Читайте только на Литрес

Kitap dosya olarak indirilemez ancak uygulamamız üzerinden veya online olarak web sitemizden okunabilir.

Kitabı oku: «La vita italiana nel Trecento», sayfa 16

Various
Yazı tipi:

VII

I punti storici estremi toccati nelle allusioni del Poema, – la morte d'Arrigo nel 1313, quella nel 14 del papa “guasco„ e trasferitor della Sede, Clemente V; forse, la rotta dei Guelfi a Montecatini per Uguccione nel 1315; forse, una delle imprese di Cangrande nel 18 (e a ogni modo importanza di allusioni intenzionali non l'hanno veramente che quelle prime due, all'Imperatore e al Papa); – segnano altresì le ultime relazioni fra l'animo del Poeta e i fatti, nel cui torbido e irresistibile corso venivan trasportati i dolori cocenti e le fioche speranze della sua vita di esule aspirante sempre alla patria. Per l'impresa d'Arrigo ultimo imperatore italico, per la sede vacante alla morte del primo papa avignonese, non soltanto il Poeta si commosse, ma l'uomo operò: e alla storia di quelli avvenimenti appartengono, fra le Epistole che vanno sotto il nome di Dante, le tre della cui autenticità nessuno muove dubbio: ai Fiorentini, ad Arrigo, ai Cardinali italiani. Di là da quei termini, più nulla di concreto nelle figurazioni storiche del Poema dantesco. Dante non pensa altrimenti a sè nè ai nemici suoi: il suo pensiero (vero è di questo ciò che della vita sua non gli giovò farsi predire che sarebbe) “s'infutura, via più là che 'l punir di lor perfidie„. Egli, di là dal corso breve di poche vite umane, mira ai destini eterni e provvidenziali della umana società. Al Dante personale si sostituisce il moralizzatore e il taumaturgo: al suo sentimento, la sua missione; alle sue speranze, le allegorie; alle ire sue, le sue profezie: la selva della valle infernale, e le tre fiere; la selva del monte sacro, il carro, il grifone; il Veltro, e poi il Dux, e colui “per cui questa (la lupa curiale) disceda„. Si varcano i termini del tema propostoci. Ma la visione fantastica e la missione spiritale non cancellano in Dante l'umano, non dissuggellano l'impronta che le realtà della sua vita hanno apposto sull'opera dell'arte sua. Anche pervenuto al sommo di quella visione, anche rivestiti i caratteri di quella missione supremi, egli guarda pur sempre a Firenze, egli non dispera di vincere la “crudeltà che fuor lo serra„; e “sul fonte del suo battesimo„ vorrebbe cingere la doppia corona di poeta e di teologo. Così dalle ultime linee, per le quali egli è di fatto e come uomo vivo e vero nel “Poema sacro„, si leva un grido di non domato affetto verso la città sua, che egli non rivedrà più mai.

Signore e Signori,

Quando il secolo, che ormai tramonta, ascendeva la prima metà d'un cammino, che doveva esser così laborioso e pieno di tante mutazioni sulla faccia del mondo; e mentre l'Italia, schiava ormai insofferente, maturava fra le congiure e le rivolte, le prigioni e gli esilii, le fucilazioni e i patiboli, i suoi nuovi destini; uno de' suoi figli, uno de' suoi più grandi e de' più infelici, preparandosi per Santa Croce di Firenze il monumento a Dante (era il 1818), recava al “nobil sasso„ il tributo di quei dolori, di quelle lacrime, di quella speranza. E a Dante in nome d'Italia diceva:

 
dalle nostre menti
Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai,
Cresca, se crescer può, nostra sciaura,
E in sempiterni guai
Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
 

Allo scongiuro magnanimo di Giacomo Leopardi la patria ha tenuto fede: e nell'Italia tornata, com'egli disperò di vederla, “per la terza volta regina„, il nome di Dante grandeggia come di genio tutelare. Nè è divinità che tema gli ardimenti della critica. Dalle pagine nelle quali egli vive immortale, esce qualche cosa che di per sè tende all'alto. Nel Poema di Dante cercar l'uomo non è detrarre al Poeta: perchè in quella immensa rappresentazione di ciò che “si squaderna per l'universo„ sovrastanno luminose le qualità compiute della natura italica, dell'umana: il pensiero e il sentimento, il concetto e l'ispirazione, l'azione e l'idealità.

