Kitabı oku: «Il tenente dei Lancieri», sayfa 6
Un momento la Maddalena, che aveva il gomito sulla scrivania, si ritrasse indietro, per sfuggire al contatto di quel braccio appoggiato lì sulla sua poltrona, e un monte di carte, delle lettere, dei libretti, ruzzolò per terra. San Marsilio balzò in piedi per andare a raccattarli.
– Non si disturbi, signor conte! – esclamò Maddalena diventando rossa. – Non importa! In questo stanzino è tutto in disordine; non ci guardi, per carità!
– No; quando si è qui, non, si può guardar altro che lei!
Doveva offendersi? Far la selvatica? No. Era il modo di fare di quella gente lì. Invece si alzò per fargli capire di andar via.
– Allora, pardon, mille pardons… per averla incomodata… – e il bell’ufficialetto non sorrideva più. Pareva triste e un po’ mortificato.
Una cambiale di diecimila lire che scade il giorno dopo può esser un affar serio, specialmente quando le diecimila lire non ci sono.
La signora Maddalena, per la prima volta, forse, in vita sua, pensò una cosa simile ed ebbe un sentimento quasi di compassione per un suo debitore.
– Creda, signor conte, se dipendesse da me, volentieri; ma, proprio, non si può. Anche noi abbiamo i nostri impegni; e la sua cambiale abbiamo dovuto girarla.
– Allora pardon, mille pardons! – E il tenente dei lancieri, inchinandosi, le stendeva la mano per salutarla. Ma nel suo sorriso, tra i baffetti biondi e i denti bianchi, c’era una punta di amarezza e d’incredulità.
– Le assicuro, le dico la verità! – esclamò Maddalena, stringendogli la mano.
– Ascolti, signora Trebeschi; avevo dimenticato un’altra cosa.
E il conte Adelino si sedette di nuovo, tenendo sempre Maddalena per la mano.
– Le mostrerò una lettera del mio procuratore.
– No, no; adesso non c’è più altro da, dire, adesso vada.
Ma il giovinotto la teneva sempre stretta per la mano; dovette sedersi anche lei.
– È tardi, adesso torna mio marito; ho detto di no, è no.
E l’altro daccapo, con quella voce tenera, morbida, insinuante a pregarla, a supplicarla; ma pregarla di che cosa? Supplicarla per che cosa? Ancora per la cambiale? Per la rinnovazione?
– No.
Perché la guardava in quel modo?… perché le baciava la mano?
– Dunque… signor conte, siamo intesi. Adesso vada via, torni domani, da mio marito; cercherò anch’io di persuaderlo; vedremo se si potrà combinare…
Il bell’ufficiale continuava, continuava a parlare; colla voce calda, strascicando l’erre, continuava, sempre più vicino, stringendole la mano sempre più forte, passandole infine un braccio dietro la vita.
– Ma che crede lei?… con chi crede d’essere lei?… Adesso siamo intesi, vada via… – E restava lì, ad ascoltarlo, doveva ascoltarlo; un po’ perché, con quella gente lì, così diversa dagli altri, non sapeva come trattare, nè come fare a cacciarlo via, un po’ per la curiosità, sempre per la curiosità.
Ma che cosa diceva? Che cosa voleva?… Lei, o la cambiale?… Certe parole non le capiva nemmeno. Ma era quello il suo modo di fare? E così quelle matte si riscaldavano, s’innamoravano? chissà quante di esse avrebbero pagato un occhio, per tenerselo lì, come lei, ai suoi piedi… Ma lei no; sempre no! Mascherina, ti conosco!
– Oh Dio! Adesso cosa fa?… Ma signor conte… – e lo fissò corrugando le ciglia.
Il San Marsilio si era slacciato un po’ la giubba per cercare il portafoglio e nel portafoglio la lettera del suo procuratore.
