Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 1», sayfa 8
CAPITOLO XI
Sceriffi di Muley Edris. – Affare del pendolo. – Ingresso del Sultano in Fez. – Messo del Sultano. – Interrogatorio del capo degli astrologi. – Sua ipocrisia, mala fede. – Intrighi dell'astrologo. – Trionfo d'Ali Bey. – Compera d'una Negra. – Almanacco. – Partenza del Sultano. – Eclissi.
Abbiamo veduto, che le ceneri di Muley Edris fondatore di quest'impero sono venerate nel suo santuario a Fez, ove dimorano i suoi discendenti, risguardati ancora come la più illustre famiglia del paese sotto il nome di Sceriffi di Muley Edris. Il capo di questa famiglia prende il titolo di el Emkaddem, o l'antico. L'Emkaddem attuale è un vecchio venerabile chiamato Hadj Edris, il quale ha l'amministrazione dei fondi posti ne' coffani accanto al sepolcro del santo, come pure dell'elemosine in granaglie, in bestiami, ed in altri effetti che gli abitanti gli danno a titolo di tributo: egli stesso le ripartisce tra i scheriffi della tribù, la maggior parte de' quali si mantiene con questi fondi, comecchè ve n'abbiano di ricchissimi di beni stabili, o pel commercio che fanno, siccome l'Emkaddem. È tanto grande la venerazione degli abitanti per Muley Edris, che in tutti gli accidenti della vita, e ancora per uno spontaneo movimento, in luogo d'invocare l'onnipossente, invocano Muley Edris.
Venendo da Mequinez a Fez mi passò innanzi un ufficiale del Sultano apportatore d'un ordine sovrano ad Hadj Edris perchè mi preparasse un alloggio e mi assistesse e servisse di tutto quanto potessi desiderare. In conseguenza, al mio arrivo fui alloggiato in casa sua; e perchè la vecchiaja appena gli permette di far pochi passi, non che di occuparsi di tutti i doveri dell'ospitalità, fu il suo maggior figliuolo Hadj Edris Rami15 che s'incaricò esclusivamente di tutti i miei affari, e perciò qualunque volta io parlerò di Hadj Edris si deve intendere del figliuolo, ammeno che io non indichi espressamente il padre. Amendue colle rispettive loro famiglie abitano nella medesima casa. Hadj Edris Ràmi è della mia età; il suo stimabile carattere, la dirittura de' suoi principj, e la sua fedeltà, che giammai non si smentirono, lo resero il mio migliore amico: possa egli essere tanto felice quanto io lo desidero, e possano i suoi anni essere numerosi come le sue virtù!
All'indomani del mio arrivo a Fez ricevetti la visita dei principali scheriffi della tribù d'Edris e di molti altri della città. Infinite erano le domande che mi si facevano in tali visite, e le osservazioni; come pure le ricerche che facevansi ai miei domestici, al quale oggetto valevansi di tutti i mezzi immaginabili. In somma facevansi loro subire formali interrogatorj sul conto mio; ma ne ottennero così soddisfacenti risposte, che avanti che terminasse il secondo giorno, mi avevano baciata cento volte la barba, ed i più ragguardevoli mi avevano pregato a riceverli nel numero de' miei amici.
Gli Edris affezionatisi al loro ospite pensavano ad avermi lungo tempo in loro casa, e nulla trascuravano di tutto ciò che poteva, rendermene aggradevole il soggiorno; ma siccome io non mi trovo mai bene che in casa mia, si viddero forzati dalle mie istanze a cercarmene una, e pochi giorni dopo io mi trovavo già stabilito in quella ch'essi mi procurarono delle migliori di Fez. Il susseguente giorno mi recai a visitare il principe Muley Abdsulem che allora era a Fez. Quest'augusto e rispettabile cieco mi fece infinite carezze, e mi pregò caldamente d'andare a trovarlo ogni giorno; glielo promisi, e poche volte mancai alla promessa.