LA LETTERATURA MISTICA
DI
ENRICO NENCIONI

I

Misticismo è quella dottrina che professa una pura e disinteressata devozione, affermando di avere diretta e immediata comunicazione col Divino Spirito, dal quale l'anima nostra deriva una conoscenza di Dio e delle cose spirituali, non ottenibile dal naturale intelletto, e che non può essere nè analizzata nè dichiarata: è uno stato psicologico, nel quale l'anima umana, penetrando nella pura essenza delle cose, scuopre anche nel Naturale il Soprannaturale.

Qualcuno mi dirà forse, come disse Byron a Coleridge quand'ebbe letto la sua sibillina Biographia literaria: Ora si prega il poeta di spiegarci la sua spiegazione…

Ma, pazienza e buona volontà, gentili uditrici e cortesi uditori. Dimenticate per un momento l'ultimo trattato di Spencer che avete studiato, l'ultimo romanzo fisiologico-patologico che avete letto, l'ultimo fascicolo dell'ultima Rivista scientifica, e l'anno di grazia 1891. Per un momento, sforzatevi di rivivere in un remoto passato… Rievochiamolo insieme… si tratta sempre dell'eterna anima umana – e tutto quello che l'uomo ha pensato, creduto ed amato sinceramente, è, o dovrebb'essere, sempre caro e sacro per l'uomo.

Carattere essenziale del vero mistico è l'ammirazione nell'adorazione: egli è colpito, wonderstruck, come dicon gli Inglesi, dal miracolo permanente dell'Universo e dal mistero del proprio io. Il mistico rassomiglia a quel giovine di cui canta Heine, che di notte, in riva al mare deserto, dice ai flutti: “Oh spiegatemi l'enimma della Vita, l'enimma doloroso ed antico che ha tormentato tante teste! – teste coperte da mitrie geroglifiche, da turbanti, da berrette, da parrucche; e tante altre povere e bollenti teste umane. – Che cosa significa l'uomo? che cos'è? d'onde viene? dove va?„ – Il grande scettico poeta soggiunge: “I flutti mormorano il loro murmure eterno, il vento soffia, le nuvole fuggono, le stelle scintillano fredde e indifferenti – e il giovine pazzo aspetta ancora una risposta…„ Per il mistico invece, la risposta c'è; misteriosa, ma vivente e immediata, consolante e terribile a un tempo, illuminando come alla luce d'un lampo, i grandi misteri dell'Universo, dell'anima umana e di Dio.

Certo, in faccia al grande arcano dell'Universo, è naturale nell'uomo la maraviglia e come un sacro terrore. È tanto naturale, che non vi è, credo, nemmeno fra i positivisti più dichiarati, chi non abbia, o non abbia avuto in vita sua, un momento di questo stupore, e in conseguenza un lampo di misticismo.

Pensate! Le fasi della Natura ci sono parzialmente note in questa nostra frazione di pianeta – ma da quali remote leggi di ignoti universi dipendono? quale infinito ciclo di cause muove il nostro breve epiciclo? da quale inscrutabile oceano deriva questa goccia in cui ci muoviamo e viviamo? – Contemplata profondamente la Natura ci apparisce soprannaturale, perchè la essenza delle cose ci è ignota… Scriviamo dei dotti volumi, facciamo delle brillanti letture su i fenomeni delle cose – ma la loro essenza?.. Non crediamo più ai taumaturghi, ai miracoli; ma in realtà ci muoviamo, respiriamo, viviamo in un perenne miracolo, e siamo noi stessi, nella nostra essenza, nel nostro intimo io, il più complicato e stupendo di tutti i miracoli.

