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Kitabı oku: «Il tenente dei Lancieri», sayfa 5

Gerolamo Rovetta
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– Ma sì, in nome di Dio! – strillò Maddalena – l’usuraio! l’usuraio del figlio, l’usuraio del… – e qui un’altra occhiataccia ironica, sprezzante, furibonda – l’usuraio del padre!

– Ah, ma allora… – e il Piazza, scandolezzato, si sdraiò sbuffando sulla seggiola – allora la signora Maddalena ha tutte le ragioni, ha cento, mille, un milione di ragioni.

– Ha un torto solo, per altro, fra tante ragioni – gli rispose Daniele a mezza voce, non potendo frenare un fremito di stizza. – Ha il torto di mettere gli… estranei nelle questioni nostre di famiglia. È difficile poter giudicare di tutte le circostanze cha capitano… nella vita.

– Lui, le cavallerizze del Dal Verme, le chiama circostanze della vita, lui! – strillò Maddalena, afferrando il vecchio sbalordito, per la pelliccia e sbattendolo violentemente. – Capisce, signor Mauro? Io, quando per eccesso di prudenza, e posso vantarmene, domando un consiglio al cugino di mio padre, metto in piazza i segreti della famiglia; lui, invece, lui, che si fa menare per il naso dalle cavallerizze di rango francese, che fa ridere alle sue spalle mezza Milano, e spende a spande, e firma cambiali, e fa debiti sporchi per le Fanny, lui è l’uomo, anzi il padre, il genitore saggio e circospetto!

Daniele cercò di giustificarsi, ma sbagliò strada; pareva quasi non volesse far altro che calmare la gelosia della moglie.

– Ah, non sei stato più di due o tre sere al Dal Verme? E soltanto per tener d’occhio quella. perla del tuo ragazzo?… Hai paura, magari, che io dia in convulsioni per te?… Gelosa?… Io?… della tua faccia? Ma so, so, so, che sei incapace, incapacissimo di tradimenti! – E qui una risata peggiore delle altre. – Tu ti sei lasciato menar per il naso, ti sei fatto mettere in mezzo da quella peste di Giacomo! Lui, lui, ti ha corrotto, ti ha istupidito; lui, la rovina della casa, la rovina tua, mia, di tutti quanti; se non ci fossi io, peraltro; io, che ho gli occhi aperti.

– Brava! – esclamò il signor Mauro, voltando le spalle a Daniele.

– Io, io – continuava Maddalena – che mi sono ammazzata a lavorare tutta la vita come mio padre, perché poi i miei denari, vadano a ingrassare le signore Fanny e i Facchinetti!

– Benissimo!

Daniele protestò, rivolgendosi al Piazza, obbligandolo a voltarsi.

Anche lui, in fin dei conti, anche lui, Daniele, sudava da venti, da trent’anni in quel fondaco, in quella cantina, in quella prigione, senza mai aver domandato niente, mai niente, nemmeno un tozzo di pane, più di quel tanto che gli buttavano sul piatto come un cane; erano venti, trenta anni che sgobbava anche lui, da mattina a sera, senza aver chiesto niente, mai niente, nemmeno un giorno di riposo, un minuto di pace. In fine c’era anche il suo sangue, il suo sudore in quei danari tanto vantati dalla moglie; li avevano guadagnati insieme! E quando, un giorno, non per divertirsi, ma per suo figlio, per amore di suo figlio, che aveva commesso uno sproposito, lui, padre, voleva spendere anche tremila lire per rimediare, per pagare, credeva di poterlo fare, di avere il diritto di farlo, e di non essere, per questo, nè un vizioso, nè un ladro, nè un’imbecille.

Il signor Mauro sogghignava:

– Per una cavallerizza?… Tremila lire?… Ha ragione, signora Maddalena.

– Caro Piazza, lei non è padre – gli rispose Daniele ancor più risentito, colla voce alterata. E forse, chissà, nell’ira, par quell’intromissione indelicata, c’entrava pure un fremito di pudore offeso, il risentimento di un’intima e gelosa verecondia: era la signorina Fanny, nell’amazzone nera, attillata, tutta la signorina Fanny, coi labbruzzi che parevan foglie di rosa, col piccolo neo dietro l’orecchio, era il desiderio, la tentazione, l’ideale che veniva buttato villanamente in pascolo alla curiosità, allo scherno di quell’omaccione plebeo. – Lei non è padre – gridò – e non può, non deve, non ha il diritto di criticare quello che può fare un padre per suo figlio.