Il despotismo che da tanto tempo pesa su quest'impero avvezzò gli abitanti a nascondere il loro danaro, e ad adottare nei loro abiti, e nella economia famigliare tutto ciò che può allontanare da loro il sospetto dell'agiatezza; talchè niuno ardisce, per ricco ch'egli sia, fare la menoma spesa di lusso; ad eccezione dei più prossimi parenti del Sultano e dei scheriffi Edris, che godono di una maggiore libertà, e perciò non temono di vestirsi, e di alloggiare più decentemente. I miei amici mi vedevano tenere un sistema diverso dal loro, perchè accostumato al lusso orientale, non sapevo ridurmi alla miseria ed agli usi di Fez. Essi tremavano per me, e non mi dissimulavano i loro timori; ma lontano dal pensare a correggermi, non declinai un sol punto dalle mie abitudini; onde i miei amici terminarono coll'avvezzarvisi, e qualcuno ancora incominciò ad imitarmi. La mia società s'accresceva ogni giorno. I Fachik, i Sceriffi, i dotti, non isdegnavano di farne parte.
Non molto dopo arrivato a Fez fui condotto nella moschea di Muley Edris, ed in una bella casa dipendente dalla moschea, ove vidi un singolare assortimento d'oriuoli a pendolo: seppi che il Sultano aveva ordinato che mi fosse preparata quell'abitazione, affinchè potessi andarvi per leggere o per studiare, e che i dottori dovevano venire ogni giorno a parlare con me intorno a cose scientifiche.
Per verun conto non mi conveniva assoggettarmi a qualsiasi vincolo; e quindi dopo avere testificata tutta la mia riconoscenza verso il sovrano, ed accettata l'abitazione, ordinai ai miei domestici di portarvi tappeti, cuscini, un soffà, e tutto quanto poteva abbisognarmi; dissi che sarei talvolta venuto a leggere, dichiarando in pari tempo francamente che ciò non avrebbe luogo ogni giorno. Questo linguaggio li sorprese.
Ne' primi dieci giorni non v'andai che due volte; vi capitarono molti dottori, ma la nostra conversazione si restrinse ai complimenti vicendevoli, ed a discorsi di niuna importanza.
Intanto si ebbe notizia che il Sultano arriverebbe ben tosto a Fez. Allora Hadj Edris mi fece sapere che due giorni dopo il mio arrivo suo padre aveva ricevuto un ordine dal Sultano, col quale gli partecipava, ch'io dovevo prendermi cura dell'andamento regolare dei pendoli di Muley Eddris, e dare l'ora per le preghiere canoniche; che a tale oggetto mi assegnava una pensione sulle entrate della moschea. Io saltai come un capretto udendo un così fatto ordine. Declamai contro l'ingiusta pretesa di voler impormi obbligazioni quando io non chiedevo nulla a chicchessia; mi alterai, giurando, che mai più non avrei posto piede in quella sala, e che se non mi si dava soddisfazione non andrei in avvenire nella moschea di Muley Edris. Il buono Hadj Edris arrabbiava; m'assicurò, ch'esso, e quanti erano stati informati di questo affare, erano del mio sentimento; che per tale motivo non me ne avevano parlato fino al presente, vedendosi costretti a farlo in vista dell'imminente arrivo del Sultano, onde non esporsi a qualche dispiacere per non aver eseguito il suo ordine. Tutti gli amici non trascuravano intanto di calmarmi, pregandomi d'addolcire il mio rifiuto coll'andare qualche volta presso Muley Edris; ma io non ascoltavo alcuno, e montato a cavallo partii come un lampo per recarmi da Muley Abdsulem.
Feci conoscere a questo rispettabile amico le mie acerbe lagnanze, osservandogli, che io veniva degradato in faccia al pubblico, e che ciò doveva farmi credere ben poco avanti nella considerazione del Sultano, a cui lo pregavo di far conoscere i miei sentimenti su quest'argomento. Muley Abdsulem mi diede ogni possibile soddisfazione, assicurandomi che doveva esservi qualche mal inteso, e che s'egli ne avesse avuta prima conoscenza, non avrebbe permesso di parlarmene; che dovevo risguardarmi come suo figlio, e come figlio del Sultano Muley Solimano, e che per conseguenza sarebbe sempre in mio arbitrio di fare quanto mi piacesse, senza che alcuno debba o possa immischiarsene; e ch'egli non soffrirebbe mai che mi si desse il menomo dispiacere.
