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Kitabı oku: «Il tenente dei Lancieri», sayfa 4

Gerolamo Rovetta
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VII

– Non avete un soldo? – rispondeva Giacomino ai lamenti di Temistocle e di Gian Maria. – Cinquanta dire ve le presterò io, stasera.

Infatti, non dando all’orefice, come al cameriere, più di cento lire in acconto, poteva benissimo, senza incomodo, usare quella cortesia ai fratelli. Andò al teatro per prendere i denari dal Richard; ma, per quella sera, niente. Il Facchinetti non aveva ancora sborsata la somma. La darebbe domani; ma nè domani nè doman l’altro, non si vide nulla, come nei giorni innanzi. Giacomo, inquieto, cominciò ad alzar la voce; e allora il cavallerizzo, messo alle strette, confessò di essere stato imbrogliato, truffato dal Facchinetti. Non glielo aveva voluto dire, per non dargli un dispiacere.

– Crénon! Che razza d’usuraio! Non aveva dato altro che duemila lire, e ne aveva intascate cinquecento per quindici giorni d’interessi! Ma per l’amico Trebeschi, nessun danno: soltanto ventiquattr’ore di ritardo.

Appena arrivato colla compagnia a Borgo San Donnino, il Richard avrebbe mandato un vaglia telegrafico.

– Fermo in posta – raccomandò Giacomino, pensando alla mamma.

E infatti, dopo la partenza dell’amico, per due o tre giorni, il giovinotto non fece altro che andare e venire dal fondaco alla posta. Ma niente vaglia telegrafico… e nessuna lettera, nemmeno da Fanny, che gli aveva giurato e spergiurato di scrivergli subito.

– E il cameriere, e l’orefice, che strepitano, minacciano!

Telegrafò lui a Borgo San Donnino: “Urge cinquecento in giornata”. Nessuna risposta.

Una mattina, finalmente, sei o sette giorni dopo che il Circo Stanislao era partito da Milano, venne fermato di colpo da un tale in bicicletta, che quasi lo schiacciava contro il muro.

– Lei, signor Trebeschi, non mi conosce? – E il velocipedista, saltando a terra, gli si piantò davanti, cacciandogli la bicicletta di traverso.

– No! Non la conosco e non è questo il modo di fare!… – esclamò il giovanotto arrogantemente.

– Io sono il Facchinetti, quello della cambiale di tremila lire.

– Duemilacinquecento, – rispose Giacomo, alzando la mano al cappello e smettendo subito il sussiego.

– Tremila – replicò l’altro sempre più burbero e accigliato; e siccome Giacomo lo guardava attonito continuando a negare, quegli alzò la voce:

– Tremila… Tre cambiali da mille lire!

– Ma la terza l’avevo firmata in bianco; non si sapeva la cifra…

– Mille lire. Tre cambiali da mille lire…

– Scriverò al Richard: a Borgo San Donnino.

Il Facchinetti guardò Giacomo ancor più di traverso.

– È lei il responsabile. Lei deve pagare. Io non voglio conoscere altri che lei.

A tale minaccia il giovanotto sorrise e negli occhi gli passò un lampo che l’usuraio colse a volo.

– Stia bene in gamba, giovinotto. Lei crede di avermi imbrogliato allegramente, perchè non è ancora maggiorenne? Ma io lo faccio metter dentro. Lo faccio metter dentro, perchè ha garantito colla sua firma un nome falso.

– Un nome falso?…

– Meno chiacchiere; Richard è un nome falso.

– È un nome falso? Richard?… – esclamò Giacomo diventando pallido. – Ma io non lo so, non lo sapevo, non so niente! posso giurarlo; lo giuro!

– Lo proverà… in tribunale.

– Io scriverò al Richard, andrò a San Donnino. Andiamo insieme a San Donnino!

Giacomo, preso da subito spavento, balbettava, tremava come una foglia.

– A San Donnino?… Non sa che il Circo Stanislao si è sciolto?… Non facevano un soldo.

– Ma…

Il Facchinetti capì l’interrogazione muta, l’angoscia di quel ma, e scoppiò in una risata.

– Coraggio, giovanotto!… Quei due imbroglioni sono stati scritturati da un impresario americano; devono essersi imbarcati ieri per Buenos Aires.