C'è (scriveva un grande storico filosofo) c'è un io misterioso sotto questo vestito di carne: profondo è il suo ascondimento sotto questo strano vestito, fra i suoni, i colori e le forme – e tuttavia questa veste medesima è tessuta nel cielo, e imperscrutabilmente divina nella sua essenza. Generazione dopo generazione, l'umanità prende la forma di un corpo, ed emergendo da una notte cimmeria, apparisce! Così come una celeste artiglieria, tutta folgori e fiamme, questa misteriosa umanità tuona e divampa attraverso l'Infinito, in file grandiose, in rapidissime successioni… È per non pensare, o pensare con leggerezza, fermandosi alle apparenze, alla superficie delle cose, che cessa nell'uomo la maraviglia, e stupisce che altri stupisca dinanzi al permanente miracolo dell'Universo.„

Ma noi accetteremo il Misticismo nel senso più comune della parola, e per Letteratura mistica intenderemo quelle opere nelle quali il sentimento religioso cristiano (nel suo senso più largo ed universale) è intenso e predominante – e ne forma la base e la sostanza. Sarebbe temeraria follìa presumere di esaurire in meno di un'ora sì vario e sì vasto tema. Io mi limiterò a rapidi cenni, trattenendomi un po' più sui punti caratteristi e culminanti. Ma l'argomento meriterebbe di essere svolto in un libro – e sarebbe libro curioso e fecondo, e di alta importanza storica e psicologica.

II

Il Medio Evo è un'epoca tragica: un'antitesi di tenebre desolate e di sfolgoranti splendori. L'umanità malata che non ha pane per satollarsi, si nutrisce delle rose del cielo, e sogna giardini di luce e ghirlande di stelle. Gli occhi quasi consunti dal lungo piangere, si fissano estatici in visioni angeliche… Ma fa spavento il pensare a ciò che l'umanità ha patito in quei secoli. Le candide e cristalline guglie delle cattedrali si direbbero composte colle lacrime congelate di dieci generazioni. I dolori secolari guastarono radicalmente l'umano organismo. In tre secoli successivi, infieriscono tre orribili malattie, tre catastrofi: la lebbra – l'epilessia – la peste nera – che in due settimane, fa d'una città popolosa un cimitero deserto!.. Pensate alle agonie dei poveri contadini in quei secoli di ferro! Servo della gleba o agricoltore, la intensità della sua miseria non cessa mai. Ma nella campagna desolata, passa un fantasma solitario, sospettoso, che cerca e svelle in fretta delle erbe sinistre dagli steli vellosi, dalle foglie rigate di nero e di rosso come lingue di fiamma. È la pallida strega che coglie il giusquiamo e la belladonna, i possenti narcotici che addormentano lo spasimo della carne e l'agonia del pensiero. È l'unico amico, l'unico medico, di quei derelitti. Paracelso, che bruciò tutti i libri di medicina del Medio Evo, confessa che i soli medici che sapesser qualcosa erano quelle infelici che il braccio ecclesiastico e il secolare torturavano e bruciavano a rara.