Era una lettera lunghissima, che si riferiva al mutuo delle cinquantamila lire. Il San Marsilio volle leggerla tutta, da capo a fondo, stringendo sempre la mano alla signora Maddalena. Essa cercava di allontanarsi tirandosi in fondo al canapè. La giubba era sempre aperta, e lasciava scorgere la camicia finissima, colorata, e ne usciva più forte, più acuto quel profumo strano che le dava tanto alla testa.
Ma non poteva fare a meno di guardare, di osservare tutto.
Che stranezza!… Aveva una camicia fina, fina, di batista, come quella delle signore…
Il giovane, continuando a leggere, si chinò, sotto la luce, per vederci meglio, e allora scivolarono risonando, fuori della giubba, un gran medaglione con un mazzetto di oggettini d’oro appesi ad una catenella.
– Sono forse i capelli, i ritratti delle sue contesse? – pensò Maddalena, sbirciandoli di sottecchi.
La lucernina a un tratto scoppiettò, dette un guizzo e poi si abbuiò.
– Sì! sì! sì! – insisteva il San Marsilio.
–. No, no, no, signor conte: sentirà mio marito; adesso, la prego, vada via.
– Sì.
– No; sia buono, adesso vada via. Insomma vada via! Teresa!…
Il signor conte sparì a un tratto, e ritornò in un attimo; era andato a chiudere l’uscio.
Ma… non è sempre vero che tutte le strade menano a Roma. Il giorno dopo, la signora Maddalena, più rabbiosa, più bisbetica che mai, strapazzando tutti e più di tutti quel povero signor Daniele, mandò il Fioccola all’inferno e fece protestare la cambiale del conte Adelino di San Marsilio.
X
Ormai erano passati vent’anni, eppure la signora Maddalena non aveva perdonato.
Ancora, certe volte, quel maledettissimo le appariva dinanzi a un tratto, fissandola, sorridendo, mettendo in mostra i denti bianchi, sotto i baffetti biondi.
Era un dispetto continuo e un continuo tormento; e a mano a mano che Giacomino cresceva lungo e sottile, anche lui con quei denti e con quel sorriso, anche lui con quella faccia e quell’impostatura, erano cresciuti pure nell’animo di Maddalena il livore e il rimorso, ma sopratutto il livore. Ed ora poi, quando nell’impeto della rabbia e quasi senza sapere, quel che dicesse, si era lasciata trasportare a confessar tutto, non era stata la cieca ribellione del marito ciò che le aveva fatto perdere la testa: no; era stato quell’altro, sempre quell’altro – la sua disgrazia.
Essa, da prima, avrebbe voluto dimenticare; avrebbe voluto persuadere sè stessa ch’era stato un sogno, un incubo, chissà, un effetto di cattiva digestione; ma poi, fin dalla prima volta che il piccolo. Giacomino – hop, hoplà-là! – si era messo a correre per il fondaco a cavallo di una granata, essa non aveva più potuto ingannarsi nè illudersi, non aveva più potuto mentire a sè stessa. Subito, di colpo, si era sentita rimescolare il sangue; aveva dato quattro potentissimi scappaccioni al povero piccino e aveva pensato con timore che se il ragazzo fosse venuto su cogli istinti di quel mostro, avrebbe dato fondo in un fiat alla casa, alla ditta, all’universo!
– E adesso – rifletteva la signora Maddalena fra sè e sè – adesso ho fatto bene a dir tutta la verità? a svelare la mia disgrazia? Sì, ho fatto bene: ho fatto il mio dovere, e tutte quante avrebbero a imparare da me.
Giacomo, ormai, non più protetto da quel balordo di Daniele, non era più da temersi. Sarebbe stato allontanato da casa e da Milano, e lei, lei sola, coi danari suoi, guadagnati da lei, per quello scopo, lo avrebbe sempre aiutato. Aveva fatto bene a spiegarsi, a mettere le carte in tavola: soltanto aveva un certo timore pel marito. Timore, così per modo di dire; timore che d’ora innanzi negli affari volesse far più da padrone, senza consigliarsi con lei.