Per tre giorni questo buon principe si compiaque di darmi ragione intorno a quest'affare; ond'io conobbi evidentemente la favorevole opinione ch'egli, ed il Sultano avevano di me, e che l'ordine relativo ai pendoli era opera di qualche ministro ambizioso, che aveva interesse di degradarmi agli occhi di tutto il mondo: ma invece d'abbassarmi, quest'affare accrebbe il mio credito. I miei amici celebrarono questo trionfo come una cosa non mai più udita; il mio nome si rese famoso; ed io spiegai tutto l'apparato che si conveniva al mio grado. Non vi fu alcuna persona di qualche distinzione a Fez, che non si desse premura di visitarmi, onde la mia casa rifluiva di gente mattina e sera.
Non si tardò molto ad annunciare il vicino arrivo del Sultano. Io sortii accompagnato da alcuni domestici e molti dei più principali della città tutti a cavallo per incontrarlo ad una ragguardevole distanza. Tosto che lo vedemmo, gli facemmo i nostri saluti, ai quali egli corrispose affettuosamente; indi frammischiandoci ai signori del suo seguito l'accompagnammo al palazzo. Il Sultano si ritirò nei suoi appartamenti, ed il suo seguito, e la truppa ritiraronsi col popolo.
L'accompagnamento del Sultano era composto di un distaccamento di quindici in venti uomini a cavallo: cento passi a dietro veniva il Sultano sopra un mulo, ed al suo fianco, montato pure sopra un mulo, stava l'ufficiale che gli portava l'ombrello, che a Marocco è il segno distintivo del sovrano, non potendo farne uso ch'egli, i suoi figli e fratelli; onore straordinario, ch'io per altro ottenni. Otto o dieci domestici venivano dopo il Sultano, indi il ministro Salaoui con un domestico a piedi, e chiudevano la marcia alcuni impiegati, ed un migliajo di soldati bianchi e neri a cavallo, con lunghi fucili in mano formanti una specie di linea di battaglia, che aveva nel suo centro dieci in dodici uomini di fondo, e le di cui estremità andavano a terminare in un solo uomo; ma tutti senz'ordine di gradi, di file, o di distanze. Nel centro della linea eranvi in sul davanti tredici grandi stendardi, ciascuno d'un solo colore, altri rossi, altri verdi, bianchi, gialli. Questo gruppo di bandiere serve alla truppa di punto di vista per marciare, per fermarsi, o per cambiare di fronte; movimenti tutti che si fauno in disordine e tumultuariamente. Quattro o sei tamburri rauchi con alcune cattive cornamuse stanno dietro agli stendardi; ma non si fecero sentire che dopo che il Sultano entrò in palazzo.
Lo stesso giorno mi recai da Muley Abdsulem, e gli chiesi consiglio sul modo che doveva tenere per essere presentato al Sultano. Egli mi rispose che se ne sarebbe occupato all'istante egli medesimo.
Muley Abdsulem andò subito a corte, ed al suo ritorno mi disse che il Sultano mi riceverebbe tutti i venerdì, e che non mi chiedeva ogni giorno per non incomodarmi, nè privarmi della mia libertà; che mi manderebbe uno de' suoi letterali per accompagnarmi ogni volta al palazzo.
Effettivamente all'indomani, mentre trovavansi presso di me circa venti persone, mi venne annunziato un messo del Sultano: lo feci entrare: egli era il primo astrologo di corte. Presentandosi mi diede segni del più profondo rispetto, e ponendomi sulle mani da parte del Sultano un magnifico hhaïk, mi disse, ch'egli, Sidi Ginnàm, avea l'onore d'essere stato scelto da sua maestà per accompagnarmi al palazzo ogni venerdì.