La intensità dei dolori faceva, per contrasto e reazione, contemplare, vagheggiare, all'uomo del Medio Evo, le delizie della pace eterna: guardare dall'inferno della Terra, il paradiso del Cielo. Il Medio Evo è la grande antitesi storica. E Dante, che ne è la sintesi e la voce trascendentale, ne ha espresso i termini contradditorii. Egli immagina torture raccapriccianti, crea versi spaventosi per rappresentarle, e ci abbaglia e ci inebria con torrenti di luce e di musica paradisiaca: Ugolino e Beatrice, Vanni Fucci e Piccarda, Mastr'Adamo e la Pia, Bertramo dal Bornio e Matelda. L'antitesi che è in Dante si trova espressa in tutta la letteratura mistica del secolo XIII e XIV. Accanto alle quiete, semplici, auree leggende del Cavalca, alle sante Eugenie ed Eufrasie, ecco le terribili cavalcate notturne di dannate del Passavanti, le adultere ignude sui fiammanti cavalli, inseguite, raggiunte e pugnalate (e il pio carbonaio vede e si fa il segno della croce…). Ecco le apparizioni dei morti, e le cappe di bragia e la goccia di fuoco che scossa sulla mano del tremante scolaro traversa mano e pavimento! Le facciate delle chiese hanno l'ala del drago accanto alle ali dell'angelo – e sotto il piede luminoso della Mater gloriosa, Lucifero. Le migliaia di visioni in versi e in prosa, dei secoli XII, XIII e XIV, sono eteree, estatiche, ineffabili – o raccapriccianti. Chi può dimenticare, una volta letta, la Leggenda dei Tre Monaci alla scoperta del Paradiso Terrestre? Dopo quaranta giorni di cammino, invece di trovarsi nell'Eden si trovano nell'Inferno… (cosa che non accade solamente ai Tre Monaci della leggenda)… “Et videro uno laco grandissimo pieno di serpenti che tutti pareano che gettassero fuoco et odono voci uscire di quel lago, e stridere come di popoli miserabili che piagnessero!.. Et vennono in uno loco molto profondo e orribile, aspro e scoglioso, nel quale viddero una femmina nuda e laidissima et iscapigliata – e quando ella apriva la bocca per gridare, un dragono le mettea il capo in bocca, e mordeale crudelmente la lingua; e i capelli di quella femmina erano lunghi infino a terra…„

La descrizione poi dei singoli tormenti si lascia di molto addietro le stesse bolge di Dante. Laghi di zolfo, valli di fuoco, botti d'acqua bollente, seghe e martelli infocati, dannati inchiodati al suolo con tanti chiodi che non pare la carne, o turbinati in giro vorticoso da ruote di fuoco, o infilzati in giganteschi spiedi che i demoni da abili cuochi ungono e rosolano di piombo liquefatto e di olio bollente.

Anche nei Misteri e Rappresentazioni si alterna il terribile col semplice e col patetico. E il patetico è spesso toccantissimo nella sua ingenuità. Isacco che già si vede alla gola il coltello paterno dice: “Ah se fosse qui Sara, mia madre, non morirei! anche se Dio l'avesse ordinato!„

Come il lato sofistico del Paganesimo era di consacrare la natura umana anche nel suo lato cattivo; il lato sofistico del Cattolicismo medievale è di gettare un anatema troppo assoluto sulla Natura, di gustare l'abietto e l'ignobile, di vivere come lo Stilita sospesi tra il cielo e la terra, guardando a quello con estasi, a questa con un sacro terrore. Il centro della idealità è spostato, e nella vita e nell'arte. Il cadavere crocifisso di un Dio morto, l'Addolorata trafitta in seno da sette spade, diventano la vera e adorata bellezza: le magre, desolate, sanguinanti figure appaion più belle delle floride sane e raggianti. All'entusiasmo della bellezza plastica, è succeduta l'apoteosi del dolore, del patimento. E noi pure, o signori, discendenti in linea retta da quelle generazioni, non sappiamo più concepire la vita senza tristezze. L'antica e serena Euritmia aveva visto troppo poco dell'immenso Universo – poco amato e poco sofferto. Il riposo, la gioia precaria e limitata del Finito, più non ci basta. Abbiamo la torturante aspirazione all'infinito – TUTTI – anche quelli che meno credono d'averla, anche quelli che sorridono di questa parola. Secolari dolori hanno umanizzato il nostro cuore – e nella stessa Natura noi guardiamo con una simpatia più penetrante, quasi ignota all'antichità. Dante e Shakespeare, Goethe e Shelley, Rembrandt e Beethoven, hanno visto nella Natura più intensamente d'ogni antico – e nelle voci delle cose, hanno ascoltato la solenne e malinconica musica dell'Umanità.