E la signora Maddalena, chiusa nella sua camera, sospirava. A un tratto si alzò e si accostò all’uscio, per udire.
– Ecco, non ci sono io, e chiudono il negozio mezz’ora prima.
La sua inquietudine cresceva. Il momento era critico.
– Quel pantalone di Daniele fosse almeno prudente cogli sconti! Dice sempre di sì a tutto al mondo!
E la corrispondenza?
Pensò se non fosse il caso di scendere un momentino: – gli altri erano a pranzo!…
No, non poteva, non doveva uscire da quella camera, finché suo marito non fossa venuto lui stesso a cercarla, a chiamarla… a farle intendere, insomma, che, senza di lei, non si poteva tirare innanzi.
Ma perché tardava tanto a venire? Avrebbe dovuto aver la smania, se non altro, di saper tutto; di sentire le sue giustificazioni, le sue discolpe, per uscire dall’incertezza, per perdonarla o per strangolarla!
– Che pantalone!
Il signor Daniele, invece, questa curiosità, questa smania non la sentiva nè punto nè poco.
D’inverno, i Trebeschi pranzavano appena chiuso il negozio: quella sera non c’era Giacomino, non c’era Maddalena: ma egli non volle dare alla famiglia nessuna spiegazione. Disse soltanto: – La mamma è un poco incomodata – e non aprì più bocca per un pezzo. Pareva come investito di una nuova e misteriosa autorità; non essendoci la moglie, scodellò lui la minestra, tagliò e dispensò lui le fette del lesso; e tutti zitti, mangiando adagio, lentamente, senza far rumore. Persino i cucchiai, come fossero presi da un senso di rispetto, pareva che evitassero di picchiare sui piatti. Tuttavia, il signor Daniele, più che dalla propria autorità, sembrava angustiato da un altro pensiero.
Portavano, sì o no, da mangiare a… a quello di sopra? Soltanto l’idea di quel ragazzo gli faceva venire caldo e freddo. Lui come lui, avrebbe anche potuto lasciarlo morire di fame. Ma gli altri no. Quella stupida della Cammilla, per esempio, no; lei avrebbe dovuto pensarci… E a un tratto, vedendo che nessuno si moveva, che nessuno si ricordava di… di quello di sopra, perdette la pazienza e sgridò la Cammilla perché aveva messo troppo aceto nell’insalata.
Appena il signor Daniele aprì bocca, fu rotto l’incanto, e tutti cominciarono a ridere, a gridare, a bisticciarsi, a fare una casa del diavolo. Non c’era la gatta, i topi ballavano.
Il signor Daniele gridò più forte, pestò i piedi, poi tacque stanco, seccato.
Si sarebbe fatto sentire il giorno dopo.
– Temistocle!… dove andate?… Gian Maria! Giù quel cappello! Vergogna! Vergognatevi!
Ma che? non gli badavano nemmeno, e i due ragazzi, col boccone in gola, scapparono di casa.
– Non c’era la mamma, dunque… viva la libertà!
Il signor Daniele pensò che sarebbe stata necessaria una di quelle lavate di capo come le dava sua moglie; e tornò a concludere.
– Domani mi farò sentire.
La, Cammilla, senza che nessuno se ne fosse accorto, aveva già pensato al cuginetto, a Giacomino, e rimasta sola con Daniele, gli domandò della zia Maddalena:
– Bisogna rispondere a Verona; bisogna scrivere a Trieste… – Vado dalla zia a sentire che cosa devo fare?
– No: niente – rispose il signor Daniele. – Penserò io; d’ora in avanti si parla con me.
Si rizzò quant’era lungo, alzò gli occhi al soffitto, si fece ancor più serio:
– Mi son fatto sentire.
– Allora, Giacomino non parte più? Giacomino resta a Milano? – esclamò la ragazza cogli occhi scintillanti.