– Finiamola! – interruppe Maddalena. – È ora di finirla col padre, col figlio, collo spirito santo!

Non ne poteva più!

– Imparate da me a saper tacere, a saper comandare anche al proprio cuore e a farvi rispettare. E imparate da me ad educare, ed anche – me ne vanto perché posso vantarmene – ad amar con giudizio e con coscienza i propri figliuoli.

– Certo! – replicò ironicamente il signor Daniele.

Amava i suoi figli, lei, e li mandava in mare, lontano, incontro ad una vita piena di stenti, di pericoli, una vita di galera! Amava i suoi figli e li voleva interdire, voleva rovinarli, disonorarli per sempre, prima ancora che cominciassero a vivere!

– E. questo perché? – rispose, sforzandosi di tornare in calma, la signora Trebeschi – per impedire che uno solo possa essere la rovina degli altri.

– Brava!… Lee e poeu pù!

– Per questo voglio imbarcare quel manigoldo; e siccome l’ha nel sangue la peste dei debiti e delle cambiali, così non c’è scampo: interdirlo, per mettersi al sicuro.

– No; niente.

Maddalena guardò suo marito trasecolata.

Grazie alla presenza d’un altro, essendo in tre, il signor Daniele aveva meno paura della moglie; e poi erano su in casa; essa poteva strillare e strepitare, nessuno sentiva. Infine, quel signor Mauro, mortificandolo e punzecchiandolo, gli dava coraggio.

Suo, figlio imbarcato? No. Suo figlio interdetto? No. E continuava a insistere, a ribattere, a ripetersi, con quella testardaggine che era pure una forza, la sola forza che vincesse in lui la timidezza.

Tremila lire? Ebbene in quegli anni aveva guadagnato altro che tremila lire! Aveva lavorato per suo figlio, le aveva guadagnate per suo figlio, le aveva spese per suo figlio! Che cosa erano in fin dei conti tremila lire? Ne poteva spendere anche trentamila senza rovinarsi… E le avrebbe spese, e ne avrebbe spese anche centomila, avrebbe speso tutto il suo per la salvezza, per l’onore di suo figlio.

Maddalena, non avvezza ad essere contraddetta, e nemmeno sentirsi rispondere, dinanzi a quell’esaltazione e a quel profluvio di parole, rimaneva sempre più attonita e sconcertata.

– Sta bene – rispose a Daniele un po’ più sottovoce. – Hai perdonato? Pagheremo e ritireremo la cambiale. Ma perdonare, impara da me, non vuol dire dimenticare; perdonare non vuol mica dire tenere… quel cattivo soggetto ancora in condizione di nuocere a noi e a’ suoi fratelli. Ho ragione, signor Mauro?

– Sempre.

Daniele, stupito a sua volta della moderazione di Maddalena, se ne fidò troppo: essa abbassava la voce?… Credette far bene alzandola, lui.

– Correggere – esclamò con forza, rizzandosi come sua moglie, e battendo come sua moglie un piede in terra – correggere non vuol dire… esagerare.. Si può correggerlo… senza mandarlo a fare il mozzo, in capo al mondo.

– Che cosa vuoi farne di un ragazzo che non ha vent’anni e già s’ingolfa nei debiti fino al collo, per donne di teatro?

– Correggerlo, sissignore! ma interdirlo; punto primo, non si può. e anche se si potesse, non vorrei, piuttosto… mi cambio nome. Vergogna: c’è da vergognarsi!

– Ma… se è d’una razza… se l’ha nel sangue la peste dei debiti, delle donne, del giuoco, delle cambiali?…

– Tu, tu invece – non ho paura, parlo chiaro, – tu hai nel sangue del… del veleno contro Giacomino.

Daniele gridava più forte, per non perdere il coraggio, ma era diventato balbuziente, non trovava più le parole, era come fuori di sè, ubbriacato dalla sua stessa temerità, e non sapendo che altro dire, tornava da capo colle stesse cose.

