Kitabı oku: «Rapporto della BEI sugli investimenti 2020/2021 - Risultati principali», sayfa 2

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La percentuale di imprese dell’UE che dichiarano di aver effettuato investimenti in misure di efficienza energetica è salita al 47%, con un aumento di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2019. La quota media di investimenti dedicati all’efficienza energetica è aumentata passando dal 10% al 12%; le imprese maggiormente propense a investire in questo ambito sono quelle manifatturiere e di grandi dimensioni.

Percentuale di imprese che dichiarano di aver già subito gli effetti dei cosiddetti «rischi fisici» legati ai cambiamenti climatici e di aver realizzato appositi investimenti per contrastare i rischi determinati da tali cambiamenti


Fonte: EIBIS 2020.

Se da un lato oltre metà dei comuni ha incrementato gli investimenti nella mitigazione dei cambiamenti climatici negli ultimi tre anni, dall’altro i due terzi ritengono tuttora inadeguati i livelli di investimento. L’edizione 2020 dell’Indagine della BEI sui comuni rivela che il 56% delle amministrazioni comunali ha incrementato gli investimenti nel clima, ma che il 66% delle stesse ritiene inadeguate le spese effettuate negli ultimi tre anni. Per quanto riguarda l’adattamento ai cambiamenti climatici, i comuni che hanno incrementato gli investimenti sono il 44%, mentre quelli che ritengono la spesa tuttora inadeguata sono il 70%. In base a tali dati è lecito pensare che gli investimenti nell’adattamento ai cambiamenti climatici possano rivestire un carattere di maggiore urgenza in futuro.

Investimenti nella trasformazione digitale

La prosperità dell’Europa negli anni a venire dipenderà dalla sua capacità di guidare la prossima rivoluzione industriale: la digitalizzazione. La svolta digitale ha già portato alla trasformazione dell’industria, dei processi di produzione, degli stili di vita e dei modi di lavorare, ma in molti casi il cambiamento è solo agli inizi. Come per le precedenti ondate tecnologiche, porsi alla guida del processo fin dalle prime fasi può rivelarsi un’arma fondamentale per assicurarsi una competitività duratura. Tuttavia, poiché nel campo dell’innovazione e della tecnologia gli scenari globali cambiano rapidamente, in termini di digitalizzazione l’Europa rischia di rimanere intrappolata nel proprio ruolo di eterna inseguitrice.

Gli effetti della digitalizzazione finora emersi sono in gran parte positivi. Le ondate tecnologiche portano con sé, fin dalla prima rivoluzione industriale, un radicale cambiamento del modo di lavorare, del luogo di lavoro e delle competenze necessarie. La digitalizzazione ha già portato a uno spostamento dell’asse verso l’occupazione altamente qualificata, con una tendenza alla concentrazione dei posti di lavoro nelle aree urbane maggiormente sviluppate, soprattutto alla periferia delle capitali. Un’interessante riprova di tale constatazione è offerta dall’Indagine EIBIS. Le imprese che hanno introdotto tecnologie digitali tendono ad evidenziare una produttività e un’innovatività maggiori nonché una più spiccata propensione all’esportazione. Inoltre esse creano più posti di lavoro rispetto alle imprese non digitali e con retribuzioni mediamente più alte. La digitalizzazione ha esercitato una funzione stabilizzatrice assolutamente rilevante durante la crisi provocata dall’epidemia di COVID-19.

Tuttavia le imprese e le aree rimaste indietro dovranno superare un processo di riadattamento che non sarà indolore. Si profila una tendenza alla polarizzazione economica e geografica in cui alla leadership digitale di determinate imprese e macroaree si contrappone la lentezza dei progressi di altre. Negli ultimi anni l’aumento dell’occupazione è in gran parte riconducibile ai posti di lavoro altamente qualificati. Nel prossimo futuro una più rapida perdita di posti di lavoro meno qualificati (livello medio-basso) a causa dell’automazione potrebbe far aumentare notevolmente le esigenze di riqualificazione professionale.