– Finiamola con questo Giacomino! – Il signor Daniele diede uno scossone facendosi pallido. – Adesso siete diventata una donna; vergogna! non voglio più confidenza con… coi giovani che sono diventati uomini. Vergognatevi!
La Cammilla guardò lo zio stupefatta, e subito gli fece tanto di muso.
Fu primo Daniele a riprendere la conversazione.
– La zia Maddalena ha domandato qualche cosa da pranzo?
– No.
– E… a quell’altro lassù hanno portato da mangiare?
– Non so.
Daniele scrollò il capo malinconicamente.
– Alla zia – pensò – non avresti risposto in questo modo. Ma domani, cominciando da domani, dovrò farmi sentire anche con te.
Passeggiò su e giù per la stanza, si sentì stanco, si sentì solo, si seccò e andò a dormire, pensando forse, in cuor suo, che la libertà è una gran cosa, ma un po’ come le belle donne: bisogna farcisi da giovani.
La mattina dopo, quando il signor Trebeschi scese nel fondaco, non c’era ancora nessuno; cominciò a brontolare, a gridare da solo, e continuò a strillare sempre più forte a mano a mano che capitavano i commessi, i facchini, tutta la sua gente; ma per quanto li strapazzasse e pestasse i piedi, gli altri facevamo il loro comodo alzando le spalle e borbottando rispostacce. Nei lunghi cameroni, l’andirivieni affaccendato, il lavoro, il frastuono di tutti gli altri giorni stentava a ricominciare: la lampada, dinanzi alla Santa Casa di Loreto, che la signora Maddalena accendeva ogni mattina, era spenta, immobile.
– Vi caccio fuori tutti quanti, nel momento, su due piedi!
– Buhm! – fece un commesso nascosto dietro le botti.
Il signor Trebeschi finse di non aver udito.
– E Gian Maria?… e Temistocle?… Ancora a letto? vergogna! Dovreste tutti imparare da me: sempre il primo la mattina; e la sera, sempre l’ultimo.
Non aveva ancora finito di sfogarsi, quando i due figliuoli, invece di scendere dalla scala entrarono dalla porta di strada, tutti e due pallidi, smunti e cogli occhi pesti.
– Voi?… A quest’ora?…
Temistocle affrontò il padre, per il primo:
– Si lavora tutto il giorno e la sera abbiamo diritto di divertirci. È carnovale. Giacomino stava fuori tutte le sere.
Piantarono lì il signor Daniele a bocca aperta; e andarono a levarsi il soprabito dietro il banco.
Daniele, un po’ scosso, stava per ricominciare la ramanzina, quando un – Buon giorno mon père – che sentì dietro le spalle, gli fece tremare le gambe.
Era lui: il momento terribile era giunto.
Si voltò coll’impressione, chissà, di trovare un’altra faccia a quel ragazzo. Invece niente di mutato; egli provò quasi un senso di sollievo trovando Giacomino, tal e quale come il giorno innanzi, grazioso, allegro, sorridente, buono.
Il figliuolo, al contrario, fu colpito dal viso stravolto, dalle labbra tremanti del babbo.
Domandò:
– La mamma sta proprio poco bene?
– Sissignore. E siete stato voi, vergogna, vergo… – ma il resto gli rimase a mezzo, vedendo gli occhi di Giacomino che si erano empiti di lacrime.
Gli voltò le spalle in fretta, e corse a rinchiudersi nello scrittoio.
– È l’unico, stamattina, che abbia pensato a sua madre. Quanto a cuore, sarebbe più mio figlio quello lì che gli altri.
E non poteva aver ragione il signor Mauro? Il signor Mauro aveva detto: Io non lo credo e non lo crederò mai, nemmeno se avessi visto co’ miei occhi!
Entrò la Cammilla ancora imbronciata:
– Bisogna rispondere a Verona, bisogna scrivere a Trieste.
– Sicuro.
Daniele frugò nei monte delle lettere, scartabellò i registri… alla fine dovette arrendersi.