– Adesso ne pagava tremila delle lire?… ne avrebbe anche pagate trecentomila!… Era stufo di piegar la schiena, di servire, di tremar sempre, di far la bestia, di non essere padrone di niente, nemmeno dei suoi figli, delle sue creature, del suo sangue!

– Ma se è appunto per salvare i tuoi figli – soggiunse Maddalena strascicando le parole e sorridendo con una dolcezza che graffiava – se è per salvarli che io voglio allontanare… – quello là!

– Quello là deve essere amato e rispettato come gli altri, quello… quello là è mio figlio come gli altri; e lei, signor Mauro, la finisca, sissignore, anche lei, la finisca di voltarmi le spalle, di compatirmi, di… di… di sogghignare.

– Tu finiscila! Tu! Basta; basta! Basta di alzar la voce!

Maddalena, ormai fuori di sè, aveva, perduto affatto il lume degli occhi, e siccome Daniele, sebbene un po’ scosso, con voce più rotta e più bassa, continuava sempre a rispondere, essa lo afferrò per la cravatta, per il colletto, e prese a scuoterlo violentemente.

– Basta di alzar la voce! Hai capito? Basta! Adesso basta, basta, – basta!

– No… no… non basta! No… mio figlio… – si ostinava a ripetere Daniele, mezzo strozzato.

– Ma che tuo figlio!… Tuo figlio! Quello là non è mai stato tuo figlio! Hai capito? hai capito?

Maddalena rauca, accesa in viso, continuava a tenere il marito per il collo, a stringerlo, a scuoterlo sempre più forte. – Hai capito?… Hai capito?… Allora basta di gridare, basta di seccarmi. Va! Va via!… Fuori dei piedi! – e così dicendo, gli diede tale una spinta che lo mandò traballante fin contro l’uscio.

Poi, a poco a poco, s’andò calmando e mentre si ravviava i capelli arruffati e l’abito sgualcito, ripigliò:

– Avrei dovuto dir tutto anche prima: ho taciuto per riguardo tuo: adesso lo hai voluto tu. Me ne hai fatto un caso di coscienza: colpa tua. Del resto, se mi è capitata una disgrazia… tutte quelle che perdono la testa dovrebbero imparare, da me, come si fa a vincersi, a rimediare, a riparare. Non è vero, signor Mauro?

Questa volta il signor Mauro, che era rimasto a bocca aperta, trasalì, ma non disse verbo.

– Tu – continuò Maddalena, rivolgendosi al marito – quando saprai tutto, imporrai le tue condizioni: la mia punizione, se sarò stata colpevole. Sei il capo della famiglia, farai tutto ciò che crederai più necessario: fa tu, pensaci tu, Ricordati però che il nostro nome, che l’onore e il credito della ditta Monghisoni, non è nè tuo nè mio: è dei nostri figli, di Temistocle e di Gian Maria. Ed ora… – la signora Maddalena cominciava a commuoversi – ed ora… questo posso giurare… se… mi è toccata una disgrazia, non ho… non ho rimorsi!

Vinta dall’affanno, dette in un pianto dirotto, e senza dir altro uscì dalla stanza sbattendo l’uscio.

I due erano rimasti attoniti, trasognati.

– Signor Mauro – disse poi Daniele sottovoce, come per interrogarlo.

– Io?… – rispose l’altro abbottonandosi la pelliccia. – Io…Io per me non lo crederò mai; nemmeno, nemmeno se avessi visto coi miei propri occhi. – Si cacciò il cappello in testa, e se ne andò lentamente, pesantemente, senza mai guardare il signor Trebeschi, senza nemmeno salutarlo.

Daniele, lo vide uscire, lo sentì scendere le scale, ma non si mosse: fermo, immobile, pietrificato, restò lì un bel pezzo a pensare.

– Imparate da me!… Imparate da me!… – mormorò alla fine, scrollando il capo, sospirando melanconicamente. – Belle cose da imparare.

Ma, poi, quando rientrò nel fondaco – si era fatto tardi; era l’ora di chiudere – diede tutti gli ordini e le istruzioni necessario ai commessi, con voce più forte, più alta delle altre sere.

Per la prima volta, il signor Daniele cominciava a sentirsi un po’ padrone in casa sua.

IX

La disgrazia della signora Maddalena aveva avuto un nome ed anche un titolo aristocratico: si chiamava, il conte Adelino di San Marsilio, tenente dei lancieri.