– Ma allora?… Allora?… – e Giacomo, più che alla Fanny e al suo tradimento, pensava all’infamia del Richard e a quella minaccia del Facchinetti – In tribunale! – e balbettava supplichevole:

– Non mi faccia del male!… Non mi faccia del male: io sono innocente di tutto!

L’altro rimase duro, insensibile.

– Due parole sole – gli disse poi abbassando la voce, ma in tono aspro, risoluto. – Le tremila lire scadono dopo domani: Lei paga? Io mi accontento e sto zitto. Non mi paga? consegno la cambiale a chi l’ha da avere e buona notte! Se lei è innocente lo proverà nel giudizio.

Ciò detto, e messa la bicicletta in equilibrio, vi saltò sopra dandosi una spinta, e via come il vento!…

Giacomo, sbalordito sotto il peso di quel disastro, colle gambe che gli tremavano, si avviò verso casa.

Avrebbe trovato il babbo solo; voleva confessar tutto al babbo. Bisognava disperarsi; strapparsi i capelli; minacciare un suicidio.

– In tribunale?… Un processo?… Che canaglia quel Richard! Gli era sempre stato antipatico, odioso. E lei… Fanny?.... Così affettuosa, così tenera l’ultima sera… tante promesse!…

A poco a poco, gli entrava in cuore la sicurezza che il babbo lo avrebbe salvato, che il babbo gli avrebbe pagata lui la cambiale; ma quanto più si calmava tanto più provava dispetto e bruciore dell’abbandono, del tradimento di Fanny; bruciore, sentimenti che, a poco a poco, all’idea della sua bella, perduta per sempre, si tramutavano in rammarico dolore.

– Dio!… Dio!… Che infamia!

E non più per far paura al babbo, ma sinceramente, sentendosi così solo e tanto disgraziato, pensò di ammazzarsi. – Un colpo di revolver, secco… – Ma poi, riflettendoci, vedendosi tutto insanguinato, e magari ancora vivo, sospirò:

– Che bella cosa sarebbe stata, di potersi addormentare quietamente, senza colpo di revolver… e non svegliarsi più.

Così, sospirando, borbottando e camminando sempre più lentamente, a mano a mano che si avvicinava a casa arrivò in via Lentasio, e subito vide suoi padre sulla porta del fondaco.

– Il babbo?.... Lo aspettava?… Sapeva già qualche cosa? Meglio così.

Il signor Daniele, appena scorse il figliuolo, gli fece un cenno colla mano, come per gridargli: – Che cosa hai mai fatto?… – E poi, quando gli fu vicino: – Vieni su subito – gli disse. E salì pel primo frettolosamente la scala, sospirando, sbuffando, e crollando il capo, finchè l’ebbe condotto in camera sua.

Voleva innanzi tutto strapazzarlo.

– Vergognatevi! Vergogna! – Ma non trovando le parole, proruppe in un singulto: – Almeno… almeno correre da me, parlar con me, subito!… subito!…

– Sa tutto – pensava Giacomino, chinando il capo con aria avvilita e compunta. – Meglio così.

– Sai? – continuava il signor Daniele, sgranando gli occhi come uno spiritato – sono venuti a dirlo alla mamma. Che scena! Correva la gente!… Si fermava sulla porta! e tutto contro di me!… Addosso a me! Tutto sulle mie spalle! Io sono un Pantalone, un cretino della Val d’Aosta, un rimbambito; tu un malvivente da rinchiudere fra i correggendi. Perché non mi hai confessato tutto?… Devo condurti a Genova io stesso, subito, e imbarcarti. Non più col Rosasco, con un altro. Non si sa chi; ha telegrafato la mamma. Anche il Rosasco è un traditore; la Maddalena ha capito tutto; anche la gherminella del colera. È furente anche per questo. Siamo tutti bugiardi! Tutti impostori!

– Anche la mamma sa tutto – ripeteva Giacomino fra sè. – Meglio così – e per calmare e intenerire il babbo diede in un pianto dirotto.

– Si… Ci vuol altro che lacrime! – E il signor Daniele si esaltava a gridare e a pestare i piedi per vincere la commozione e il singhiozzo.

– In fine, non ho mica ammazzato nessuno… – esclamò Giacomo, pensando essere venuto il momento di rimettersi in sella.