Dopo avere baciato il hhaïk, ed avermelo posto sul capo secondo l'uso, lo lasciai sul mio cuscino, e ricevetti i complimenti di tutte le persone presenti.
Fu portato il tè, e dopo una mezz'ora di conversazione Sidi Ginnàm mi chiese se poteva dirmi una parola in segreto. Lo condussi in un'altra sala con uno scrivano o segretario, che aveva seco condotto. Appena fummo seduti incominciò a farmi varie interrogazioni. Mi chiese nome, età, patria, ed il luogo de' miei studj; indi mi pregò di sciogliergli alcuni problemi astronomici, come la longitudine, e la declinazione del sole dello stesso giorno, la periodica sua rivoluzione, la precessione dell'equinozio, la longitudine e latitudine della mia patria, quella del mio alloggio a Londra, ec. Tale trattenimento non poteva in verun modo piacermi, perchè ne ignorava lo scopo. Risposi con qualche durezza, ma non per questo lo scrivano lasciò di scrivere. V'aggiunsi le predizioni di due vicini ecclissi del sole e della luna, de' quali lo scrivano ne marcò la data e le ore. Dopo ciò io li congedai, regalandoli amendue.
Nel tempo di questa specie di interrogatorio Hadj Edris non cessava d'andare e venire d'una in altra sala con molta inquietudine; e quando ebbi congedato il mio astrologo, entrando nella sala ov'era la società, viddi tutti i miei amici divisi in gruppi di quattro persone che pregavano per me. Io rimasi commosso dall'interesse che quest'onesta gente prendeva al mio ben essere, il buon Hadj Edris si tranquillizzò, e tutti mi replicarono i più affettuosi complimenti.
Il susseguente giorno si andò per divertimento ad un giardino di campagna di Hadj Edris: ma essendo tutti uomini, e non permettendoci la gravità musulmana d'intrattenerci in qualche giuoco, o colla musica, o colla danza; privi dell'uso de' liquori proibiti dalla legge; ed altronde non essendo la società composta di persone abbastanza dotte per potersi universalmente occupare delle scienze; e per ultimo mancanti affatto di notizie politiche, che sogliono somministrare largo trattenimento alle società europee, come potevasi ingannare piacevolmente il tempo?.. A mangiare cinque o sei volte al giorno come tanti Eliogabali, a bere tè, e a far preghiere comuni, a giuocare come fanciulli, ed a nominare fra di noi i pascià, i califfi, i kaid, i quali avessero impero sul rimanente della società ad ogni pranzo, ad ogni tè, ad ogni passeggiata? Con tali e somiglianti altri divagamenti restammo colà tre giorni, e due notti. L'ultimo giorno era giovedì, e siccome avevo annunciato al Sultano che in tal giorno vedrebbesi la nuova luna, se le nubi non la nascondevano, il Sultano fece proclamare il cominciamento del Ramadan pel venerdì, quantunque la luna rimanesse coperta.
In esecuzione degli ordini sovrani questo venerdì Sidi Ginnàn venne a prendermi per condurmi al palazzo. Montai a cavallo ed andai seco alla moschea del palazzo, ove, dopo avermi fatto sedere, mi lasciò solo. Un'ora dopo il Sultano venne nella tribuna, ove suole recitare la preghiera del venerdì senz'essere veduto dal popolo. Dopo la preghiera il Sultano partì subito, senza che io potessi vederlo.
Appena era egli sortito, Sidi Ginnàn aprì la porta della tribuna, mi chiamò, e mi fece entrare; e dopo aver chiusa la porta, facendomi molte carezze, mi mostrò il luogo in cui il Sultano aveva costume di fare la preghiera, e m'assicurò; che gli aveva detto ogni cosa; che lo aveva informato della mia predizione delle ecclissi; che il Sultano avevagli risposto, essere soddisfatto, e che ordinava di condurmi ogni venerdì alla moschea, come aveva fatto al presente.