– Va su dalla zia, te come te. Scrivete insieme a Verona e rispondete a Trieste. Ma, mi raccomando, senza allungar musi. Impara da me. Intanto io vado in Borsa, poi alla Banca Commerciale.
E se ne andò.
Che cosa doveva fare lì, in negozio? Per il momento aveva già gridato abbastanza. E poi gli avventori lo mortificavano in faccia ai commessi, alla sua gente.
– Mia moglie non può scendere oggi, è incomodata. Ci sono io, parlino con me.
– La signora Maddalena non c’è? Allora torneremo domani; e se ne andavano.
Per istrada, solo, senza fretta, pensava al più importante. Era inutile volere scacciare quel pensiero, bisognava aver coraggio, guardare la verità in faccia e risolvere qualche cosa. Era vero, come diceva sua moglie, o non era vero, come diceva il signor Mauro?
Si sbrigò in pochi minuti, distrattamente, delle cose da fare, alla Borsa come alla Banca, e prese la via più lunga per ritornare al fondaco Monghisoni.
– Fosse anche vero, che colpa ne ha quel povero ragazzo? Ma no, ma no!
E il signor Daniele sorrideva. – Chi le fa, queste cose, non le dice. D’altra parte, e tornava a rannuvolarsi – chi non, le fa, non le inventa.
Eppure sua moglie era capace di tutto: anche d’inventare una storia simile.
Essa aveva sempre detestato quel ragazzo; voleva disfarsene; dunque: – Non è tuo figlio; non gli devi voler bene; mandiamolo in malora!
– «Non è tuo figlio»; ma e le prove? E il tempo? Quando? Dove? Chi? Se Maddalena non è mai stata sola un giorno? Se non è mai uscita di casa, sola? Se non conosce, nessuno? Quando mai ha avuto il tempo, quella lì, di perdere la testa, di innamorarsi?
– «Ti dirò tutto e saprai tutto». E se io non volessi saper niente, perché non credo niente?
E… la voce del sangue?
Giacomino era sempre stato il suo prediletto, e per questo appunto Maddalena non lo aveva mai potuto soffrire. Il cuore, il cuore di Giacomino era il suo. Poi gli somigliava in tutto il resto… Glielo aveva detto la signorina Fanny.
Quante volte la signorina Fanny lo aveva guardato a lungo, tanto da fargli abbassare gli occhi, e gli aveva detto con quella sua bella voce così profonda e penetrante:
– Gran Dieu! Quanto rassomigliate al vostro fanciullo!
E glielo diceva anche quando scherzava, accarezzandogli i capelli col frustino e mormorando:
– No, no, no; quello che dovrà essere lui non è ancora arrivato…
– Povera ragazza! Chissà come sarà andata a finire nelle mani di quel fratello?…
Assorto in tali pensieri arrivò in faccia al fondaco Monghisoni; e come al solito sentì una stretta al cuore e sospirò.
Le altre volte era l’apprensione di essere strapazzato; questa volta la pena di dover strapazzare.
– Chissà che confusione, che disordine!… poi quei due veri briganti di Temistocle e di Gian Maria…
Invece, niente di simile: nei lunghi cameroni del fondaco era ricominciato il solito movimento, l’andirivieni, il vociare dei commessi e degli avventori, il caricare e lo scaricare affaccendato delle merci, il rimbombo e il rotolìo delle botti e dei barili… e persino la lampadina davanti alla Santa Casa brillava dondolante in fondo, nel buio.
Guardò verso lo scrittoio; l’uscio era chiuso, ma dietro il vetro appannato scorse l’ombra nera di sua moglie.
La signora. Maddalena non aveva saputo resistere.
– Gli affari, la ditta, prima di tutto – Sarebbe rimasta tutto il giorno a lavorare nello scrittoio, e poi, sempre, colla scusa dello star poco bene, avrebbe pranzato sola in camera sua.
