

Il Comune ruba tanto altrui, che io posso ben rubar lui„, è un dettato antico riferito dal Sacchetti51; il quale anche lamenta le lungaggini nelle pratiche del Comune, perfino verso chi volea donargli le proprie castella52. Ciascuno tirava l'acqua al suo mulino, dice Marchionne Stefani, e anch'egli aveva il mulino suo53. S'ingegnavano tutti a difendersi dalle gravezze e com'è sempre usanza, scrive quel cronista, “gli animali grossi e possenti saltano e rompono le reti„.

Anche Francesco Datini, accostandosi a quelli che tenevan lo Stato, provvide a' casi suoi, in quegli anni nei quali “le guerre combattute con le armi de' mercenari e le paci fatte a furia di denaro esigevano che la imposta si riscotesse in un anno dieci e quindici volte54„. Chi non potea con le amicizie e i favori, ci riusciva con l'astuzia, come Bartolo Sonaglini che, essendosi per porre molte gravezze, scendeva ogni mattina sull'uscio di casa e contava a tutti le sue miserie, dicendo: “Oimè, fratel mio, io son disfatto.„ “E' mi converrà o dileguarmi dal mondo o morir prigione„55; onde quando vennero alla partita di lui ciascuno dicea: Egli è diserto, e guardasi per debito; e l'un dicea: E' dice il vero, chè pure una di queste mattine non ardiva d'uscir di casa. E l'altro dicea: E anco così disse a me… Sia come si vuole, dicono gli altri, e' si vuole trattar secondo povero, e tutti a una voce gli posono tanta prestanza, quanta si porrebbe a uno miserabile, o poco più.„ Fatte le prestanze e passato il pericolo, Bartolo cominciò a uscir fuori e andava dicendo d'esser per accomodarsi coi creditori; e così, a furia di ciance, si liberò dalle prestanze, “dove molti altri più ricchi di lui ne rimasono disfatti„.

29.Mazzei, I, 88 prefaz.
30.La festa di San Giovanni Battista che si fa in Firenze, in Guasti: Le feste di San Giovanni, Firenze, 1884. pag. 11.
31.Nov. 99.
32.Nov. 136.
33.Sacchetti, n. 178.
34.Ivi, n. 105.
35.Sacchetti.
36.Ivi, 178.
37.Ivi, 178.
38.Sacchetti, n. 200.
39.G. Villani, X, 150.
40.Morelli Guido, Deliberaz. suntuaria del Comune di Firenze. Firenze, 1881.
41.Fabretti Ariod., Vestire degli uomini e delle donne in Perugia, a pag. 176.
42.Villani.
43.Del Lungo, La donna fiorentina ne' primi secoli del Comune, a pag. 31.
44.Fabretti, pag. 208.
45.Villani, XII, 4.
46.Nov. 137.
47.Carducci, Rime antiche da carte di archivi. Nel Propugnatore, vol. I, fasc. I, 1888.
48.Pellegrini F. C. – Agnolo Pandolfini in Giornale Storico della Lett. It., fasc. 1-2, 1886 a pag. 49.
49.Inventario e Regesto dei Capitoli del Comune, pag. 103-108.
50.Pellegrini, op. cit., pag. 45.
51.Nov. 146.
52.Nov. 204.
53.Mazzei, I, LVIII.
54.Mazzei, I, LVIII.
55.Sacchetti, nov. 148.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
28 ekim 2017
Hacim:
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