Kitabı oku: «Viaggi di Ali Bey el-Abbassi in Africa ed in Asia, v. 4», sayfa 5
Lunedì 12
Alle sette ed un quarto del mattino, trovandomi in viaggio, m'accorsi che i miei tartari erano agitati: si videro talvolta rallentare il passo, poi fermarsi a discorrere con un certo contegno di tristezza e di spavento. Fui ben tosto al fatto dei loro timori. Il Pascià che avevamo lasciato a Barafdon aveva fatto tagliare il capo al maestro di posta della città cui eravamo diretti; onde temevano di esservi mal accolti, e qualche cosa di peggio.
Dopo lunghi consigli risolvettero di mandare avanti due di loro con un postiglione onde scandagliare il terreno. Io tenni loro dietro a qualche distanza, e mi fermai presso di un pozzo lontano circa trecento tese dalla città. Allora un tartaro si avanzò fino alle porte, ed essendo il postiglione venuto a cercarmi, entrai con lui in Assiom-karaïssar alle undici ore del mattino, prendendo tranquillamente alloggio alla posta. Il fratello del maestro di posta decapitato aveva già trafugati tutti i cavalli ed erasi posto in sicuro nelle montagne; fortunatamente i miei Tartari ebbero modo di far sapere al governatore ch'io era un inviato del sultano Sceriffo della Mecca presso al Sultano di Costantinopoli: onde il governatore ed i suoi subalterni si fecero premura di offrirmi i loro servigi, e mi assicurarono che all'indomani potrei partire.
La situazione di questa città, stando alla carta di Arrowsmith non combina colla mia stima geodetica della strada; ma tengo in sospeso il mio giudizio finchè sia giunto ad un altro punto geografico conosciuto.
Stando a questa carta la città sarebbe volta a S. O., ed il famoso Meandro che prende origine nelle vicine montagne, scorrerebbe nella medesima direzione; quando invece la situazione della città è al N. E., ed il fiume, che io attraversai sopra un ponte a non molta distanza dalla città, segue la stessa direzione.
Assiom-Karaissar è una assai vasta città, con molte moschee, una delle quali sembrommi magnifica. Questa città ha, come quella d'Akschier, le strade cambiate in piccoli fiumi per le acque che scendono dalle montagne vicine; e le case sono triste in sul fare di quelle delle precedenti città. Malgrado il freddo che faceva acutissimo, si trovarono eccellenti frutta, uve, poponi, e pomi delicatissimi. Il pane fatto a focaccia è molto buono. I coltivatori vedevansi tutti intenti a battere i grani.
Al S. O. della città vedesi una rupe isolata in forma di pane di zucchero, formata dall'unione di prismi irregolari perpendicolari, talchè sembra tagliato a picco da ogni lato. La sommità è coperta da un'antica fortezza, che dovette essere in altri tempi una piccola Gibilterra.
Martedì 13
Alle otto e mezzo del mattino mi diressi al N. O. Poichè ebbi attraversato un ruscello non lontano dalla città, si proseguì il cammino lungo una pianura fino alle undici ore; quando si cominciò a salire sopra alcuni poggi, sui quali dopo un'ora di viaggio trovai un casale, ed un altro alle due e mezzo detto Osmankoï, ove il mio condottiere si fermò alloggiandomi in un'oscura stalla. Irritato contro di lui pel breve viaggio fatto in questo giorno, e del pessimo alloggio che mi aveva procurato, mentre gli altri Tartari erano meglio alloggiati, lo sgridai aspramente, ed alterato dalla collera, lo minacciai di fargli saltar il capo colla mia sciabla se continuava a condurmi in tal maniera. Accorsero gli altri Tartari e mi calmarono, confessando che avevo ragione; e fui tosto condotto in più decente alloggio.