A’ suoi tempi il conte Adelino era stato famoso come uno dei più galanti e dei più allegri viveurs del bel mondo di Torino, di Milano e di Parigi, dove lo chiamavano le comte des mille et une nuits. Ma… adesso? chi ne sapeva più niente?… Era morto? E se vivo, dove era andato a finire?

Aveva dovuto dare le dimissioni, abbandonare il reggimento, perché tutti i nodi vengono al pettine… e anche i debiti quando non si pagano. Si era ritirato a Torino, perché i San Marsilio erano di Torino; ma… poi? Chi se ne ricordava? Qualche creditore, forse.

Quanto alla signora Maddalena, ne sapeva ancor meno degli altri. Lo aveva visto una volta sola; e poi più. Ne aveva avuto abbastanza.

– Mostro… canaglia.

Lo odiava, lo detestava perché anche lei c’era caduta.

Come mai? Com’era successo? Non poteva dirlo; non avrebbe saputo dirlo.

Era stata la sorpresa? la stupidità? la paura? O le era mancata la voce per gridare? per chiamar gente? Il caldo, l’afa di quella sera, dopo pranzo; la testa le girava… chissà?…

E poi chi poteva aspettarsi un fatto simile?… Lì, nel fondaco, proprio lì, in quello scrittoio, su quel vecchio canapè di pelle, imbottito di stoppa, che aveva servito onoratamente a tutta la discendenza dei Monghisoni!

Che bestia, lei; e lui, che sfacciato, che canaglia!

Forse anche quel profumo; quell’odore, anzi quel puzzo di… di serpente, di basilisco che aveva addosso; così sottile, così acuto, e, maledetto lui! così snervante!

C’entrava anche quel certo non so che di… di sopraffino, quella bella maniera che non hanno che i gran signori. E, quello là, tuttoché spiantato, fallito, era uno di quei tali che hanno nel sangue la gran padronanza dell’universo.

Averne sentito parlare tanto e poi tanto, di lui, e di tutte quelle matte che perdevano la testa per lui, e ad un tratto trovarselo lì, seduto accanto, a far lo spasimante!

– Altro che criticarmi! Avrebbero tutte da imparare da me, che in fin dei conti sono stata l’unica… che abbia dato prova di giudizio.

Era vero, infatti, che tutti a Milano, e non soltanto quelli che non avevano niente da fare, si occupavano del conte Adelino di San Marsilio, de’ suoi amori, dei suoi debiti, de’ suoi cavalli.

Anche i buoni borghesi della domenica se lo indicavano l’un l’altro sui bastioni, nelle carrozze delle signore, e nei palchetti al teatro: e così il nome e la fama e le gesta del conte Adelino di San Marsilio erano arrivate vieppiù esagerate, perchè più lontane, persino in via Lentasio, e nel fondaco Monghisoni.

La signora Maddalena, sebbene giovane e prosperosa, restringendo ogni sua gioia nella cerchia meschina degli affari e dei guadagni, odiava la gente di fuori che stava a divertirsi, a spendere e a far all’amore; specialmente poi quello spaccone di un conte senza contanti che non aveva mai visto, ma di cui le avevano empito la testa, non lo poteva patire e provava per lui un’antipatia istintiva.

– Come facevano quelle matte – e quelle matte, per la signora Maddalena, erano tutte le più grandi dame di Milano – come facevano a perdersi dietro a un tisicuccio spiantato come quello?

– Spiantato?… Gli arrivavano da Torino i danari a sacca, e lui li buttava via a palate! Tisico? Ma la signora Maddalena non lo aveva mai visto! Era un bellissimo giovane.

No, non l’aveva mai visto; non lo voleva vedere; per lei, gli zerbinotti li aveva tutti in uggia, non li poteva soffrire: tutti leccati, impomatati, le davano la nausea; e sporgendo le labbra e arricciando il naso, dimostrava energicamente il suo disgusto: – Peuh!

La signora Trebeschi si trovava appunto in queste ottime disposizioni d’animo verso il conte di San Marsilio, quando un giorno le capitò nel fondaco uno dei suoi soliti compari, il Fioccola, che strizzandole l’occhio le propose un buon affaretto.