– Sicuro! – rispose l’altro. – Ma provati a dirlo a tua madre. Sai che… non si può parlare. Non si può fiatare. È un eccesso; peggio che sotto i croati. Peggio!… E se apri bocca, casca il mondo. «Imparate da me! Imparate da me!» Non c’è che lei. Maledette le perfezioni!… – Ma poi, accortosi di essersi lasciato trasportare, si fermò, cambiò tono: – Sempre, per altro, con giustizia… per il bene della casa… per il bene di tutti. E voi… Vergogna… Vergognatevi!… E, fatto il male, nessuna confidenza in vostro padre.

– Volevo dirti tutto. Ero venuto a casa, apposta, per dirti tutto.

– Non dovevate aspettare: oggi, proprio oggi, a parlare: dovevate parlare a suo tempo.

– A suo tempo? Quando?

Anche Giacomino lo aveva saputo appunto allora, in quel momento, dal Facchinetti, e lo disse a suo padre.

– Io non credevo di dover pagare, e non dovrei pagare se il Richard non fosse una canaglia: lui ha preso i quattrini. Suo è il debito. Sua è la cambiale. Lui solo, il Richard, quel pezzo da galera… – ma Giacomino si fermò di colpo, spaventato dal viso di suo padre.

L’equivoco, in ogni modo, non avrebbe potuto durare più a lungo. Nessuno ancora, in casa, sapeva niente: della cambiale. La signora Maddalena aveva fatto una scenata al marito per via del cameriere del caffè del teatro, che, stanco di scrivere, era venuto in persona, nel negozio Monghisoni, per farsi pagare i suoi centocinquanta franchi.

– La cambiale?… La cambiale?… Una cambiale? – balbettava il signor Daniele in convulsioni, aggrappandosi al figliuolo.

Giacomo, che non aveva mai visto quegli occhi, quel viso, quel color verde, quella, bava alla bocca, si spaventò, gli buttò le braccia al collo, stringendolo forte, disperatamente.

– Papà! Papà! Papà! Ascoltami!… Papà!

Dio santo!… il signor Daniele non poteva, più parlare. Era un colpo.

Giacomo, preso da terrore, voleva andare a chiamare aiuto: l’altro si riscosse, lo fermò.

– Per… per… amor di Dio! – E non disse altro.

– Perdonami! Perdonami! – supplicava Giacomo alla sua volta, colpito, scosso da quel gran dolore, – Ha ragione la mamma. Sono un tristo! Un infame! Partirò! Nessuno mi vedrà più!… Ma prima, andiamo insieme dal Facchinetti. Io lavorerò, non mangerò che pane e acqua, finché non avrò pagato, ma pagherò io: tutto io. Con una tua parola il Facchinetti aspetterà, nessuno saprà niente.

L’altro, livido tremando come una foglia, balbettava:

– Qua… qua… quanto?

– Tremila lire.

Tutta la lunga persona del signor Daniele dette un’altra scossa.

– E… qua… qua… quando?

– Doman l’altro. – Sì… Sì… Sì… Dal Facchinetti… Dal Facchinetti… Subito, subito, subito dal Facchinetti! – esclamò cercando cogli occhi il suo cappello che aveva lì dinanzi, sul tavolino, e non lo vedeva.

– Andiamo.

– Andiamo.

E andarono in cerca del Facchinetti, girando e domandandone per mezza Milano, ma il Facchinetti non si poteva trovare in nessun posto.

Giacomo aveva preso a braccetto e sorreggeva il padre che continuava a tremare e a balbettare sempre più, per paura di non trovare il Facchinetti, e di non fare in tempo.

– Tre… tremila lire… Dopo… dopodomani… Finalmente lo imbroccarono: sulla porta del Campari.

– Cercavano di me? Cosa vogliono? – domandò l’usuraio col solito modo brusco e affrettato.

– Mio padre – disse asciutto Giacomino, indicando il signor Daniele.

Allora il Facchinetti cambiò tono, diventò garbatissimo, si profuse in complimenti, in scappellate, fece entrare i due signori nel caffè, e li condusse a un tavolino in un angolo oscuro.

– Cameriere! vermouth!

– No… no…

– Mi faranno la cortesia di accettare il vermouth.

– No; no… grazie – balbettava il signor Daniele.

– Prego, prego; senza complimenti; sediamo. È sempre mio buon padrone.