Conobbi all'istante la mala fede di quest'uomo, e gli risposi seccamente: benissimo; ma mi riesce affatto indifferente il venir qui per la mia preghiera, o l'andar altrove. Il mio uomo imbarrazzato da tale risposta cercava di nascondere il suo turbamento. Mi condusse sulla strada per una porta interna del palazzo, dicendomi misteriosamente: usciamo da questa banda, perchè siccome tutto il mondo sa che il Sultano vi ha chiamato, si saprà più presto ch'egli vi accorda simili distinzioni. Sdegnato degl'intrighi di costui, gli replicai bruscamente: per me è lo stesso l'uscire per di qui, o per tutt'altra porta, e montando subito a cavallo, partii con i miei domestici. Montò egli pure sul suo mulo, sforzandosi di raggiungermi, e venne a porsi al mio fianco, chiedendomi se volevo far una passeggiata, al che mi rifiutai di mal garbo. Mi accompagnò fino a casa, e si ritirò.
Gli amici che m'aspettavano vedendomi entrare come un furibondo, s'affrettarono di chiedermi se avevo veduto il Sultano. Gli contai l'accaduto, e rimasero storditi.
Io conoscevo l'ascendente della mia influenza, come i motivi della condotta di Sidi Ginnàn, ed il bisogno di fare un colpo assai clamoroso. Presi dunque all'istante la penna e stesi una memoria divisa in dodici articoli. Dimostrai geometricamente l'ingiustizia di questa specie di disprezzo, poichè io non avea chiesto nulla, ed il sultano all'opposto non avevami chiamato che per avvilirmi. Terminavo l'ultimo articolo con queste parole: in conseguenza io parto alla volta d'Algeri. Feci sapere agli amici la presa risoluzione, e pregai Hadj Edris di disporre subito quanto mi abbisognava pel viaggio, incaricando un individuo della società di portare la mia lettera a Muley Abdsulem.
Dopo aver udito quanto scriveva, e vedendo la mia ferma risoluzione, i miei amici tremarono, e fecero ogni possibile per ritenermi; ma io non ascoltai ragione finchè non mi fu fatto osservare che senza estremo bisogno un musulmano non deve viaggiare in tempo del Ramadan. A ciò mi acquietai, e promisi di passare il Ramadan a Fez, dichiarando in pari tempo che partirei subito dopo.
All'indomani Muley Abdsulem mi fece dire d'andare da lui. Mi arresi al suo invito. Io ho parlato, mi disse, del vostro affare al Sultano, che gravemente si adirò contro Ginnàn, dicendo che quest'uomo aveva un cuore malvagio: quando il Sultano ordinò di condurvi tutti i venerdì al palazzo non era già per lasciarvi nella moschea, ma per introdurvi innanzi a lui a fine di vedervi e di parlarvi: che in tal modo doveva fare ogni venerdì; ma che poteva ben essere che Ginnàn, e qualcun altro avessero motivo di pentirsi… Terminò dicendomi, che ordinava allora l'arresto di quel miserabile. Allora presi a parlare a favore di Ginnàn, dichiarando ch'io ero soddisfatto, e che desideravo che questo disgustoso affare non avesse ulteriori conseguenze.
I miei amici festeggiarono il mio trionfo; ma non molto dopo ritornò uno di loro assai triste, e mi disse: voi per soverchia bontà commetteste un errore – quale? Avete comunicati al traditore Ginnàn i giorni e le ore in cui succederanno gli eclissi del sole e della luna; or bene, non solo nulla disse di esserne a voi debitore, ma presentò il vostro lavoro, e se ne fece egli stesso autore – pover'uomo, soggiunsi io all'istante, mi fa pietà – ma perchè? – perchè nè egli, nè altra persona conosce a Fez i giorni o le ore delle vicine eclissi. – Come non gli avete voi detta ogni cosa? e non scrisse egli quanto voi gli diceste? – No; io conobbi subito il carattere dell'uomo, e rispetto alle cose astronomiche non gli dissi la verità, e per conseguenza egli ha spacciati dei falsi pronostici… A questo tratto tutti slanciaronsi verso di me, baciandomi le mani, abbracciandomi, alzandomi sulle loro braccia, e proclamandomi uomo superiore agli altri.