Il Soprannaturale contemplato fino all'allucinazione, inebria quelle medievali generazioni! l'esaltazione è la nota predominante. Leggete in prova le Poesie di Jacopone da Todi. – Contempla la morte? La visione fisica del dissolvimento, lo stato del cadavere sepolto, lo attira magneticamente. Si compiace nel descriverlo, come un elegiaco latino nel descrivere una bella donna, o un estetico moderno nel riprodurre una squisita decorazione. – Si augura di patire in sconto dei suoi peccati? – Fa un catalogo spaventoso di tutte le malattie che affliggono l'umanità: “A me la febre quartana – La continua e la terzana – E la doppia quotidiana – Con la grande idropisìa! – A me venga mal de dente – Mal de capo e mal de ventre – Con gran tossa e parlasìa! – Mal de doglia e mal de fianco – La postema al lato manco – E omne tempo la frenesìa!„ – (E in quest'ultima preghiera pare che fosse davvero esaudito…).

Leggete i Pianti della Madonna, e le Sacre Rappresentazioni della Passione! Ogni particolare più minuto è descritto; ogni goccia di sangue è contata; e con un efficace realismo si tien conto di tutto il processo materiale e meccanico della grande tragedia. Si odono i colpi di martello sui chiodi che traversano le mani divine, i colpi di canna sulla corona di spine che trafigge il cranio del Salvatore. – Poeti e pittori hanno sete di sanguinose visioni, di terrori, di lacrime. Guardate nel camposanto di Pisa il Trionfo della morte; l'Inferno in S. M. Novella; le Matres dolorosæ delle Scuole Umbra e Senese. E questa intensità di ascetiche visioni, quest'odio alla terra caduca e alla carne colpevole, diventa talvolta un vero contagio.

Dopo la gran catastrofe europea della peste nera, un furore di penitenze sanguinose spinge popolazioni intere a frenetiche corse. Armati di flagelli, segnati di una crocellina rossa, scalzi, seminudi, vanno senza saper dove, come spinti dal vento della collera divina; cantano canzoni strane, non mai prima udite; e via via, nella corsa vertiginosa, aumenta il gran coro delle voci e dei gemiti. Si flagellavano a sangue due volte il giorno. Mezza Europa fu invasa da questo esercito di deliranti: e in Germania ed in Francia si univano al popolo signori e dame. Nella sola Francia, nel 1349, il numero dei flagellanti fu di 800000.

Nelle chiese, i canti del dolore spasimante come lo Stabat, o del tragico terrore come il Dies iræ, echeggiavano sotto le vôlte delle nuove cattedrali – e alla luce mistica calante dai vetri istoriati, i devoti genuflessi fremevano e singhiozzavano. Allora, le giovani e deboli donne, le povere Margherite, a quei terribili canti, sentivano dietro a sè l'ombra del demonio, e nell'orecchio il disperante suo ghigno – e cadeano svenute.

III

L'Eterno Femminino raffigurato nella Madonna, dolorosa o gloriosa, consolatrice degli afflitti e rifugio degli oppressi, domina su tutto il secolo XIII e XIV. Cimabue e Giotto, Dante e il Petrarca, qualche volta lo stesso Boccaccio, a lei consacrano il cuore e l'arte. Primo tra i Fiorentini, anzi primo in Europa, Cimabue vide, con gli occhi dell'anima, il volto della benedetta fra le donne, e con mano seguace la rappresentò agli attoniti contemporanei. Questa Madonna che da più di sei secoli si prega nella Chiesa di S. M. Novella, è il primo Magnificat che l'Arte risorta ha inalzato alla Vergine Madre. Forse Dante Alighieri vi si è inginocchiato pregando. È il primo palpito di moto e di vita, dopo le secolari rigidezze delle jeratiche figure bizantine. Da quella tavola, come da una remota e sacra sorgente, deriva tutto il gran fiume reale dell'arte italiana e europea: da Giotto a Holbein, da Michelangelo a Rembrandt, da Raffaello a Rubens, da Leonardo a Velasquez! Quello è il primo passo. Pensate quante cose vuol dire questa parola: il primo!