Vedendo quella faccia stravolta, il Facchinetti aveva capito subito di che si trattava, e aveva capito pure che teneva quel bonomo nelle sue granfie.

Cominciò a calmarlo, a rassicurarlo, e a difendere il signor Giacomino.

Oh Dio! spropositi di gioventù!

Il Facchinetti dichiarò al signor Daniele che anche lui era padre, aveva un maschio e una femmina; e perdianabacco gliene facevano di tutti i colori. Ma un padre che cosa può desiderare dai suoi figliuoli? La salute e basta! Del resto anche il signor Giacomino, evidentemente, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, era stato raggirato per troppa buona fede, per troppo cuore: e poi la ragazza – e strizzò l’occhio… – Insomma, gioventù; egli era rimasto preso alla pania, per le arti di due volpi sopraffine, che avrebbero ingannato mezzo mondo. Il Richard non era riuscito a fargliela anche a lui? Sicuro! A lui, Facchinetti! – Poteva gloriarsene! – Gli aveva truffate seimila lire… una sull’altra. Ma ormai aveva preso il largo. Inutile il pianto; inutile guastarsi il sangue.

– La loro cambiale scade, quando?… – Il Facchinetti non se ne ricordava più.

– Doman l’altro – risposero, quasi insieme, padre e figlio.

– Che importa? Rinnoviamo, se crede. Sempre mio buon padrone.

Il signor Trebeschi metteva la sua riverita firma, e lui teneva la cambiale chiusa, sepolta in fondo al cassetto, per tre mesi, per, sei mesi, per un anno.

– E nessuno – concluse il Facchinetti – deve saper niente dei nostri interessi.

– Sì… Sì… Bravo; facciamo così. – Oh Dio!… – Il signor Daniele cominciava a respirare. – Io le pagherò subito gli interessi della rinnovazione…

– Faccia come vuole; io mi contento del giusto.

– E lei mi giura, proprio, di tenerla in portafoglio?

– Basta la parola.

– Senza farla girare?

– Mai mai… Non ci sarebbe altro che il caso di dover dar fondo a tutte le batterie; ma in tal caso, perdiana! l’avvertirò.

– Ecco, prima di farla girare, in tutti i casi, mi fa il favore di prevenirmi.

– Si figuri!… Basta la parola!… – E così dicendo alzò il bicchierino.

– Alla sua salute, signor Trebeschi. – Poi volle toccare anche con Giacomino, e lì, nell’angolo buio del caffè, bevendo il vermouth, il signor Daniele firmò la cambiale. Il signor Facchinetti la cacciò subito nel suo portafoglio, col danaro degli interessi, e andandosene in fretta e furia, dimenticò persino di pagare il vermouth.

Padre e figlio rimasero ancona seduti, un momentino, per non esser veduti uscire insieme coll’usuraio.

– E adesso, siamo sicuri! – esclamò il signor Daniele guardando il figliuolo con tenerezza, come se lo avesse ricuperato. E gli si fece più vicino, sul canapè.

– Raccontami tutto, com’è andata, fin dal primo principio, perché io ancora non ho capito niente. – E soggiunse che aveva sempre sospettato che quel Richard fosse un poco di buono… Ma invece… la… quell’altra… la sorella… – non aveva il coraggio di dire Fanny – la sorella non ci doveva, aver che fare.

– Oh, anche lei!… – sospirò Giacomino.

– Anche lei?… Anche lei? – replicò ansiosamente il signor Daniele.

– No! No!… Non è possibile!

Colla cambiale, colle bricconate del fratello, la Fanny non ci doveva entrare, non ci entrava, affatto. E babbo e figliuolo si accordarono nel difenderla buttando tutta la colpa addosso al Richard e alla esistenza girovaga, e alla vita del teatro.

– Tutte le sere, esporsi al pubblico in quel modo… – sospirava il signor Daniele.

– Sempre col pericolo di rompersi il collo – soggiungeva Giacomino.

Daniele si fece coraggio e finalmente diede libero sfogo alle centomila domande che da tanti giorni gli stavano sul cuore.