Il seguente venerdì, fingendo d'ignorare tutto il passato, Sidi Ginnàn venne a prendermi per condurmi al palazzo. Lo feci aspettare più di mezz'ora, e montando a cavallo, gli ordinai di seguirmi. Entrammo in una cappella interna del palazzo, ove venne subito un figlio del Sultano per tenermi compagnia, e pochi momenti dopo il Sultano mi fece chiamare.
Andai, come porta l'etichetta, accompagnato da due ufficiali, i quali mi presentarono al Sultano, che trovavasi nella casetta di legno della terza corte. Appena entrato, mi fece sedere sopra un piccolo matterasso. Fra molt'altre cose mi domandò se piacevami il paese: se non mi era contrario il clima; quindi chiamandomi suo figlio e dandomi altri soprannomi onorevoli, mi replicò più volte, ch'egli era mio padre. Volli baciargli la mano, ma egli la rivolse e mi presentò da baciare la palma, come ai suoi figliuoli. Essendosi poi spogliato del suo bournous, me lo pose in dosso colle sue mani, ripetendo ch'io potevo presentarmi a lui qualunque volta lo desiderassi, ch'egli non mi fissava verun tempo, perchè non voleva altrimenti incomodarmi. La conferenza durava da molto tempo quando il Sultano mi domandò l'ora: guardai l'orologio, e gli dissi essere quella della preghiera. Allora ripetendomi di nuovo più volte che io ero suo figlio, si levò, ed andammo alla moschea.
Questo intrattenimento ebbe luogo alla presenza di molte persone, e tra le altre del Muftì, o principale Imano del Sultano. Questi prendendomi per la mano mi condusse nella moschea, ch'era affollata di gente, e non mi lasciò finchè non fui seduto. Quest'ingresso nella moschea con il mio seguito, e col bournous del Sultano sovrapposto al mio, chiamò sopra di me gli sguardi di tutta l'assemblea. Io sortj di mezzo alla folla; tutti quelli che trovavansi sul mio passaggio baciavanmi la spalla, o il lembo della veste. Chiesi dov'era Ginnàn; ed il Muftì facendo un atto di disprezzo; non prendetevi cura, mi rispose, di questo miserabile, cui non devesi più verun riguardo. Feci qualche elemosina alla porta della moschea, secondo la mia costumanza, e ben tosto s'invocarono le bendizioni del cielo sopra Muley Solimano, e sopra di me. Montai in seguito a cavallo e mi restituj a casa compiutamente soddisfatto, poichè pubblico era stato il soddisfacimento della ricevuta ingiuria, e così luminoso. Fui complimentato da tutti; e più non si parlò di andare ad Algeri, e proseguj a frequentare il Sultano, ed a fare con lui la preghiera alla tribuna.
Un musulmano senza donne vedesi generalmente di mal occhio. I piaceri dello spirito occupandomi più di quelli del corpo, non avevo fin ora pensato a quest'articolo. I miei amici me ne parlarono tanto, che mi convenne cedere alle loro istanze. Sapendo che non volevo ammogliarmi che dopo aver fatto il pellegrinaggio alla casa di Dio, mi fu posta innanzi una schiava negra, ch'io presi senza pure osservarla. Le donne d'Hadj Edris avendola riconosciuta nella qualità di mia concubina, la bagnarono, la purificarono, la profumarono diversi giorni; gli fu poi fatto il suo corredo; indi mi fu condotta a casa. A fronte degli abbigliamenti, de' profumi, delle purificazioni, rimase isolata in un'abitazione separata dalla mia, ove venne ben servita e trattata; ma io, non saprei dirne il motivo, non ho mai potuto vincere la mia ripugnanza per una negra colle labbra grosse, e col naso schiacciato: quindi la sventurata donna dovette trovarsi ben delusa della sua aspettazione.