Mercoledì 14
La riprensione fatta al mio Tartaro non fu senza effetto: spaventato dalla maniera con cui gli aveva parlato, mi diede la stessa sera una squisita cena, ed all'indomani eravamo già in cammino alle sei ore. La strada andava ad O. N. O. in mezzo alle montagne. Alle sette ed un quarto lasciavasi a destra Altonntasch, villaggio ove potevamo arrivare il giorno avanti, se i Tartari non fossero così infingardi. Si ripiegò allora al N. N. O. sempre in mezzo alle montagne, ed attraversando una foresta: ma avanti mezzogiorno fummo costretti d'abbandonare i nostri cavalli che perivano. Un'ora dopo scesi un lungo pendio, al di cui piede scorre un fiume che va da mattina a settentrione, e che si passa sopra un ponte. Dall'opposta riva s'inalza subito un altro ripido poggio, ma meno lungo del precedente, di dove scendesi in una larga valle; ed arrivai verso le tre ore e mezzo a Mitaïeh, bella e ragguardevole città, capitale della provincia di Nadoulia o Natolia, e residenza di un Pascià. È posta sul pendio d'una montagna, e le case fatte parte di muro e parte di legno, sono tutte dipinte, con grandi finestre, terrazze, e generalmente unite a' giardini che loro danno un bell'aspetto: ma le strade, almeno quelle che io vidi, sono sudice, mal selciate, e nel mezzo ingombrate da un rigagnolo di acqua limacciosa. Osservai due mercati abbondantemente provveduti di frutti e di legumi; e seppi che la carne è buona ed a buon prezzo, come pure le farine. Sono notabili alcuni belli edificj e molte moschee. La montagna che signoreggia la città è coronata da un antico castello.
Le carrette che si adoperano in questo paese tirate dai buoi o dai bufali sono in modo strette, che appena possono ricevere comodamente due persone. Piccola è la specie de' buoi, con corna tanto corte quanto quelle de' buoi della costa di Barbaria; ma all'opposto i bufali sono alti ed armati di grandissime corna. Questi animali servono pure alla coltivazione; come avevo veduto in Antiochia alcuni buoi servire da bestie da soma.
Giovedì 15 e Venerdì 16
Il mio condottiere mi costrinse a restare a Kutaïeh due giorni, protestando di non trovare cavalli. Approfittai di questo ritardo per visitare la grande moschea, antico e vasto edificio di una singolare costruzione, e di forma quadrata, diviso in due navi eguali da una linea di colonne che dalla porta va fino al fondo. Si andava riedificando in tempo del mio passaggio, aggiugnendovisi un ordine di tribune in giro. Questa singolarità unita alle pitture che abbelliscono l'interno dell'edificio mi sorprese in maniera, che mi credeva trasportato in un teatro d'Europa.
I ruscelli che scorrono per le strade sono veri torrenti, sui quali il bisogno di passare da un lato all'altro, fece fare dei ponti di legno. Le strade sono sempre piene di oche, di anitre e di cani.
Sabato 17
Partii il giorno 17 alle nove ore e mezzo del mattino; e dopo avere attraversato il piano al N. mi trovai verso le dieci ore in una campagna sparsa di colline. Fu duopo passare due volte il fiume Poursak, che scorre all'O. poi a N. E. Sortendo da una bella moschea attraversata dalla strada, mi diressi al N. O. in mezzo alle montagne, e dopo tramontato il sole scesi per un ripido pendìo sul piano, ove trovai un casale quasi tutto costruito di legno, detto Yea Ouglou.
Domenica 18
Il sole nascente ci vide partire. Sortendo dal casale avevamo in faccia un'angusta valle coperta di gelicidio, dalla quale ci separava soltanto un fiume. In mezz'ora eravamo giunti all'estremità della valle tenendo sempre la direzione di N. N. E., ed omai saliti sulle montagne, quando ci trovammo quasi senz'avvedercene imbarazzati in così fitta macchia, che quantunque il cielo fosse affatto sereno, ed il sole splendesse di tutta la sua luce, ci sembrava talvolta che non fosse ancora giorno. Nulladimeno di tratto in tratto trovavansi dei sorprendenti colpi d'occhio, e ridenti situazioni rinfrescate da zampilli e ruscelletti d'acque freschissime. Molti di questi ruscelli erano abbelliti da piccoli frontispizj dovuti alla pietà musulmana; ciò che dava l'apparenza di giardini a questi luoghi selvaggi. Finalmente vidi Stuhout in una bassa valle, ove arrivammo scendendo un ripido pendìo ad undici ore del mattino.