– Ed era proprio partita per Borgo San Donnino? E poi doveva andare a Terni?… E adesso era stata scritturata per l’America?… per Buenos Aires?… Da chi?… Sempre col fratello?… E quel generale?… E il Circo Stanislao?… Fallito? e in America?… Andava più gente al teatro in America?… E la sua roba? Sequestrata?… Proprio anche la sua?… Tutto venduto?…

Ci fu, dopo tante domande, alle quali il figliuolo aveva risposto per lo più con monosillabi, un lungo silenzio.

– Andiamo? – disse a un tratto Giacomino.

– Andiamo – rispose Daniele.

Si alzarono, uscirono senza dir neppure una parola, e sempre silenziosi e meditabondi, attraversarono la piazza del Duomo.

Poi, il signor Daniele, dopo un sospiro, domandò:

– E Gladiator?… Avrà dovuto, vendere anche Gladiator?

VIII

Nell’animo del signor Daniele, dopo tanta agitazione, era subentrata la calma e quasi un senso di benessere; ma poi, appena rimesso il piede in quella benedetta via Lentasio, così angusta e tetra, appena scorta da lontano quella vecchia insegna: Giovanni Monghisoni, tornò a rannuvolarsi e a sospirare.

– Dio, Dio!… E adesso, saremo daccapo…

Che cos’era, a che si riduceva il piccolo conticino del cameriere, in paragone delle tremila lire del Facchinetti? E la Maddalena colle sue sfuriate, co’ suoi «editti» gli parve più esagerata, più matta che mai.

– Tanto strepito per così poco!

A buon conto peraltro si staccò da Giacomino: se Maddalena lo avesse visto così a braccetto del malvivente, stava fresco.

– Tu va avanti difilato in camera tua, senza passare dal negozio.

Qui la vecchia insegna Giovanni Monghisoni, gli ricordò tutti i suoi doveri: anche quello di far la predica al figliuolo, e continuò:

– Riflettete a quanto vi è successo, e a quanto di peggio vi poteva capitare. Rifletteteci col fermo proposito di mutar vita. E per oggi non muoversi più di camera; non si viene a pranzo: la mamma lo ha dichiarato formalmente, non vuol più vedervi sino al momento della partenza e, forse, nemmeno allora.

Giacomo tirò diritto col bastoncino sotto il braccio, svelto, elegante, sottile, e infilò la porta di casa senza esitare: l’altro lo seguì cogli occhi, intenerito.

No: non lo avrebbe lasciato partire; no; no.

– Oh monsieur! ben arrivato!

Daniele trasalì. Era Maddalena che lo aspettava sull’uscio dello scrittoio, le mani suoi fianchi, battendo i piedi per la stizza.

– Ben arrivato il monsieur!

– Monsieur? perché monsieur? – e Daniele si sforzò di fare un viso ridente, sbirciando la moglie per capire che cosa ci fosse di nuovo.

– Io, qui, sacrificata tutto il giorno: e il nostro monsieur tutto il giorno a spasso!

– Monsieur?… perché monsieur? – continuava a pensare il pover’uomo, sempre più inquieto. – Che cosa c’è di nuovo?

– Sono stato dal Borgondio – rispose – dal Cartolari, dal Mazza, dal Poncelletti, dal Vergani – e seguitò ad infilar nomi quanti gliene venivano in mente, finché sua moglie lo interruppe con una risataccia.

– Simpaticone, il nostro Monsieur. – Lo fissò, lo fulminò con un’occhiata piena di sprezzo, di collera. – Très sympathique, con… con, quel bel muso! – E di colpo gli voltò le spalle e se ne andò per non scoppiare.

Il signor Daniele impallidì; il sorriso gli morì sulle labbra.

Che sua moglie avesse scoperto qualche cosa? Ma poi si tranquillò.

Se avesse scoperto qualche cosa, non si sarebbe accontentata di borbottare fra i denti: avrebbe mandato all’aria tutto il fondaco Monghisoni colle botti di aringhe e i barili d’olio.

– Monsieur? perché monsieur?… – Era andata a inventare anche il francese per tormentarlo?

E su. in casa, durante tutto il desinare, Maddalena tornò da capo. Ogni due parole ci ficcava in mezzo un monsieur od un sympathique, mentre il povero signor Daniele rideva giallo e i bocconi gli facevano groppo in gola.