– Diecimila lire, un mese e mezzo, per il tenente di San Marsilio.

La signora Maddalena strepitò:

– Vada da quelle matte, vada dalle sue contesse a farsi pagare i debiti!

L’altro, il Fioccola, rimase maravigliato. Era un buon affare, un affare sicuro.

– Sicuro? È uno spiantato. E io che non sono una di quelle che si divertono a far all’amore, non voglio rimetterci del mio con questa sorta di gente.

Il Fioccola cercò di persuaderla. Il signor conte di San Marsilio aveva casa di gran lusso, scuderia con dei cavalli; e il Fioccola del resto aveva scritto a Torino. Si poteva dormire fra due guanciali, e ad ogni modo egli stava garante.

Maddalena lo guardò: il Fioccola aveva denari; non c’era rischio. Ma non ne volle sapere; con quella gente lì, non voleva sporcarsi. E tornò a strillare.

– Che; cattivaccia! – esclamò il Fioccola sorridendo a questa sfuriata. – Così bella, bianca, rossa e fresca come una rosa, e sempre cattiva, cattivaccia! – E se ne andò: ma tornò il dì dopo. Gli premeva quella cambiale del signor conte: prendeva i denari dalla Trebeschi Monghisoni al dieci per cento all’anno; ma poi lui si beccava, per provvigione, il dieci per cento al mese.

Tornò dunque alla carica.

– E così? Siamo sempre in collera col povero Fioccola? Sempre tanto bella e tanto cattiva?

Maddalena lo guardò fisso, aggrottando le ciglia; ad un tratto le saltò un grillo in capo e mutò parere. Conosceva il Fioccola da molti anni: se metteva tanta insistenza in quella faccenda, voleva dire che al signor tenente sarebbe costata salata. E perché no? Lei non si insudiciava le mani perché i suoi denari li dava al solito saggio ragionevole: non correva nessun pericolo, perché il Fioccola, in ultima analisi, avrebbe dovuto risponder lui, e quel signor tenente, quel conte senza contanti avrebbe almeno pagata cara, una volta tanto, la bella vita che menava a Milano.

Si fece pregare ancora un poco, poi scontò la cambiale,

– L’ho sempre detto, Madonna! – disse il Fioccola, – andandosene, e sorridendole, galantemente. – L’ho sempre, detto che era troppo una bella donna, lei, per dir sempre di no!

Rimasta sola, la signora Maddalena guardò e rigirò in tutti i versi la cambiale, prima di chiuderla nel portafoglio.

Quella firma, Adelino di San Marsilio, così lunga e sottile, cotor violetto, risaltava aristocraticamente sotto il grosso caratteraccio nero, scarabocchiato del signor Fioccola.

– Adelino di San Marsilio – ripetè, battendo le sillabe nel rileggere il nome. – Questi demoni sanno essere, in tutto e per tutto, diversi dagli altri! – E mentre guardava il foglietto, sentì un profumo vago, sottile, penetrante, che a mano a mano pareva farsi più acuto.

– Che cos’è? – e fiutò a lungo la cambiale.

Certo il San Marsilio doveva averla tenuta in tasca varii giorni, e la lingua di cane aveva preso l’odore dei suoi abiti.

– Che puzzo! – mormorò dopo un istante. – E quelle matte si lasciano ubbriacare da tutte queste droghe! – E di nuovo arricciò il naso: – Peuh! – ma fiutò ancora, la cambiale… e finalmente, quando la ripose nel portafoglio richiuse il cassetto, pensò con aria soddisfatta di padronanza:

– Ma intanto, me lo tengo io, sotto chiave, il cicisbeo delle contesse.

Per un mese non si parlò più del giovane ufficiale, finché, una mattina, uno dei commessi del fondaco Monghisoni, che si piccava di galanterie, portò una notizia da far strabiliare:

– Il duca Della Torre ha scoperto sua moglie in intimo colloquio con un tenente di cavalleria: si sono battuti in duello, all’ultimo sangue, e il tenente, un conte anche lui, il conte San Marsilio di Torino, gli ha spaccato la testa di colpo, con, una sciabolata. – E il giovane, esaltato, prese; a rifare le mosse del tiratore: – Uno, due e tre! Il duca Della Torre è mezzo morto.