La leggenda narra (e il Vasari lo confermava e Gino Capponi lo ammetteva) che Carlo d'Angiò volle vedere quella pittura, che fu portata in trionfo per le strade, preceduta dai trombettieri, e sotto una pioggia di fiori… Hanno voluto provare che ciò non è vero, che quella Madonna non è di Cimabue, che Cimabue è una specie di mito… Per carità, arrestiamoci su questa china di sistematiche negazioni e demolizioni. Siam giunti al punto che ciò che prima era bianco, oggi dev'esser nero per forza, e viceversa. C'è da perder la testa! Nerone era un simpatico mattoide che aveva del genio; e i Cristiani da lui incatramati e bruciati come torce viventi erano dei pericolosi cospiratori. San Paolo era piccolo, brutto, bilioso, ignorante. Giovanna d'Arco una sgualdrina, e Lucrezia Borgia una seconda Susanna. Omero non c'è mai stato, e l'Iliade s'è fatta da sè. La storia di Roma è tutta una raccolta di novelle. Carlomagno è un mito; Mosè una costellazione. Le tragedie di Shakespeare son di Bacone – i quadri di Raffaello non son più di Raffaello. Fra poco la Divina Commedia non sarà più di Dante, ma di Cecco d'Ascoli!..

IV

Un altro grande italiano, il cui nome fu ignorato per secoli, versava sul Medio Evo e su tutti i tempi avvenire, la grazia, la luce e il conforto di una parola unica, la sola paragonabile alla divina parola – voglio dire l'abate Gersenio da Vercelli, autore dell'Imitazione di Cristo. L'Imitazione è indiscutibilmente opera del secolo XIII – precede di molti anni l'epoca terribile, piena di scontento e di collera, l'epoca apocalittica dei grandi lamenti sulla prostituta di Babilonia, sulle simonie e la schiavitù d'Avignone; l'epoca dei Concilii di Costanza e di Basilea. L'autore della Imitazione è un solitario, che ha vissuto, amato e sofferto, e che ha sentito tutta l'amara vanità delle cose del mondo. Nulla di scolastico in questo libro – anzi vi si rivela una istintiva antipatia pei nominalisti i sillogizzanti; per la scientia clamorosa della teologia parigina. La Bibbia, la meditazione, la solitudine, lo hanno sole ispirato. Ricorda infinitamente più Gioacchino di Flora e san Francesco d'Assisi, che san Domenico o san Tommaso. Vi è diffusa un'aura di raccoglimento e di pace, come dal sereno tramonto di una bella e limpida giornata d'autunno. Gran libro! consolatore di tutti i cuori malati che il mondo non può consolare – parola che calma e risana, che ha un raggio per ogni tenebra, e un balsamo per ogni ferita; che ha confortato e conforta sacerdoti e soldati, filosofi e poeti, re e mendicanti.

L'impressione che proviamo leggendo l'Imitazione, è consimile a quella che si riceve guardando i quadri dell'Angelico; nei quali la materia è come trasfigurata, e non resta che una forma eterea, circonfusa di luce e di azzurro… Vi ricordate? – I beati, sorridendo celestialmente, con la testa stellata di raggi d'oro, nelle loro lunghe tuniche azzurre, rosee, violacee, passeggiano tenendosi per mano, in un mistico giardino, tra l'erba smaltata di fiori bianchi e rossi; e in alto, nell'azzurro intenso, s'intravedono le ali iridate degli angeli.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
13 ekim 2017
Hacim:
460 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
Metin
Ortalama puan 3,8, 54 oylamaya göre
Ses
Ortalama puan 4,2, 759 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 4,7, 385 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 4,9, 148 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 4,8, 34 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 1, 1 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 0, 0 oylamaya göre
Metin
Ortalama puan 5, 1 oylamaya göre