– Il monsieur non ha fame?… Io, invece, sono sempre di buonissimo appetito – e si sbatteva sul piatto un’altra gran fetta di lesso. – Sempre. di buonissimo appetito; oggi come ieri, tal’e quale. Perché oggi come ieri, io ho lavorato, ho sgobbato; sempre in banco o in magazzino per poter far fronte ai nostri impegni, logorandomi la salute e stillandomi il cervello per gli altri, sicuro!… per tutti quelli che dovrebbero imparare da me, come io ho imparato da mio padre, il lavoro, la prudenza, l’onestà, l’oculatezza.

Temistocle e Gian Maria, col viso sul piatto, si davano calci sotto la tavola, per sfogare la noia e la stizza; la Cammilla, vicino ai fornelli, faceva smorfie e occhiacci allo zio per incitarlo a rispondere, ma nessuno fiatava; e Daniele meno di tutti. Sempre a capo chino, continuava a fare e a disfare nodi colla cocca del tovagliolo, meditando su quella grande disgrazia di avere una moglie troppo perfetta.

– Dio, Dio! come le faceva scontare le proprie perfezioni!… Oh, avesse avuto qualche virtù di meno, un po’ meno di cervello, avesse lavorato meno, e li avesse lasciati tutti respirare in pace!

– Che cosa medita il monsieur? Mi sembra sospiroso, malinconico.

Maddalena, diritta sulla seggiola, rideva ironicamente, stirandosi il lungo tovagliolo bianco sul petto rigonfio.

– Anch’io, anch’io avrei potuto essere la simpaticona, la très sympathique di qualcuno!

Daniele allibì; il sangue gli dette un tuffo.

– La signorina Fanny – pensò ad un tratto, e istintivamente chiuse gli occhi, abbassò il capo, sprofondò sulla seggiola. – La signorina Fanny! – Sua moglie sospettava, sua moglie aveva scoperto la verità!

Proprio così: Daniele lo seppe quella sera stessa dallo stesso Giacomino, il quale cercando le sue lettere – saperlotte! – non le aveva più trovate.

La signora Trebeschi, da donna pratica e avveduta, aveva subito pensato che il conto del cameriere del Caffè del Teatro non doveva essere il solo debito di Giacomino, e che quel malvivente non aveva certo bevuto da solo tanto cognac, tanto marsala, per centocinquanta lire.

Appena ebbe visto Giacomino uscir con suo padre, salì in fretta nella, sua camera, frugò, rovistò in tutti i cassetti, trovò le lettere minacciose dell’orefice, trovò i conti della Ville de Paris, della Città di Vienna… e finalmente anche le lettere di Fanny, le prime.

Dopo, la cavallerizza aveva scritto meno, e Giacomino aveva sempre stracciato tutto. E quelle prime letterine tra il sentimentale e lo scherzoso, mezzo in francese, mezzo in italiano; scritte per lo più per ringraziare di qualche regaluccio, finivano sempre con una stretta di mano, coi saluti pel signor Daniele.

«Bien des compliments a quel caro simpaticone, à monsieur votre père».

Maddalena, a tale scoperta, aveva riso del marito facendo una sdegnosa alzata di spalle, ma tutta la sua collera, anche la sua collera di moglie offesa, si riversò sul capo di Giacomino, del figlio scellerato.

– È riuscito a depravare anche quell’innocente semplicione. Giacomo! Giacomo! – Essa lo aveva sempre preveduto. Ecco il pericolo della casa; la corruzione, la rovina della casa.

Bisognava disfarsene. Altro che il colèra!… E ci aveva creduto anche lei!… Ci aveva creduto perchè all’ultimo momento si era sentita debole, non aveva voluto capire che la ingannavano. E adesso era punita: se lo meritava. Bisognava disfarsene; bisognava saper tutto; aver le prove in mano. – Far confessare quel malvivente? – Impossibile; era troppo bugiardo.

– Fanny?… Che demonio era questa Fanny?… Fanny?…

La signora Maddalena sguinzagliò di qua e di là tutti i suoi segugi, agenti, sensali, compari, e questi, in breve tempo, facendo cantare il famoso cameriere del Caffè del Teatro, interrogando l’orefice, e via via seguendo le orme di Giacomino fin dalla portinaia dei Richard, riuscirono a sapere la verità; e anche più della verità.

Quella tal Fanny era una francese, una delle prime cavallerizze del circo Stanislao.

– E Giacomino?… Il Trebeschi?