– Il tenente? il conte di San Marsilio?… È il mio! – pensò la giovane scontista. E più tardi, quando lesse, la notizia di quel gravissimo duello anche nella cronaca del Secolo, dove per altro non c’erano i nomi, ma soltanto le iniziali: il duca D., il tenente A. S. M. essa tirò fuori la cambiale per-vedere se proprio quelle iniziali corrispondevano alle sue.

– Sicuro: Adelino di San Marsilio. A. S. M. – Adelino?… Che razza d’un nome! – mormorò la signora Trebeschi. – E che razza di cane! Ruba una moglie e rompe la testa al marito! – Ma in appresso ci ripensò, e osservando il signor Daniele forse per la prima volta, le balenò in mente:

– Se toccasse a quello lì, un fatto simile! – e le scappò da ridere.

Poi non ci pensò più: il cacio parmigiano da un giorno all’altro aveva fatto un ribasso favoloso, e i magazzini del Monghisoni ne erano pieni. Aveva altro in testa.

Tornò a ricordarsi del San Marsilio dopo un paio di settimane, quando venne il Fioccola a proporle la rinnovazione a un mese della cambiale del tenente, di quel conte piemontese.

– No.

– Come no? Almeno per quindici giorni. Sta facendo un mutuo ipotecario sopra una sua casa di Torino per cinquantamila lire: ho visto io le carte.

– No; regola generale: alla scadenza si paga.

– Tutti i giorni, pare impossibile, diventa sempre più bella e sempre più cattiva! – esclamò il Fioccola, dandosi un pugno sul capo con comica disperazione. Poi le fece l’occhiolino: – Al caso ci sarebbe un pourboire…

La signora Maddalena montò su tutte le furie e scacciò il Fioccola come un can frustato.

– Imparate da me; che io non faccio l’usuraia!

Il Fioccola andò a passeggiare, e a far la posta attorno al Cova, aspettando che il tenente uscisse, finito il pranzo.

Non c’era tempo da perdere!

Ma il San Martino lo fece aspettare un pezzo: poi, finalmente, uscì dal portone di via Manzoni, ridendo, parlando forte, strascicando la sciabola, in mezzo ad una brigata di amici. Appena visto il Fioccola che lo aspettava, l’ufficiale si staccò dai compagni, e infilò via Andegari.

L’altro allungò il passo, e lo raggiunse in due minuti.

– Fiasco.

– Sapristi! – esclamò il tenente dei lancieri, diventando pallido. E anche lui strapazzò come un cane il povero Fioccola.

Ma il compare c’era avvezzo, e invece di offendersi gli diede un consiglio da vero amico.

– Sa che cosa dovrebbe fare, signor tenente? Lei… – e fece l’occhiolino al signor tenente come aveva fatto alla signora Maddalena – lei sa come si fa… per convincere le belle donne. Si provi lei. L’onore di una visita del signor conte, poi la sua parlantina; ci scommetto la testa: le rinnova la cambiale vecchia, e gliene sconta una nuova.

– Dove sta?

– Via Lentasio, 59. Se fa presto, trova sempre aperto.

– Pss! – Il tenente, alzando la mano stretta nel guanto bianco, fece cenno di fermarsi ad una carrozzella che passava.

– Via Lentasio, 59, avete detto?

– Sissignore. – E il Fioccola ripetè l’indirizzo al cocchiere che, frustata la rozza, riprese a correre verso via Manzoni, mentre il tenente si sdraiava nella carrozza, accavallando le lunghe gambe attorno alla sciabola.

– Alt! – Il signor conte fermò il cocchiere in piazza della Scala, accese una sigaretta, poi: – Avanti! – gli gridò colla prima boccata di fumo… e tre minuti dopo saltava dalla carrozza dinanzi alla porta di casa Monghisoni.

In quei giorni, l’ultimo bimbo dei Trebeschi, Gian Maria, che era a balia, a Sesto San Giovanni, era mezzo ammalato; cominciava a mettere i denti, bisognava divezzarlo, e il signor Daniele tutte le sere, dopo pranzo, andava fino a Sesto, a piedi, e ritornava in strada ferrata coll’ultimo treno.