Questo villaggio quantunque piccolo, mi parve ricco. È circondato da ogni banda da giardini e da vigne, i di cui prodotti vengono dagli abitanti trasportati a considerabili distanze. Trovandosi abbastanza ricchi si prendono cura di avere case appariscenti, e ben addobbate: le fisonomie di questa gente non hanno la dolcezza di quelle dei Caramani: hanno il naso grosso, e sono generalmente tetri, tristi, cupi e diffidenti, come gli Ebrei tra i Musulmani. Il fiume Sakaria non passa per Souhout come l'indicano le carte.
L'ostinata pigrizia del mio condottiere mi obbligò a trattenermi fino all'indomani, malgrado il desiderio che avevo di giugner presto a Costantinopoli.
Lunedì 19
Erano le sei del mattino quando ripresi il cammino col mio seguito. Da principio si andò verso N. N. O. a traverso le montagne; indi seguendo per qualche tratto la direzione della cresta d'una montagna; si discese poi in una valle angusta e profonda divisa da un fiume, passato il quale entrammo ad undici ore in Verzirkhan, villaggio situato sulla sinistra del fiume, e non sulla destra come viene segnato nelle carte, e abitato solamente da cristiani greci.
Riposatomi pochi istanti, ripresi a mezzo giorno la direzione al N., poscia al N. N. O. in mezzo a giardini e piantagioni di gelsi bianchi che cuoprono la valle: si dovette in appresso salire e scendere un'alta montagna, alle di cui falde la strada piega all'O. Arrivammo alle due ore ed un quarto a Lefkie, che trovasi in fondo ad una valle lungo la quale scorre un piccolo fiume.
In sul far della sera soppraggiunse un ufficiale di Mehemed Ali pascià d'Egitto, apportatore al governo della notizia della ritirata degl'Inglesi. Essendo venuto a trovarmi, sgridai in sua presenza i miei Tartari, i quali contavano d'impiegare ancora quattro giorni per condurmi a Costantinopoli, ed ottenni la promessa di arrivarvi in due.
Martedì 20
Per non mancare di parola si posero in viaggio a tre ore del mattino verso O. N. O. Si passò il fiume sopra un ponte lontano mezz'ora dal villaggio, ed in breve eravamo alle falde delle montagne che dovevamo sormontare per andare a Nicèa. Malgrado l'asprezza della strada, camminavamo speditamente, attraversando rupi e burroni, e spesse volte sull'orlo di spaventosi precipizj; fortunatamente la luna vicina al meridiano rischiarava perfettamente la strada. Entravamo in Nicèa al levare del sole.
Questa città, celebre tra i cristiani pel concilio tenutovi l'anno 324 di Gesù Cristo, è come Antiochia, un piccol luogo chiuso da vaste antiche mura, tagliate da magnifiche porte. È situata sull'estremità occidentale d'un lago, in mezzo ad infiniti giardini.
Appena ricambiati i cavalli si proseguì il viaggio lungo la riva del lago accompagnato ancora dai domestici dell'ufficiale di Mehemed-Alì.
L'acqua del lago è dolce e bevibile. Questo lago di forma irregolare prolungasi da levante a ponente, e può avere cinque in sei leghe di lunghezza sopra mezza lega di larghezza. È circondato di montagne da ogni banda, tranne un piccolo piano al N. E. lungo il quale si camminò circa un'ora e mezzo.
Alle undici ore si ripigliò la direzione del N. e del N. O. attraversando montagne coperte di arbuscelli, e dalla cui sommità scoprivasi il lago in tutta la sua estensione. Eravamo intenti a così bella veduta quando il sole si coperse improvvisamente di nubi, e nell'istante medesimo incominciò a piovere dirottamente. Scendevamo allora per un ripido pendìo, che il terreno argilloso, e la pioggia facevano sdrucciolevole: il mio cavallo cadde, e mi prese sotto una coscia, malgrado gli sforzi da me fatti per sostenerlo; ma perchè la caduta si fece in due tempi, ed abbastanza lentamente, non mi cagionò verun male: questa è la sola caduta ch'io facessi in tutti i miei viaggi dell'Affrica e dell'Asia.