– Era il suo amante. La cavallerizza aveva piantato, per il giovanotto, nientemeno che il generale: un principe, un milionario.

– E l’altro Trebeschi? Il signor Daniele?

– C’era cascato anche lui, per pagare i debiti. Padre e figlio ne avevano fin sopra gli occhi, erano in mano degli usurai; di uno specialmente, il peggiore di tutti, un certo Facchinetti.

Il Facchinetti?… – Quella gente, quei sensali, quei compari, erano tutti pane e cacio col Facchinetti. Andarono da lui, direttamente, e in un batter d’occhio la signora Trebeschi-Monghisoni fu messa al corrente di tutti gli amori, di tutti i pasticci del figlio e del marito, ed anche della famosa cambialetta di tremila lire colla firma del signor Daniele.

– La firma di Daniele? Impossibile: non è capace, certo quello scellerato di Giacomo -Giacomo! – lui, giurerei, ha falsificata la firma.

No. Le dissero che il signor Daniele aveva firmato di suo pugno, proprio di suo pugno, dal Campari.

– Dal Campari?… In pubblico?…

Il signor Trebeschi era stato messo alle strette. Quell’altra cambiale da rinnovare, quella colla firma del Richard e del signor Giacomo, era in scadenza, non c’era tempo da perdere.

Maddalena mandò subito a chiamare il Facchinetti per avere la cambiale, ma era già stata girata alla Banca Popolare.

– Alla Banca! La firma Trebeschi! – Daniele Trebeschi – alla Banca Popolare, sotto quella di Facchinetti!

Era il disonore, il discredito della ditta Monghisoni; e in quei giorni di crisi, col timor panico da cui era preso il commercio per tante disgrazie, per tanti fallimenti, che nessuno avrebbe mai preveduto, bastava un nonnulla, una voce sinistra, una cattiva informazione, per mettere in allarme la gente e poi portare alla rovina.

Infatti, alla Banca Popolare qualcuno del Comitato di sconto, trovando quella cambiale con Facchinetti traente e Daniele Trebeschi accettante, aveva fatto molti commenti e punto favorevoli.

Si fa presto a perdere il credito.

La signora Maddalena, a quel colpo, non strepitò; non fiatò nemmeno. Stordita, accasciata, si lasciò cadere di peso sul vecchio canapè dello. scrittoio, borbottando: – La peste! La peste! Doveva essere il flagello della casa, di tutti: me lo merito; era destino. – E non disse più altro. Soltanto, dopo mezz’ora buona di raccoglimento, quando cominciò a riprender fiato, mandò in cerca del signor Mauro Piazza.

Questi era un lontano cugino di suo padre; l’unica persona colla quale essa si consigliasse qualche rara volta, nei momenti più difficili, perché il Piazza le dava sempre ragione, e la ammirava estatico per i suoi danari, per la sua testa e per la sua bellezza rigogliosa.

– Lee e poeu pù! – Era questo il motto, il saluto, la conclusione del signor Mauro.

Maddalena rimase seduta nello scrittoio ad aspettarlo. Gian Maria, Temistocle, i commessi una frotta di gente, correvano in su e in giù, gridando, chiamando, abbaruffandosi, in quel continuo caricare e scaricare, in quel fracasso, in quel tramestìo del fondaco; ma la signora Maddalena. non badava a niente, non sentiva niente; coll’occhio sempre fisso verso l’uscita di strada, aspettava il signor Mauro. La Cammilla le portava lettere, conti, bollette: essa non guardava nemmeno, appena le faceva cenno col capo di metterle tutta sul banco, nello scrittoio.

Continuava a pensare a’ suoi casi e a ruminarli nella mente, mentre teneva d’occhio l’uscio di strada aspettando sempre Mauro Piazza. Quando lo vide entrare, alto, diritto, colla barba brizzolata e il pelliccione di volpe come suo padre: – Eccolo – esclamò; si alzò e fece chiamare il signor Daniele.

L’infelice, in quei giorni, stava più che mai rincantucciato negli angoli bui, per non lasciarsi vedere dalla moglie, per non lasciarsi vedere da nessuno, più spaventato ancora perché sua moglie taceva.

– Andiamo su – disse la signora Maddalena.

Salì, e si avviò, dondolando i fianchi, verso il salotto, che aprì con gran rumore di chiavi e un gran sbattachiar di porte.