Sono sempre più numerose le imprese dell’UE che adottano tecnologie digitali, ma il divario con gli Stati Uniti persiste. Nel 2020 la percentuale di imprese europee ancora del tutto sprovviste di nuove tecnologie digitali è stata del 37%, contro il 27% degli Stati Uniti. Il dato è incoraggiante se si tiene conto del fatto che la quota di imprese digitali nell’Unione europea è aumentata di quasi 5 punti percentuali rispetto ai livelli del 2019, ma in realtà l’aumento è stato analogo anche negli Stati Uniti. Il divario con gli USA in termini di adozione tecnologica è particolarmente evidente per quanto riguarda i settori delle costruzioni e dei servizi nonché in relazione alle tecnologie IOT (Internet delle cose).

Adozione di tecnologie digitali (% di imprese)


Fonte: EIBIS 2019, 2020.

Le dimensioni dell’impresa e la frammentazione del marcato sembrano essere i fattori che frenano l’adozione di tecnologie digitali in Europa. Tenuto conto degli elevati costi fissi e delle difficoltà di finanziamento per l’acquisizione di attivi immateriali, gli investimenti nelle tecnologie digitali spesso risultano più agevoli per le imprese di grandi dimensioni. Il fatto che i tassi di adozione da parte delle micro e piccole imprese siano molto più bassi su entrambe le sponde dell’Atlantico ne è una dimostrazione. Le imprese europee sono però mediamente più piccole (un dato che di per sé riflette in parte il carattere di frammentazione a livello nazionale tuttora prevalente nei mercati europei, anche per quanto riguarda i servizi digitali) ed è quindi lecito pensare che anche le dimensioni aziendali influiscano negativamente sui tassi di adozione del digitale del continente.

Tassi di adozione del digitale da parte di imprese e comuni (%)


Fonte: EIBIS 2019, 2020; Indagine della BEI sui comuni (2020).

Gli investimenti dei comuni nelle infrastrutture digitali stanno facendo passi in avanti ma non in maniera uniforme, con conseguente rischio di ulteriore polarizzazione. Negli ultimi tre anni il 70% dei comuni europei ha incrementato i propri investimenti in infrastrutture digitali, e anche per il futuro questi ultimi rimangono tra le principali priorità dichiarate dalle amministrazioni comunali, unitamente alla spesa sociale e a quella in ambito climatico. Per quanto riguarda il livello di adeguatezza degli investimenti infrastrutturali dei comuni, tuttavia, le percezioni variano considerevolmente a seconda dell’area considerata. Il 16% delle imprese dell’UE ritiene infatti che la carenza di infrastrutture digitali rappresenti un ostacolo rilevante per gli investimenti, mentre lo stesso vale per il 5% soltanto delle realtà statunitensi. I dati sembrano inoltre confermare che i tassi di adozione del digitale da parte delle imprese sono più elevati proprio nei comuni dotati di migliori capacità e infrastrutture digitali.

L’Europa sta perdendo terreno su una scena mondiale dell’innovazione caratterizzata da rapidi cambiamenti. L’Unione europea conserva il proprio primato tecnologico, ma se rapportata al PIL la sua percentuale di investimenti in attività di Ricerca e sviluppo (R&S) è inferiore a quella di altre potenze economiche, in particolare della Cina che si sta prepotentemente affacciando sulla scena internazionale. Il punto debole dell’Europa è rappresentato dalla minor entità della spesa per R&S delle imprese. Le società europee sono ampiamente rappresentate tra i leader mondiali nell’attività di R&S per diverse industrie tradizionali, ma lo sono meno nei settori digitali in rapida crescita, ad esempio quelli dei software e dei servizi informatici, in cui la Cina sta iniziando ad insidiare il primato degli Stati Uniti. Inoltre, l’Unione europea non conta molti nuovi leader dell’innovazione, soprattutto nel settore digitale, e questo rappresenta un rischio per la competitività del continente nel lungo termine.

Percentuale di imprese che vedono nell’accesso alle infrastrutture digitali un ostacolo agli investimenti


Fonte: EIBIS 2020.

Quota percentuale delle prime 2 500 imprese per attività di R&S a livello globale nelle macroaree e nei paesi principali


Fonte: le elaborazioni della BEI si basano sul Quadro di valutazione dell’UE sugli investimenti nella ricerca e sviluppo industriale.

Nota: il grafico illustra la quota delle prime 2 500 imprese per attività di R&S riconducibile a ciascun paese o macroarea. Per «nuovi ingressi» si intendono le imprese entrate a far parte della classifica delle prime 2 500 dopo il 2015.

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