Ma la signora Maddalena doveva restare a casa e brontolava perché non c’era un filo di aria e si moriva dal caldo; brontolava perché a lei toccava di lavorare, e di sfacchinare giorno e notte come lo schiavo alla catena e non poteva come certa gente, andar a spasso, e darsi buon tempo, col pretesto di Gian Maria… che stava benone!

Infatti, anche quella sera, la sera del giorno, appunto, in cui si era tanto arrabbiata col Fioccola, la signora Maddalena, dopo aver imbarcato il marito per Sesto, dopo aver chiuso il negozio, dopo aver messo a letto Temistocle, era scesa di nuovo nello scrittoio, e lì, tranquillamente, in corset per avere più fresco, e col suo bravo virginia in bocca – qualche volta si godeva dopo pranzo anche la fumatina – s’era messa a rivedere le prime note e a sfogliare il carteggio.

Di solito, nel fondaco, non faceva mai troppo caldo: ma quella sera, anche lì, si soffocava. La signora Maddalena aveva pranzato di buon appetito: forse, d’estate, colla gran sete, si beve anche di più, senza accorgersene… Si sentiva le vampe al viso; s’alzò, si levò il fazzoletto di foulard che aveva attorno al collo; e tirò su fin sopra il gomito le maniche del giubbino…

Ad un tratto sentì parlare nel cortile; udì dei passi che si avvicinavano, poi aprir l’uscio del fondaco: non poteva essere Daniele, era troppo presto.

– Chi è?

– Sono io, signora padrona! – gridò la voce di Teresa, la portinaia. – C’è un signore… Vuol parlar con lei!… Di gran premura!…

– Venga domani mattina! – rispose Maddalena forte, senza muoversi. – Adesso è chiuso; è troppo tardi.

– Pardon, mille pardons, cara signora, ma domani sarebbe troppo tardi per me.

– Chi è? – ripetè Maddalena, vivamente, balzando in piedi; e, presa la lucernina a petrolio, e tenendola alzata col braccio, andò sull’uscio dello scrittoio a vedere.

– Chi è?

Sentì un batter di sproni e di sciabola, e sotto i voltoni bui del magazzino, fra i barili d’olio, le botti di aringhe e le forme di cacio parmigiano, apparve, si avanzò, si fermò dinanzi a lei, inchinandosi e picchiando i tacchi l’un contro l’altro, un giovane ufficiale, alto, sottile, biondo, sorridente.

– Pardon, ancora mille pardons!…

– È lui, quel maledettissimo! – pensò Maddalena, e sentì una stretta al cuore, per via della cambiale. – Mio marito non c’è; a quest’ora non c’è nessuno: torni domani! – rispose in fretta, sgarbatamente.

– Il signor Fioccola mi ha detto di parlare con lei, e desidero parlare con lei. – Il San Marsilio era risoluto a non tornare indietro.

Maddalena entrò nello scrittoio, posò la lucernina sulla scrivania, e mentre l’altro, ritto presso l’uscio, attendeva per entrare anch’egli, essa cominciò a cercare il suo fazzoletto di foulard voltandosi, rivoltandosi di qua e di là, chinandosi, abbassandosi.

– Sapristi! – E il tenente dei lancieri, fissandola, si arricciava i baffetti.

Maddalena, che aveva trovato il foulard sotto il canapè, se lo buttò sulle spalle, accomodandoselo al collo.

– Allora venga avanti: che cosa desidera?

La signora Trebeschi si mise a sedere sulla poltroncina dello scrittoio, e l’altro sul canapè. In quel piccolo casotto, dove tutto era ammonticchiato, ci stavano appena.

Il San Marsilio disse subito che gli premeva parlare per quella sua cambiale di diecimila lire.

– Scusi, chi è lei? – gli domandò Maddalena, fingendo di non aver capito chi era, e però rimanendo fredda ed impassibile, mentre l’altro le sciorinava nomi e titoli.

– La sua cambiale – rispose poi seccamente – è stata girata alla Banca Nazionale. Non ha ricevuto l’avviso?

– No, non ancora.

– Adesso lo sa: per ritirarla bisogna andare alla Banca Nazionale.

Ma l’altro, invece di andarsene, posò tranquillamente il berretto sul canapè, cacciò la sciabola in mezzo alle gambe che prima allungò, poi accavallò l’una sull’altra, e fissando negli occhi la signora Trebeschi e sorridendo con galanteria, le domandò come il Fioccola, la rinnovazione ad un mese.