Aveva promesso a Muley Abdsulem un calendario per i quattro ultimi mesi dell'anno arabo. Io lo feci indicando la corrispondenza delle date coll'anno solare, i giorni della settimana, del mese e della luna, la longitudine e la declinazione del sole nell'istante del mezzogiorno a Fez, l'ora del levarsi e del tramontare nello stesso luogo; l'ora del passaggio della luna al meridiano, la differenza dal tempo medio al tempo vero, le fasi ed altri punti lunari, ed i più notabili fenomeni degli altri pianeti.
Siccome in quest'epoca dovevano precisamente accadere le due eclissi del sole e della luna, l'almanacco diventò più interessante assai pel pronostico di questi fenomeni da me descritti interamente: aggiungendovi inoltre le figure ch'essi dovevano presentare. Posi in fine due altri disegni che mostravano, uno la grandezza dei pianeti relativamente al sole, l'altro il sistema solare con tutte le nuove scoperte. Quando presentai quest'almanacco, Muley Abdsulem ed il Sultano ne furono in modo sorpresi, che predissero la rovina di tutti coloro che senza saper nulla godevano in Fez opinione d'uomini scienziati.
Pubblicatisi una volta i giorni e le circostanze delle eclissi, n'ebbe ben tosto notizia tutta la città, e perchè ognuno voleva aggiungere alla notizia qualche cosa del proprio, si spacciarono mille stranezze: e gli astrologhi predissero sventure, che dovevano essere precedute da tre giorni di dense tenebre. Non è credibile la pena ch'io mi diedi per distruggere l'impressione di tali ridicole predizioni.
Terminato il Ramadan, si celebrò la pasqua nel modo solito, e poco dopo il Sultano partì alla volta di Marocco, invitandomi a seguirlo: glielo promisi.
L'eclissi della luna fu dal popolo poco notata perchè il cielo era ingombro di nubi, e pioveva: ma gran Dio! quale spaventoso rumore non produsse l'eclissi del sole! Il cielo era affatto sgombro, ed era verso mezzogiorno: il sole oscurossi quasi interamente, non rimanendo che un mezzo dito del disco scoperto. Gli abitanti correvano per le strade gridando come insensati; i tetti ed i terrazzi erano coperti di gente; ed il mio alloggio era così affollato, ch'era impossibile il fare un passo dalla porta fino al luogo più elevato.
L'eclissi finì poco dopo mezzogiorno. Stavo pranzando quando mi fu annunciato che il figlio del kadi desiderava di parlarmi. Fattolo introdurre, mi disse, colle lagrime agli occhi, e nel più compassionevol modo, che la malattia di suo padre attratto non permettendogli di sortire, veniva egli in sua vece a pregarmi, poichè il buon Dio li aveva felicemente salvati dell'eclissi16, d'avere la bontà di dirgli, se doveva ancora temersi di altra cosa. Io lo rassicurai, come seppi meglio, e lo rimandai soddisfatto.
Non è possibile persuadere a queste genti, che si possono saper fare osservazioni e calcoli astronomici, senza essere astrologo, e senza saper dire a ciascuno la sua buona o cattiva sorte. Io mi abbattevo ogni giorno in taluno che mi pregava a dargli indizio delle cose perdute o rubate, altri a chiedermi la guarigione di un'ostinata malattia; i più discreti si limitavano a domandarmi una preghiera per loro, o un Flous, o piccola moneta per conservarla come un prezioso regalo. Tanta è la costoro ignoranza che io mi affaticavo, ma con poco profitto, di guarirli da sì grande semplicità.
Determinai il giorno della partenza alla volta di Marocco. I miei amici tentarono ogni mezzo per ritenermi; le preghiere, le offerte, le cabale, gl'intrighi, tutto fu posto in opera: ma finalmente io diedi i miei ordini, presi commiato da tutti, e mi disposi a mantenere la promessa fatta al Sultano.