Il salotto, una stanza fredda, con un forte tanfo di muffa, con pochi mobili diventati vecchi senza essere usati, non si era aperto se non per i grandi avvenimenti della famiglia; il matrimonio col signor Daniele, i funerali del signor Monghisoni, il giorno del battesimo dei figliuoli.

La signora Maddalena, sempre muta e maestosa nella solennità tragica di quel momento, spalancò le persiane, tirò le tende, prese tre sedie, che spolverò col fazzoletto e poi collocò presso ad un tavolino con sopra un gran vaso di tulipani celesti di tulle stinto.

– Sediamoci, signor Mauro.

– Semper lee e poeu pù! – mormorò il vecchiotto, ch’era rimasto assorto in contemplazione.

– Si tratta d’interdire Giacomino – disse lei di colpo. – Come si fa?

Daniele se l’aspettava; fece uno sforzo per dar la risposta che aveva preparata, ma subito gli mancò la voce, tossì.

– Parlerò oggi stesso col mio avvocato – rispose Mauro Piazza – l’avvocato Rossetti, un bravissimo avvocato. Sempre ai suoi comandi, signora Maddalena – e le posò sulle ginocchia la mano rossa e gonfia.

– Ecco… intanto… bisogna aspettare che sia maggiorenne – borbottò Daniele, a testa bassa, strappandosi i pelolini dei calzoni.

– Ci manca poco. Io, sempre io, devo preveder tutto e prevenir tutto, in tempo debito. Quando il signor Giacomo compirà i ventun’anni, egli, sarà già chissà dove, speriamo, molto lontano; ma in ogni luogo, anche in capo al mondo, se gli si lascia un giorno solo, può compromettere il nostro nome. Lei, signor Mauro – il signor Mauro continuava ad approvare ogni parola dondolando il capo – lei lo condurrà a Genova domani stesso e lo consegnerà a quell’individuo che io poi le indicherò, maa – e tirò lungo il ma, che non finiva mai, – maa tenga bene a mente, o guai a lei!: – nessuno deve saperne niente.

Il signor Mauro giurò che non avrebbe aperto bocca.

– Nessunissimo – ripetè Maddalena.

– Nemmeno suo padre? Nemmeno suo padre? – esclamò di scatto Daniele balzando sulla seggiola, e drizzando verso il signor Mauro, giacché non osava di guardar la moglie, il naso affilato, lucente di sudore e di lacrime.

– Voi… – proruppe la signora Trebeschi, ma poi, con uno sforzo brusco, mordendosi le labbra e i baffetti, riuscì a contenersi – voi – riprese con calma studiata – siete qui per ascoltare, non per parlare. Voi non avete più voce in capitolo – e sgranando gli occhi e fissandolo come se lo volesse mangiare, ripetè: – in nessun capitolo!

– Sempre… sempre potrò… potrò parlare – balbettò Daniele con parole strozzate che gli uscivano dalla gola come singhiozzi – sempre… sempre quando si tratta di mio figlio… di… del… del mio sangue.

Maddalena si alzò di colpo; non si reggeva più; non poteva più star ferma.

– Signor Mauro.

– Comandi?

– Andrà domattina alla Banca Popolare; parlerà col direttore, farà in modo di ritirare una cambiale di tremila lire, colla firma del Facchinetti, e la firma di questo signor… padre. – E pronunziò quest’ultima parola – padre – con tutto il disprezzo e l’ironia di cui era capace.

– Come?… Come?… Alla Banca Popolare?… Alla Banca Popolare?…

Anche Daniele era annichilito.

– Alla Banca?… Alla Banca Popolare?

– Sì, sì, sì! – strillava lei ridendo, sogghignando nervosamente e andando su e giù per la stanza. Il signor Mauro, sbalordito, si rigirava sulla seggiola e si ostinava a domandare all’uno e all’altro senza ottenere risposta: – Come? è proprio il Facchinetti del Crocifisso? L’usuraio? Il Facchinetti del Crocifisso? e intanto il povero Daniele smaniava e protestava che il Facchinetti si era impegnato solennemente a non girare quella cambiale e a tenerla in portafoglio.

– Mi ha dato la sua parola d’onore! La sua parola d’onore!

– Il Facchinetti del Crocifisso? – domandò ancora per l’ultima volta il signor Piazza.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
140 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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