Poco dopo il mezzo giorno si attraversò un casale, indi un magnifico ponte, di dove essendo scesi in una valle si andò a seconda di due fiumi che si dovettero attraversare più volte. Ma appena usciti dalle sinuosità dei fiumi ci trovammo sopra un argine antico fatto in mezzo ad una palude, a poca distanza del quale trovasi il villaggio d'Herseck vicino al mare. Colà c'imbarcammo coi nostri cavalli per tragittare il golfo d'Isnikmid, che si profonda alcune leghe entro terra, e che in questo luogo può esser largo quattro in cinque miglia.
Siccome avevamo il vento contrario, il battello, o kaick, come vien detto in paese, dovette correre una bordata di mezz'ora all'E. ed una seconda di tre quarti d'ora a N. O. per giugnere sull'opposta riva. Si sbarcò nel porto di un piccolo villaggio, ove danno fondo quasi tutti i battelli che fanno questo tragitto.
Di qui continuando il cammino tra le montagne, giugnemmo alle otto della sera ad un altro villaggio. I miei Tartari calcolavano di fare in tre giorni il viaggio fatto in questo solo giorno.
Mercoledì 21 ottobre
Allo spuntar del sole la nostra gente si pose in cammino coi più cattivi cavalli ch'io vedessi mai; e perciò facevasi poco viaggio. Da principio si seguì la riva del mar di Marmara nella direzione dell'O. N. O.; e riconobbi subito le isole de' Principi poste a piccola distanza dalla spiaggia. Essendo in seguito passati per molti villaggi, ed attraversata una specie di necropoli, ossia un vasta campagna di sepolcri, si arrivò finalmente a Scutari, o Scondar, ad un'ora e mezzo dopo mezzo giorno, ov'io smontai ad un caffè.
In tempo della mia dimora in Europa aveva contratta amicizia col Marchese d'Almenara, che adesso era ministro della corte di Spagna a Costantinopoli. Gli diedi avviso del mio arrivo, ed all'istante questo ragguardevole amico mi mandò il suo dragomano, domestici e battelli per attraversare il Bosforo; e spinse la gentilezza fino a darmi un appartamento in propria casa, ch'egli mi aveva fatto preparare alla turca, onde non contrariare le mie abitudini.
CAPITOLO LI
Descrizione di Costantinopoli. – Il Bosforo. – Il Porto. – L'Arsenale. – Pera. – Top-Hana. – Galata. – Strade di Costantinopoli. – S. Sofia. – Uscita del Sultano ogni venerdì. – Le Moschee. – Eyoub. – Reliquie del Profeta. – Serraglio, o palazzo del Sultano. – Vetture. – Hippodromo. – Castello delle Sette Torri. – Mura.
Costantinopoli fu visitata da tanti curiosi, che io non prenderò a descriverla. Pure perchè sarebbe fuor di luogo il non parlare di così grande metropoli dopo avervi dimorato alcun tempo, e perchè altronde a molti dei miei lettori non sarà discaro il trovar qui uno schizzo di questa città, descriverò brevemente quello che ho veduto. Io rappresenterò gli oggetti quali si presentarono a' miei occhi, senza farmi carico di quanto hanno potuto dirne gli altri viaggiatori; e siccome avanti d'entrare in questa città, sono rimasto alcuni giorni a Pera presso il signor Ambasciatore, incomincerò a parlare delle cose vedute in questo luogo.
Il Bosforo di Tracia, detto el-Bogaz dai turchi, ed il Canale dai cristiani, perchè unisce il Mar Nero o Ponto Eusino, al Mar di Marmara, ossia Propontide, chiamato dai turchi Mar Bianco, è posto quasi nella direzione N. E., con molte sinuosità, che rendono varia la sua larghezza da un miglio fino a quattro.
Il canale ha una corrente rapida quanto quella d'un fiume che va dal Mar Nero al Mar di Marmara. Questo fenomeno è prodotto dai molti fiumi che sboccano nel Mar Nero, e dalla limitata superficie che presenta alla evaporazione in una così elevata latitudine; di modo che se il Mar Nero non avesse una uscita per il Bosforo, dovrebbe necessariamente dilatarsi finchè acquistasse una bastante superficie per istabilire l'equilibrio tra la quantità d'acqua che gli portano i fiumi, e la massa assorbita dall'evaporazione.
Tanta è la rapidità della corrente, che rende necessario il tenere alcuni uomini sopra varj punti della costa per tirare a riva i battelli e le scialuppe; non bastando la forza dei remi per superare la corrente quando si vuol rimontare il canale: sonovi ancora alcuni luoghi in cui le acque formano gorghi così rapidi, che la superficie si cuopre tutta di schiuma.
D'altra parte s'io considero che le acque del Mar Nero e quelle del Canale sono salse come quelle degli altri mari, io non posso non credere che esista in fondo al canale una contraria corrente che riporta l'acqua del Mar di Marmara verso il Mar Nero; imperciocchè non ammettendo tale supposizione non sarebbe possibile di spiegare in qual modo, dopo tanti secoli, siansi le acque del Mar Nero conservate salse, malgrado l'enorme quantità d'acqua dolce che ogni giorno riceve dai fiumi, e la massa d'acqua salsa ch'esce pel canale del Bosforo.
Il disequilibrio che deve produrre la diversa gravità specifica delle due masse d'acqua diversamente cariche di sale, e che sono in contatto, concorre altresì a provare la necessità dell'esistenza di questa corrente inferiore del Mar di Marmara verso il Mar Nero; poichè se suppongansi due masse d'acqua perpendicolari della medesima altezza ne' due mari, che siano in comunicazione per mezzo del Canale, è cosa indubitata che quella del Mar Nero composta d'acqua salsa e d'acqua dolce dei fiumi, sarà più leggiera di quella del Mar di Marmara, quasi affatto composta d'acqua salsa; ed in conseguenza il Mar di Marmara per livellare il suo peso a quello del Mar Nero deve versare in questo una parte della sua acqua, finchè l'abbassamento del suo livello, e l'elevazione di quello del Mar Nero compensino la differenza della gravità specifica delle due acque. D'altra parte la colonna allungata del Mar Nero non potendo sostenersi al di sopra del livello della colonna corrispondente, verserà sopra di questa una parte della sua acqua superiore per equilibrare il livello delle due colonne; ed ecco stabilita la corrente superiore dal Mar Nero a quello di Marmara, e mantenuto dalla continua affluenza dei fiumi che si gettano nel primo. La necessaria esistenza di una corrente inferiore in senso contrario viene egualmente dimostrata dallo stesso principio, il quale indica altresì che l'acqua del Mar Nero dev'essere meno salsa che quella del Mar di Marmara.
Le due rive del Canale sono notabili pe' molti sobborghi che quasi si toccano l'un l'altro, e vengono a formare una continua strada lunga più di una lega e mezzo. Spetta al pittore delle grandi epoche della natura, all'autore del Maometto e della Zaira, il descrivere come si conviene lo spettacolo imponente che presenta quest'immensa strada acquatica, in mezzo alla quale io vidi navigare tutta la squadra con una infinità di altri bastimenti, e migliaja di scialuppe e di battelli: i palagi e i terrazzi superbi, le ville del Sultano, delle Sultane, e dei grandi dell'Impero, che fatte col più squisito gusto orientale gareggiano fra loro in beltà e lusso; i colli pittoreschi che circondano il canale coperti del più bel verde e di eleganti casucce isolate; il corpo colossale della città di Costantinopoli che si presenta coperto da una foresta di campanili, di cupole, di terrazzi, il tutto dipinto di variatissimi colori, e solo interrotto dal verde di grandi alberi; e finalmente il mare di Marmara che chiude l'orizzonte al sud: questo magnifico aggregato forma un quadro che non può descriversi, ma la di cui impressione non può cancellarsi dalla memoria.
Una lega e mezzo al di là di questo spazio, i villaggi posti sulla riva del Bosforo sono alquanto più separati gli uni dagli altri: la foce del Mar Nero viene difesa da un forte sopra ogni lato del canale, e da due antichi castelli situati a mezzo la costa a diritta ed a sinistra; la torre di Leandro guarnita d'artiglieria è posta sopra un'isoletta in mezzo; sonovi inoltre molte batterie di campagna sopra le due rive alla foce del canale nel mare di Marmara.
Il porto di Costantinopoli è il migliore del mondo. Formato da un braccio di mare che si avanza sinuosamente nelle terre tra la città ed il sobborgo di Galata, di Pera, ec. è tutto circondato da colli, e perciò al coperto da tutti i venti. Il fondo è tale, che le navi a tre ponti possono accostarsi alla riva, e prender terra colla loro prora senza toccare colla chiglia.
Sulla costa del porto opposta a Costantinopoli vedesi l'arsenale, nel quale io contai quattordici o quindici navi da guerra, le une interamente corredate ed armate, le altre preparate a metà, tutte ben fatte ed in ottimo stato. Vi trovai pure molti vascelli o carcassi inutili, alcune scialuppe cannoniere, e sul cantiere una fregata che si andava formando da operai europei. L'arsenale è vasto, e provveduto di materiali. Contiene un infinito numero di cannoni la maggior parte di bronzo, una eccellente macchina per alberare, ed un bacino da costruzione, il cui solo difetto è quello di avere un fondo che perde l'acqua: trovavasi allora occupato da un vascello di settantaquattro cannoni che veniva racconciato. Presso al bacino sonovi due belle macchine per tirare le navi in secco. La casa del capitano Pascià, o grande Ammiraglio della marina Ottomana, è situata vicino all'arsenale: è un magnifico edificio con un bellissimo sbarco sul mare. Dietro a quella del Pascià viene la casa del capo dell'arsenale, innanzi alla cui porta un'urna sepolcrale serve di fontana.
Quando si viene dall'Asia per recarsi a Pera, che è il sobborgo ove risiedono gli ambasciatori ed i negozianti europei, si sbarca di ordinario a Top-hana, altro sobborgo in riva al canale. Colà trovansi le caserme de' cannonieri, come pure una batteria di ventiquattro cannoni montati sopra carrette di forme diverse per difendere l'ingresso del porto. Rimarcai un'antica colombrina di quasi un piede di calibro, ossia diametro interno, e lunga diciannove piedi, destinata a tirare palle di sasso, delle quali se ne vedono molte presso. Le caserme sono belle, e contengono molti carri e cassoni.
Il sobborgo di Galata, che si unisce a quelli di Top-hana, e di Pera, è grande, popolato assai, e chiuso da una muraglia che tocca le case degli adjacenti sobborghi. Lo attraversa dall'una all'altra estremità una strada lunga più d'un quarto di lega, ma sucida, mal selciata, e quasi tutta fiancheggiata da botteghe di commestibili. Le case quasi tutte di legno inspirano tristezza. Si andavano rifabbricando le case consumate da un incendio nel precedente anno.
La chiesa greca di S. Dimitri è composta di tre piccole navate ben proporzionate, e sostenuta da colonne di legno coperte di stucco imitante il marmo. Il santuario non ha ornamenti, ed il tempio è oscuro. Mi fu detto essere questa una delle più belle chiese greche della capitale.
Il passeggio degli abitanti di Costantinopoli è il Cimiterio, che i cristiani dicono Campo dei morti. Non può quindi essere molto allegro, ma signoreggia parte della Città e del Bosforo, e vi si gode una maravigliosa veduta. Da questo lato trovasi pure una bella caserma, altra volta abitata dalle truppe regolari e disciplinate all'europea, che chiamavansi Nizàm Djidid; ma queste truppe più non esistono.
Per andare da uno di questi sobborghi a Costantinopoli si attraversa il porto con una piccola scialuppa con uno o due rematori, e si sbarca in luoghi coperti, dove vedonsi ammucchiate le une sulle altre molte scialuppe. Questi magazzini sono di legno, e vi si entra senza sbarcare. Sulla porta di questi edificj dalla banda di terra trovansi sempre cavalli da nolo sellati per portare subito i viaggiatori ove vogliono, per istrade sporche, scoscese, e fiancheggiate da ambo i lati da officine e case di legno coperte di vivi colori, ma senza essere a filo, e formanti le une colle altre angoli entranti e salienti senza veruna uniformità: vi si vendono commestibili, confetture, tabacco, droghe, ec.
Io fui alloggiato in un bellissimo Khan fatto con pietre tagliate; senz'altra compagnia che quella del mio dragomano turco, dello schiavo, e di un giannizzero. Il dragomano era un uomo singolare; nato cristiano nell'Albania erasi portato in Europa per istudiare la medicina. Dopo avere viaggiato cinque anni per questo motivo in Italia, in Francia, in Germania, soggiornò due anni a Vienna col primo medico dell'imperatore Giuseppe II nel palazzo di questo Principe, col quale ebbe più volte l'onore di parlare. Era in allora vestito all'europea: giunto a Costantinopoli erasi fatto musulmano, ed a quest'epoca non aveva di che vivere. La sua conversazione aveva qualche cosa di straordinario. Siccome io non parlo il linguaggio turco, ed egli non sapeva l'arabo, adoperava un latino maccaronico misto d'italiano. Quantunque nelle scuole de' cristiani non imparassi l'alchimia, studiai per altro non so perchè, il latino; imperciocchè, non avendo mai fatto uso di questa lingua, non la parlo meglio del dottore albanese: il suo era un latino italianizzato, il mio un latino arabo. Dietro queste nozioni figurisi il lettore quali potevano essere i miei discorsi con un uomo che univa ad una istruzione confusa una mescolanza di stravaganti chimere dell'immaginazione. Egli credeva per modo d'esempio, che l'aria sia popolata di spiriti o di uomini invisibili, che hanno una diretta azione sugli uomini, e che formano una specie di fratellanza con alcuni mortali, ec. Del rimanente era un buon uomo e senza rigiri.
La grande moschea di Aya Sophia, antica cattedrale di S. Sofia, è un magnifico edificio; la vasta sua cupola ad arco stiacciato, circondata da mezze cupole produce un maraviglioso effetto. Non prenderò a farne la descrizione, perchè già fatta da molti viaggiatori. I cristiani vi possono avere accesso, come in tutte le altre moschee di Costantinopoli, col permesso del governo, che facilmente si ottiene. I muri sono incrostati di marmo, e le colonne bastantemente conservate, ma il tetto incomincia a guastarsi. La tribuna del Sultano è tutt'altro che bella: è una specie di gabbia sostenuta da quattro colonnette, e circondata da griglie dorate.
Ciò che reca maraviglia è il vedere questo tempio ingombrato da una quantità di bastoncelli, e di canne posti lungo le muraglie ed intorno ai piloni; pezzi di tela, come lenzuoli, tovagliuoli, ec. sospesi, onde formare una specie di separata tribuna, ove non possono entrare che i proprietarj per fare la preghiera o per leggere: la qual cosa forma in chiesa una ridicola specie d'accampamento. Nell'angolo di N. O. della navata principale si vede una magnifica giara di marmo elegantemente lavorata, che tien luogo di fonte. È pure notabile un tramezzo di marmo in forma di paravento, assai ben fatto, ed imitante il legno che trovasi in una delle loggie superiori.
Un venerdì vidi andare alla preghiera il sultano Mustafà nella moschea Sultan Djèámi, o moschea del Sultano, posta in faccia ad una delle porte del serraglio. La strada che per recarvisi doveva il Sultano attraversare, era fiancheggiata da due linee di giannizzeri dalla porta del serraglio fino a quella della moschea. Il mio dragomano ed il mio giannizzero non volevansi avvicinare perchè al solo nome del Sultano tutti tremano; io invece attraversai le linee e passai nel cortile della moschea, ove mi posi nella più vantaggiosa situazione per vedere S. Altezza.
Arrivarono prima a varie riprese molti personaggi della corte circondati da domestici a piedi, e montati sopra bellissimi cavalli riccamente bardati, scendevano alla porta della moschea, ed i domestici prendevansi cura dei cavalli.
I giannizzeri, come gli altri turchi, portano una lunga veste ma di color diverso, come ognun vuole, col solo segno distintivo di una ridicola berretta di feltro bianco-grigia, che pende per di dietro; e copre loro la schiena; e sul davanti una piastra di metallo che viene come a cadere sopra la fronte, e chiude come in un astuccio un grossolano cucchiajo di legno che ogni giannizzero è obbligato ad aver sempre presso di sè. Marciano senz'armi non avendo che una mazzetta in mano.
Vidi poi arrivare dieci cavalli del Sultano tutti assai alti, e di diverso pelo, coperti di grandi gualdrappe riccamente lavorate in oro ed argento, e di selle con sopra magnifiche stoffe.
Il Sultano montato sopra un superbo cavallo giunse poco dopo preceduto da una trentina di guardie Bostandgi armate di piccole alabarde dorate. Stavano a' suoi fianchi quattro ufficiali, che potrebbero chiamarsi ventole del Sultano, perchè colle immense penne che hanno sul capo nascondono in modo la persona di S. Altezza, che riesce difficile il vederla; pure io la vidi perfettamente in volto, e lo guardai col mio occhialino finchè mi fu possibile. La figura del suo volto è lunga assai, ed anche il naso quantunque un po' rivolto all'insù; ha gli occhi grandi, e la pallidezza del suo colore non è rotta che dalle due pommelle rosse delle gote; parvemi piuttosto d'alta statura, smilzo, ed assai vivace. Aveva una semplice pelliccia, ma il turbante era ornato di una ricchissima rosa di brillanti assai grossi e di una luce vivissima. Entrando nel cortile del tempio fece un leggier saluto, portando la mano destra al petto, e guardando a diritta ed a sinistra. Regnò un profondo silenzio finchè il Sultano giunse alla porta del tempio; ove tostochè smontò, una dozzina d'uomini ch'erano presso alla porta fecero alcune grida di vivat.
Teneva dietro al Sultano il capo degli Eunuchi negri, il cui aspetto è veramente orribile; era riccamente vestito, e montato sopra un bellissimo cavallo simile a quello del Sultano, ed anch'esso circondato dai suoi domestici a piedi. Salutava passando a destra ed a sinistra con una tale misurata precisione, che sembrava un automa.
La stesso giorno andai a fare la preghiera del mezzodì a S. Sofia. Non vi si fa alcuna cerimonia particolare, e solo dopo l'orazione vidi un dottore montare sopra un alto pulpito, e fare seduto un lungo sermone. Mentre io stava divotamente ascoltandolo, l'ufficiale capo della tavola del capitano Pascià, che io aveva conosciuto in Alessandria, mi si accostò, e mi diede infinite prove d'attaccamento baciandomi le mani ed i piedi.
Le altre più ragguardevoli moschee di Costantinopoli sono:
Il Tourbèh, ossia sepolcro del sultano Abdoulhamid, padre dell'attuale sultano Mustafà; bella cappella ottagona, ove viene riverita entro una nicchia una pietra nera guernita d'argento, sopra la quale conservasi l'impronta dei piedi del Profeta, come in una piastra di cera molle.
La moschea Yenid Djeàml ornata di bellissimi marmi è una perfetta copia di S. Sofia.
Il Tourbèh, o sepolcro del sultano Soulimen, elegante cappella ottagona somigliante a quella di Abdoulhamid, sebbene meno magnifica, è situata in mezzo ad un piccolo giardino, accanto alla moschea detta Soulimania. Per recarvisi si passa sopra un terrazzo che signoreggia una parte della città, il porto ed il sobborgo di Galata, ec.; indi dopo avere attraversato un vasto cortile abbellito da una loggia sostenuta da colonne di granito rosso, si entra nel corpo della moschea, ricco di quattro grandiose colonne dello stesso granito e di altri marmi di diverse qualità che ne coprono le interne pareti. In un angolo del tempio un certo qual missionario seduto in terra predicava al numeroso popolo che gli stava intorno affollato.