E questa specie di modus vivendi, tacitamente offerto dalla moglie e tacitamente accettato dal marito, durò parecchi giorni, con ottimo effetto.
Gli affari procedevano bene come al solito; nel fondaco tutti lavoravano di lena.
Adesso, quando Daniele alzava la voce, e la signora Maddalena era nello scrittoio, sempre taciturna ed indisposta, tutti ubbidivano senza fiatare.
– Cominciano a temermi – pensava il signor Daniele. – Si fa presto a far da padrone; basta saper gridare.
Aveva una sola inquietudine: di dover venire a una spiegazione colla moglie. Che cosa sarebbe successo?
Non si vedevano se non in presenza di altre persone, non si scambiavano se non poche parole, sempre relative agli affari. Ma quando si incontravano sulle scale o attraversando il cortile, lei pareva volesse fermarsi, e lo fissava risolutamente in un certo modo, come per dirgli:
– Avanti, coraggio: hai paura? Io sono qui, pronta a risponderti.
Una sera, mentre sua moglie era sola nello scrittoio, Daniele si fece animo e si avviò verso il bugigattolo tossendo forte per dare la sveglia.
Nel breve discorsetto che aveva pensato le dava del voi.
– Voi non mi direte niente. Non voglio saper niente.
Ma invece, quando si trovò davanti a sua moglie, abbassò gli occhi, abbassò il capo e mormorò appena con un fil di voce:
– Tu non mi dirai niente; desidero ignorare. Dobbiamo vivere insieme per amore dei nostri figliuoli, nella comunione della nostra vita, dei nostri interessi, del nostro lavoro. Quello che mi hai detto… basta. Voglio ignorare per poter dimenticare; per poter… perdonare.
E il signor Daniele, il quale, a mano a mano che parlava, si sentiva commosso, a questo punto tacque, sentendosi una forte stretta al cuore.
Maddalena, invece di fissarlo in viso con arroganza; aveva anch’essa abbassato gli occhi, aveva chinato il capo… – Piangeva?…
…Dio, Dio! E se fosse vero? Se fosse vero? Sua moglie?… Quella donna che gli aveva appartenuto per vent’anni?… La madre dei suoi figli?… Il sangue, la carne dei suoi figli?....
Rimase stordito e una nube gli oscurò la vista. Allora, per la prima volta, gli si affacciò alla mente tutta la vergogna della sua disgrazia; ma fu un lampo. Sua moglie stessa, inconsapevolmente, si salvò, e salvò la pace del povero uomo, domandandogli, sempre a capo chino, colla voce rotta dalla commozione:
– Quando hai fissato che parta? Quando deve partire?
– Chi?
– Giacomino.
A questo nome, Daniele tornò a rasserenarsi. Era sempre l’idea fissa di sua moglie, il suo maligno proposito di dividerlo da quel ragazzo.
– Giacomino – rispose, con tono risoluto, questa volta – Giacomino partirà quando gli dirò io di partire. Per il momento non c’è fretta; sotto di me, è docile, è buono.
La signora Maddalena non rispose, non si ribellò; si voltò verso la scrivania e ricominciò a scrivere.
– Si rode perché non può spuntarla – pensò il signor Daniele, e approfittò del momento per imporre tutte le sue condizioni.
– Bisogna regolare gli affari in modo da avere un’ora fissa, sempre quella, per la colazione e per il pranzo. Bisogna dare una piccola mesata a Temistocle, a Gian Maria e alla Cammilla. Lavorano dodici ore al giorno: ne hanno diritto. La domenica e le feste non si apre bottega; riposo generale.
Non voleva più che sua nipote facesse la cuoca e la serva. Adesso aveva quasi vent’anni, non era cosa conveniente nè per la Cammilla, nè per il suo amor proprio, nè per il rispetto che doveva al nome e ai parenti.
Concludendo, lasciava a sua moglie la direzione suprema degli affari, ma voleva tenersi lui, in mano, come capo della famiglia, le redini della casa.