– Impossibile.

– Allora quindici giorni.

– Impossibile. È regola generale: non si ammettono rinnovazioni. Alla scadenza bisogna pagare.

Il tenente, chinandosi e avvicinando il viso, a Maddalena, mentre la fissava negli occhi e sorrideva, cominciò a far un lungo discorso per smuoverla, per convincerla, per ottenere la rinnovazione.

– No? proprio no?

– No.

– Sarei così sfortunato con lei?… Una così bella signora, mandarmi via con un no? – riprese il San Marsilio adattando lo spirito all’ambiente.

– No. – E Maddalena pensò fra sè: – Sarò la prima, e ci ho gusto, così t’accorgerai che io non sono una matta come le tue contesse.

– No.

E per allontanarsi dal divano, si accostò di più alla scrivania. Quella giubba succinta, quei pantaloni attillati le facevano un’impressione penosa; e poi le urtava i nervi quell’occhio sempre così fisso e quel continuo riso da scimmia, per far vedere i denti bianchi! Era strano però, come egli aveva l’aria d’esser lì in casa sua; toccava tutto, le aveva già preso la mano due volte; e non era davvero aristocratico; questo poi no. Non dava nessuna soggezione. Quasi quasi pareva anche a lei di averlo sempre conosciuto.

– No, sa – ripigliò dopo un momento, interrompendolo per finirla, e per farlo andar via, che voleva chiudere lo scrittoio e risalire in casa.

Quel soldato aveva addosso un odore così acuto che le dava alla testa.

– No, sa, è impossibile. Del resto non dipende da me; se vuol provare domattina con mio marito… ma già le risponderà come me: che non si può.

Il giovane tenente, invece di perdere la pazienza, di andarsene, dette in una gran risata, e tornando ad allungar le gambe, le accavalcò dall’altra parte.

– Credo bene che suo marito… risponderà come lei!… Vorrei io essere suo marito, aver la fortuna di essere suo marito, e farei altrettanto. Sapristi! e come volentieri!

– Se non avesse dovuto star sulle sue per cagione della cambiale, anche a Maddalena sarebbe scappato da ridere a veder l’entusiasmo del bell’ufficiale.

Suo marito, con quella faccia da miserere, che, cosa aveva capito, lui, della gran fortuna che gli era toccata?

E invece, quel mostro, come sapeva fare! I gran signori erano proprio di un’altra razza, tutta diversa.

Questo era il primo che Maddalena avesse avvicinato, che potesse vedere, osservare con tutto comodo: e lo osservava e lo studiava con curiosità crescente.

Chissà che mentre stava lì, a pregarla, a supplicar, lei – per niente – qualche sua principessa non fosse in ansie ad aspettarlo!

San Marsilio parlando, si accarezzava i baffetti, e alla Maddalena pareva impossibile che una manina così bianca, così sottile, così delicata, potesse tirar di quelle sciabolate che spaccano la testa ai mariti, con un colpo solo. E come faceva per aver le unghie così lucide, e per conservarsi i denti così bianchi? E sotto le maniche che pelle fina, delicata… E sotto quella pelle da donnina bionda che muscoli d’acciaio, che forza, che coraggio temerario! Com’era diverso da quei bei giovani di negozio che a lei facevano schifo, coi cappelli unti e bisunti e colla camicia scollata!

– È inutile, signor conte; anche se resta qui fino a domani, io dovrò dire sempre di no.

– Mi tiene qui fin domani? Io ci resto, beato, contento… anche a, costo di sentirmi… di sentirmi dir di no – e scrollando la testa, e sorridendo sempre con quei denti così bianchi sotto quei baffetti così biondi, continuava a ripetere maliziosamente:

– No, no, no, no.

San Marsilio non era mai stato tanto eloquente; senza mai dimenticare ch’era lì per la cambiale, si animava, si riscaldava davvero, trovandosi solo, a quell’ora, in quel luogo, con quella donna, e, sapristi! che bella donna! A poco a poco la grossa cambiale e la grassa bottegaia si fondevano in un desiderio solo dell’accesa fantasia… e gli sorrideva molto l’idea che tutte le strade conducono a Roma.

Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
30 ağustos 2016
Hacim:
140 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain