Kitabı oku: «Storia delle cinque gloriose giornate di Milano nel 1848», sayfa 5
Nel primo dì della rivoluzione, nel 18 marzo, strenuamente combattette a Porta Nuova con Emilio Morosini (morto di poi a Roma nel 30 giugno 1849, combattendo pella repubblica romana come ufficiale ne' bersaglieri romani), col De Cristoforis (che lasciò di poi la vita pugnando a S. Fermo nel 27 maggio 1859), coi fratelli Biffi, con Giovanni Rusca, con Attilio Mozzoni, con Emilio Dandolo (morto nel 22 febbrajo del 1859), con Angelo Fava, con Re, con Carlo Mancini, con Croff, con Mezzi, con Borgazzi, con Biumi, con Pietro Perego (lo stesso ch'esulò di poi, e trovando duro il pane dell'emigrazione in Piemonte si lasciò corrompere dalla seduzione di poter rimpatriare; e, accettando l'amnistia austriaca del 1857, capitombolò d'errore in errore sino a prostituirsi allo straniero; maledetto da tutti come apostata; compatito dai pochi che conoscevano i disinganni e le sofferenze avute nell'emigrazione in Piemonte, e che gli aveano travolto l'intelletto e avvelenato il cuore). Giuseppe Broggi lasciò memorie imperiture d'eroismo anche a Porta Orientale, al Monte Napoleone, a Santa Babila ed a S. Damiano nel 19 marzo. In quest'ultimo punto narriamo un fatto nuovo. L'avvocato Pier Ambrogio Curti, colla spada nella destra e una pistola nella manca, si era avviato da S. Babila al ponte S. Damiano: tutto a un tratto una pattuglia nemica si presentò al ponte e si avviò a passo di carica verso S. Babila: l'avvocato Curti ritrovavasi a metà via;—retrocedere era viltà e non presentava più scampo;—proseguire o sostare valeva rimaner morto o prigioniero:—chiusa era la porta del palazzo Visconti avanti cui stava:—s'appiattò nell'angolo che ivi fa la casa;—ma senza speranza di salvezza: la pattuglia avanzava,—era già quasi al punto ove s'accovacciava Curti, allorchè da S. Babila parte una schioppettata, e atterra l'ufficiale che comandava la pattuglia:—una seconda schioppettata, esplosa quasi subito dopo, atterra un sergente—la confusione allora allora subentra nella truppa,—si ferma,—vacilla un istante,—e poi retrocede frettolosa:—così fu salvo l'avvocato Curti! Chi esplose quei colpi fu Giuseppe Broggi. Ma verso le ore 3.30 di quello stesso giorno,—era il suo di onomastico, ricorrendo S. Giuseppe al 19,—Broggi con audace imprudenza si spinse oltre al ponte di porta Orientale, ma poco lungi dalla casa Calvi una palla di cannone di rimbalzo lo colpì, lo atterrò sfracellato in mezzo a' suoi amici Giovanni Rusca e Agostino Biffi.
Tutto il 19 marzo Milano diede lo spettacolo di una pugna generale:—lasciò ricordi di eroismo pella storia;—preparò esempio a' nepoti del modo col quale un paese possa riacquistare la perduta libertà. La lotta fu incessante, accanita in ogni punto della città, ma senza disegno; cercando i Tedeschi di rompere le barricate e guadagnar terreno;—sforzandosi da sua parte il popolo di abbarrarsi meglio, armarsi maggiormente colle armi del nemico, aprir vuoti più grandi che fossero possibili nelle file avversarie. La stanchezza, i disagi, la fame non avevano per nulla fiaccato l'ardimento e la perseveranza del popolo, ma gli ostacoli avevano anzi rafforzato in esso la tenacità de' propositi.
Verso sera giravan solo delle voci non troppo benevole a Casati ed al Comitato direttore: sussurravasi che l'uno amoreggiasse col governo austriaco, e che l'altro dormisse sonni profondi e non dasse segno di vita. Alcuni giovani inaspriti dal difetto di armi e munizioni in cui si trovavano i combattenti, domandavano che si mutassero i capi:—altri giunsero persino a proporre la proclamazione della repubblica, suggerendo di spedire inviati a ricercare armi ed ufficiali nelle repubbliche di Francia e della Svizzera:—altri avvisando che la proclamazione della repubblica sarebbe stata cagion di discordie, fomite ad odii, poichè molti vi erano avversi grandemente, e sì che piuttosto d'accettare quella forma di governo avrebbero favorito il nemico, suggerirono di rimanersene nel provvisorio, salvo a discutere dopo la vittoria sulla forma migliore di governo d'adottarsi: altri infine fecero presente che, proclamandosi la repubblica, Milano si sarebbe isolata dal rimanente degli Stati d'Italia, perchè tutti eran retti da principi che non avrebbero transatto coi loro principii monarchici. A repubblica reggevasi soltanto Venezia in Italia; ma neppur questo fatto si conosceva in que' dì a Milano.
A temperamento migliore delle diverse opinioni, essendo allor tempo d'azione più che di discussione, si deliberò di costituire un governo provvisorio. «Intorno a ciò, scrive Cattaneo, io dissi che, se in siffatto governo dovevano aver parte quei medesimi cortigiani, sarebbero stati di grave impaccio durante il combattimento; e se non vi aveano parte, l'avrebbero tosto discreditato e atterrato, valendosi della momentanea allucinazione del popolo e dei soldati del re di Sardegna. Non trattavasi d'altro per il momento che di combattere; bastava adunque fare un Consiglio di Guerra, di pochi e deliberati, e solo per dare unità alla difesa e cacciare il nemico. Il quale incarico, come quello che offriva solo pericoli, non sarebbe ambito gran chè da quei ciambellani. Accolto questo avviso, si cominciò a scrivere i nomi dei presenti, per procedere ad una qualche forma di elezione. Ma molti altri ad ogni momento entravano, in cerca d'armi, di munizioni e d'indirizzo; e in quell'onda di gente sempre rinnovata, era mestieri ripetere da capo ragionamento e spiegazioni, a cui nel caldo di quei momenti poco badavano. Frattanto si faceva notte; e Casati era sparito.—Cernuschi, ne andò in traccia e lo ricondusse14».—Casati, scrisse Cernuschi, col favore delle tenebre, nei cinque giorni si sottrae alla vigilanza degli armati che, credendolo capace d'una fuga, facevano sentinella al suo onore15.
IL 20 MARZO
Ad una notte cupa in cui le nubi ritornarono brutto tempo, successe un giorno piovoso, e in cui il continuo tuono del cannone e l'incessante suonare a stormo delle campane, commisti a cozzo d'armi ed a grida de' combattenti, davan terribile aspetto alla città.
All'alba di quel giorno, in una sala di casa Taverna stava Casati circondato da molti che si sforzavano a persuaderlo di costituire un governo provvisorio, e sembrava nello stesso tempo che que' cittadini avessero cura di sorvegliar Casati, qual prigioniero, onde non fuggisse. Entrato sull'alba anche Cattaneo in quella sala, concorse pur egli a dimostrar la necessità di costituire un'autorità cittadina che rappresentasse il paese, dirigesse la rivoluzione, avesse mandato di trattar con que' di fuori di Milano. Casati seccamente vi rispondeva di non voler uscire dalla legalità, e non voler egli esser altro che il capo del municipio. Sollecitavalo anche a chiamare gli officiali veterani per dirigere i combattimenti, e citavansi i nomi di varii; ma Casati pregava non lo inviluppassero con uomini già compromessi, perchè alcuni di essi avean compartecipato alla congiura militare del 1815.
Non potendosi indurre Casati ad un governo provvisorio, egli si determinò soltanto a nominare alcuni Collaboratori al Municipio, affidando la polizia a Bellati; e perchè questi non ritrovavasi presente, essendo stato arrestato dai Tedeschi in Broletto e richiuso in Castello, così gli deputò un supplente. Nel ridurre in scritto tale deliberazione onde promulgarla per la città, Casati cercò di attenersi sempre ad un principio di legalità fuor di luogo; diamo senza ulteriori commenti l'ordinanza pubblicata allora:
«La Congregazione Municipale
della città di Milano
«Milano 20 marzo 1848, ore 8 ant.
«Considerando che per l'improvvisa assenza dell'Autorità politica viene di fatto ad aver pieno effetto il Decreto 18 corrente della Vice-Presidenza di Governo, col quale s'attribuisce al Municipio l'esercizio della Polizia, non che quello che permette l'armamento della Guardia Civica a tutela del buon ordine e difesa degli abitanti, s'incarica della Polizia il signor dottor Giovanni Bellati, o in sua mancanza il signor dott. Giovanni Grasselli Aggiunto, assunti a collaboratori del Municipio il conte Francesco Borgia, il generale Lecchi, Alessandro Porro, Enrico Guicciardi, avvocato Anselmo Guerrieri e conte Giseppe Durini.
«Casati, Podestà
«Beretta, Assessore
Il Municipio ha già decretato lo scarceramento dei detenuti politici, che avrà luogo immediatamente.
«Casati, Podestà
Gli uomini d'azione del quartier generale rivoluzionario, vedendo con mal occhio quel modo così pauroso di agire e di esprimersi in faccia al pericolo, raccolti in altra stanza per creare il Consiglio di Guerra proposto nella precedente notte, tutti affidarono a Cattaneo la scelta degli uomini sulla lista preparata dai votanti: egli allora ritenne i primi quattro inscritti (ne' quali era egli pure) come costitutori di quel Consiglio, e, tirato un tratto di penna sugli altri nomi, scrisse in testa al foglio: Consiglio di Guerra composto per ora dei primi quattro inscritti. Deliberossi poscia di non assumere alcun colore repubblicano nè monarchico, onde rimuovere qualunque occasione di dissenzione fra i cittadini, ma di porre in fronte a tutti gli atti: Italia Libera.
Primo compito del Consiglio fu di collegare tra loro gli sforzi tutti della città ad un concetto unico, armonico, concorrente ad un piano generale. Costituito così quel Consiglio, esso si consacrò immediatamente al lavoro con infaticabile zelo.
Passiamo al campo di battaglia.
All'alba la confusione regnava nel palazzo reale: il presidio che vi si trovava, e con esso molte famiglie, dietro avviso di Radetzky si disposero ad effettuare una ritirata in Castello, preceduti dal generale Ratt. Il popolo diede addosso alla truppa che si ritirava, e, veduto che un corpo di guardie di polizia era penetrato nel palazzo abbandonato dalla truppa, irruppe egli pure nel palazzo. Le guardie, spaventate dalla furente invasione, si nascosero in una cantina. Il popolo si diede a frugare per ogni banda, per ogni sala, cercando in esse delle armi; ma non vi trovarono che venti alabarde dei trabanti. Le guardie vedendo che a momenti poteva scoprirsi il lor nascondiglio e riuscire impossibile qualunque difesa, dietro suggerimento del parroco e del tesoriere di Corte salirono dalla cantina e deposero le armi.
Nelle infermerie del palazzo eranvi molti feriti abbandonati dalla truppa nella lor disordinata ritirata: essi temettero per un istante di lor vita e si nascosero sotto i letti; ma il popolo, fiero nella pugna quanto generoso nella vittoria, li assicurò che niun male sarebbe stato a lor recato, ed anzi li fece scortare all'ospedale, preceduti da un vessillo coll'iscrizione: Rispetto ai feriti.
Nulla fu toccato nel palazzo: nulla asportato, fuorchè sei cavalli condotti via nel trambusto e restituiti poi pochi giorni dopo.
Casati intanto pubblicava quest'altra ordinanza:
«la congregazione municipale
della città di milano
«Milano 20 marzo 1848.
«In aggiunta dell'avviso 18 corrente, col quale venivano invitati tutti i cittadini dai 20 ai 60 anni che non vivono di lucro giornaliero, sono novellamente invitati i buoni cittadini, compresi in quella categoria, affine che il numero sia sufficiente a garantire la sicurezza pubblica. Sono invitati egualmente a portar seco le armi tutti quelli che ne avessero.
«Le riunioni delle Guardie si faranno presso ciascuna Parrochia, ove si organizzeranno in compagnie di cinquanta, ed eleggeranno provvisoriamente il lor capo, il quale si metterà in corrispondenza col Municipio per le successive disposizioni.
«Casati, Podestà
«Beretta, Assessore
Poco dopo la partenza delle truppe dal palazzo vicereale, la guglia maggiore del Duomo presentò il vessillo tricolore sventolante da quell'altura: ve l'aveva piantata Luigi Torelli di Valtellina e Scipione Bagaggia di Treviso. La cattedrale unì allora il suono a stormo delle sue campane al martellar generale degli altri campanili.
Le guardie della Direzione di Polizia avevano seguito l'esempio del presidio della corte ed avevano abbandonato quel locale. Il popolo strappò immediatamente lo stemma austriaco dalla porta, e penetrò nel palazzo di S. Margherita. Si perlustrò allora ogni camera, ogni angolo onde rintracciarvi i capi più odiosi della Polizia: ma Torresani non vi era più; travestito da gendarme, ed unitosi alla cavalleria, erasi già riparato in castello, abbandonando nel locale di polizia la moglie, le figlie e la nuora. Penetrati i cittadini nell'abitazione di Torresani, in un gabinetto vi trovarono una giovane signora, vestita di seta nera, stringendosi al seno una bambina, con a lato una cameriera; entrambe pallide, tremanti. Esse stavan ginocchioni allo irrompere della folla, e la signora emise uno straziante grido all'apparir del primo popolano, credendosi vicina ad esser sacrificata al furor della plebe. Era dessa la giovine contessa Giovio, vedova di un figlio di Torresani. Ma il primo entrato rassicurò quella donna che niun male le si sarebbe recato, e che il popolo combatteva accanitamente i suoi nemici armati, ma rispettava gl'inermi e non recava onta alle donne. Caddero poscia in mano del popolo la moglie stessa di Torresani ed una concubina di Radetzky; ma tutte altrove tradotte, furono amorevolmente trattate e rispettate.
Fiutavasi ansiosamente da ognuno il nascondiglio del Bolza: scorsero alcune ore prima di scoprirne traccia alcuna; ma finalmente fu scoperto nascosto nel fieno sulla soffitta, in un ripostiglio vicino alla sua dimora. Vi fu trovato pallido, contraffatto, coi capelli irti, supplicante pietà e misericordia. Perquisito sulla persona, non gli si rinvennero armi nè scritti, ma le tasche piene di pane e di formaggio; provvista che aveva fatta per que' momenti difettosi di alimenti.
Galimberti fu ricercato anche nella sua abitazione in contrada dei Due Muri (ora non più esistente). Ma le porte eran barrate per di dentro fortemente: un facchino procurò allora una leva a ruota dallo spedizioniere Pezzoni, la quale, appoggiata in direzione inclinata verso la porta, con forza girato il manubrio, potette abbatterla. Entrativi i cittadini, presso all'ingresso vi catturarono il servo di Galimberti. Minacciato costui nella vita se non rivelava l'ascondiglio del padrone, egli promise indicarlo purchè si salvasse a lui l'esistenza: data la promessa, lo si scortò in una stanza superiore ov'erasi accovacciato Galimberti, e lo si rinvenne infatti. Intimatogli d'arrendersi e di costituirsi prigioniero, mordendosi le labbra cedette16.
D'un tratto una voce sonora gridò in quel frastuono di voci di gioja: E i prigionieri?… Fuori i prigionieri! Libertà ai prigionieri! Vi si trovarono prigionieri uomini, che, levati dalla prigione, sporgevano la mano supplichevole cercando pane, dichiarando che da quarant'ore non se n'era lor dato; che da 40 ore non prendevano cibo. A loro si provvide d'alimenti; ma il popolo gridava: Ma i prigionieri politici dove sono? Dopo un quarto d'ora si ignorava ove fossero. Allora l'oste della contrada dei Due Muri, incaricato dalla Polizia di provvedere gli alimenti pei detenuti, conoscendo per conseguenza ove si trovassero i prigionieri politici, gridò che si trovavano ai N. 18, 30, 36 e 37; ove in vero si rinvennero e si liberarono.
Nella Direzione di polizia si trovarono circa 25 armi da fuoco e un centinajo da taglio, che vennero tosto distribuite al popolo combattente: armi del certo insufficienti alle straordinarie esigenze del momento.
Frattanto Radetzky che aveva ricevuta la protesta consolare del giorno precedente, onde prevenire complicazioni diplomatiche, rispose colla seguente lettera:
«Signori!
«Accuso la ricevuta del dispaccio dei signori Consoli d'Inghilterra, di Francia, di Sardegna, del Belgio e della Svizzera, nella quale manifestano il desiderio di non vedermi prendere misure che non potrebbero mancare di tornar funeste per la città di Milano, e per le quali dimanderebbero almeno una dilazione che permettesse loro di provvedere alla sicurezza dei loro compatrioti. Il governo di S. M. l'Imperatore e le truppe sotto il mio comando sono state attaccate all'improvviso, in un modo contrario ad ogni diritto delle genti, senza che queste avessero fatta alcuna provocazione.
«Si cominciò a saccheggiare il Palazzo di Governo, a sorprendere parte della debole guardia che vi era posta, per assicurarsi della persona del capo di Governo, esigere da lui delle concessioni che non era in suo potere di firmare e che non appartengono che al Sovrano.
«Concepirete da ciò, Signori, che da uomo d'onore e da soldato, non potrò mai compromettere nè l'uno nè l'altro, come obbliga il mio dovere verso l'Imperatore.
«Sta in Voi, Signori, se avete influenza sui capi del movimento rivoluzionario, se potete deciderli ad astenersi da ogni atto ostile; perchè per tutto quel tempo che sarò attaccato, che i miei soldati saranno uccisi sotto i miei occhi, mi difenderò col coraggio che loro inspira il modo con cui furono assaliti, e a me il sentimento dell'odiosa sorpresa di cui si sono serviti verso di loro.
«Ad ogni effetto, per rispetto al Governo di cui siete l'organo, sospenderò le misure severe che io mi credo obbligato di prendere contro Milano sino all'indomani giorno 21, a patto che ogni ostilità abbia a cessare dalla parte avversa.
«Aspetto i risultati dei passi che farete per mia norma.
«Milano, il 20 marzo, undici ore antimeridiane
«Conte Radetzky.»
«Ai signori Consoli d'Inghilterra, di Francia, di Sardegna, del Belgio e della Svizzera
Milano.
Intanto si pubblicava il seguente manifesto da chi dirigeva la rivoluzione, onde mantenere vivo l'ardimento nel popolo ed eccitarlo a persistere nella lotta incominciata:
«Cittadini
«Il Generale austriaco persiste; ma il suo esercito è in piena dissoluzione. Le bombe ch'egli avventa sulle nostre case sono l'ultimo saluto delle tirannide che fugge.—I nostri bamboli non cresceranno nell'orrore della schiavitù.
«Molti ufficiali si danno prigioni. Interi corpi atterrano le armi avanti al tricolore italiano. Alcuni, trattenuti dall'onor militare, domandano un istante a deliberare, supplicandoci frattanto di sospendere il vittorioso nostro fuoco.
«Cittadini, perseverate sulla via che correte.—Essa è quella che guida alla gloria ed alla libertà.
«Fra pochi giorni il vessillo italico poggerà sulla cresta delle Alpi. Colà soltanto noi potremo stringerci in pace onorata colle genti che ora siamo costretti a combattere. Cittadini, fra poco avremo vinto. La patria deciderà de' suoi destini. Ella non appartiene a sè.—I feriti sono raccomandati alle vostre cure.—Per le famiglie povere provvederà la patria.
«Lunedì, 20 marzo».
Venne pure pubblicato dal Consiglio di Guerra questo altro avviso onde mantener vivo il sentimento della generosità nel popolo, e prevenire luttuosi casi di sangue, in que' momenti di grande esasperazione, contro i prigionieri, le famiglie degli impiegati e militari dell'Austria, gli ammalati ed i feriti.
«Prodi Cittadini
«Conserviamo pura la nostra vittoria. Non discendiamo a vendicarci nel sangue di que' miserabili satelliti che il potere fuggitivo lasciò nelle nostre mani.
«Basta per ora custodirli e notificarli. È vero che per trent'anni furono il flagello delle nostre famiglie e l'abbominazione del paese. Ma Voi siate generosi come foste prodi. Puniteli col vostro disprezzo, fatene un'offerta a Pio IX.
«Viva Pio IX! Viva l'Italia!»
In egual modo erasi già sin dal mattino espresso Carlo Cattaneo, allorchè si venne a chiedergli da alcuni popolani se, trovando Bolza, gli si doveva niegar quartiere. Cattaneo aveva risposto: Se lo ammazzate fate una cosa giusta; se non lo ammazzate fate una cosa santa.
Dopo mezzogiorno Casati pubblicava il seguente avviso, con cui notiziava l'associazione di altre persone nell'amministrazione della città; pubblicazione ritardata, e che meglio di ogni altro documento vale a rilevare lo stato di perplessità, di gravi dubbiezze in cui lottava lo spirito e la mente del Casati:
«La congregazione municipale
della città di Milano
«Milano 20 marzo, ore una pomerid.
«Le terribili circostanze di fatto per le quali la vostra città è abbondonata dalle diverse autorità, fa sì che la Congregazione municipale debba assumere, in via interinale, la direzione di ogni potere allo scopo della pubblica sicurezza. Egli è perciò che si fa un dovere di far noto a' cittadini, che sino a nuovo avviso essa concentrerà momentaneamente le diverse attribuzioni onde condurre le cose a fine desiderato dell'ordine e della tranquillità. Ai membri ordinarii della Congregazione vengono aggiunti in via provvisoria i seguenti:
Vitaliano Borromeo.
Francesco Borgia.
Alessandro Porro.
Teodoro Lecchi.
Giuseppe Durini.
Avv. Anselmo Guerrieri.
Avv. Enrico Guicciardi.
Gaetano Strigelli.
Casati, Podestà.Beretta. Assessore.»
Questa determinazione postuma della Congregazione municipale non aveva forse qualche secondario fine, quale quello per esempio d'infirmare l'autorità del Consiglio di guerra, composto di persone che non simpatizzavano troppo con Casati e colle sue idee? Non vogliamo affermare il dubbio: facciam solo presente che Casati e Beretta dicevano con quell'avviso, in altri termini, al popolo: Ogni potere è concentrato nella Congregazione municipale:—si avvertono di ciò i cittadini per loro norma: questa Congregazione assorbente tutti i poteri sarà composta di quelli indicati nell'avviso;—cioè esclusi Cattaneo, Terzaghi, Cernuschi, Clerici. Da ciò grave si eleva il dubbio di un sinistro intendimento in Casati e Beretta con quell'avviso.
Ma passiamo oltre.
Il bisogno di far conoscere la condizione de' Milanesi agli abitanti delle terre circostanti, e l'impossibilità di potervi soddisfare con mezzi diretti, inquantochè una barriera di corpi umani circondava, stringeva Milano tutta, suggerì al Consiglio di Guerra di far uso di palloni che svolazzavano per l'aria portando il seguente proclama:
«A tutte le città e a tutti i comuni
del Lombardo-Veneto
«Milano, vincitrice in due giorni, e tuttavia quasi inerme, è ancora circondata da un ammasso di soldatesche avvilite, ma pur sempre formidabili. Noi gettiamo dalle mura questo foglio per chiamare tutte le città e tutti i comuni ad armarsi immediatamente in Guardia civica, facendo capo alle parrochie, come si fa in Milano, e ordinandosi in compagnie di 50 uomini, che si eleggeranno ciascuna un comandante e un provveditore, per accorrer ovunque la necessità della difesa impone.—Ajuto e vittoria.»
Il Consiglio di guerra
Cattaneo—Cernuschi—Terzaghi—Clerici
Il popolo gioiva di aver riveduti i suoi fratelli che languivano nelle prigioni politiche, e li colmava di onoranza. Abbiam citati i nomi di coloro che ritrovaronsi al Tribunale criminale: fra quelli che gemeano nelle prigioni di S. Margherita (ove vi era la Direzione di Polizia) annoveravasi il marchese Filippo Villani, Ravizza, Marcora, Ferrabini, ecc.
Il Ferrabini ritrovavasi propriamente all'infermeria, perchè era stato ferito nel 18 marzo, e ritrovavasi ancora colla camicia e coi pantaloni intrisi di sangue, zoppicante, e con bendata la testa e la mano. Sapendo d'aver riguadagnata la libertà, credette esser guarito: ma le sue ferite eran troppo gravi; talchè sorretto da due amici si diresse verso la propria casa onde riveder la propria famiglia. Giunto però nel vicolo di S. Fedele, il sacerdote don Giuseppe Lattuada non permise che il Ferrabini continuasse il cammino, temendo avesse a soccombere per via in causa delle ferite, e lo ospitò quindi in propria casa.
Ma quali furono le cause e gli autori di quelle ferite?
Gaetano Ferrabini nel 18 marzo, dopo avere preso parte alla costruzione di parecchie barricate ed eccitato in più luoghi a suonare a stormo le campane nella fiduccia di guadagnare alla rivoluzione il presidio del Circondario IIº di polizia in via Andegari, verso le 4 pom., brandendo con una mano una bandiera e coll'altra una vecchia spada, mettevasi per quella via gridando==Viva l'Italia. Ma giunto sull'angolo della via detta dei Tre Monasteri, ora Romagnosi, veniva d'improvviso affrontato dal figlio di Garimberti, che gli gl'intimò l'arresto. Il Ferrabini si rifiutò di seguirlo ed oppose gagliarda resistenza; circondato però dalle guardie di Polizia, sopraffatto dal numero, ferito replicatamente alla testa, nella schiena ed alla mano destra di cui ebbe mutilato un dito, veniva sospinto dalle punte delle bajonette entro l'ufficio del Circondario.
Perquisito sulla persona, gli si rinvennero proclami rivoluzionarii. Ciò bastò perchè lo si abbandonasse giacente a terra, perdendo sangue dalla testa, e gli si niegasse persino la somministrazione invocata di un po' d'acqua. Nella notte venne trasportato nella infermeria delle carceri di S. Margherita, ove vi rimase sino al 20 marzo in cui fu liberato dalla rivoluzione vittoriosa.
I Tedeschi, vedendo che gli avvenimenti prendevano ogni giorno una piega peggiore per loro, pensarono di trattare un armistizio cogli insorti onde guadagnar tempo, potersi fornir di viveri, rimarginare i danni sofferti nelle lor file, procurarsi nuovi rinforzi e preparare nuovi mezzi di offesa e di difesa. Fu incaricato di questo negozio un maggiore dei Croati Ottochan; credesi fosse quello stesso Sigismondo Ettingshausen che trattò qualche mese dopo per la resa di Peschiera.
Il maggiore, presentatosi verso il mezzodì del 20 marzo ad una barricata, dichiarando esser parlamentario, cogli occhi bendati fu scortato dai cittadini al Consiglio di Guerra. Il Consiglio lo indirizzò nella sala della Municipalità onde trattasse direttamente coll'autorità comunale. Casati propose allora un armistizio di 15 giorni, ma prima d'obbligarvisi pretendeva di conoscere dal Consiglio di guerra se si sarebbe incaricato di far desistere i cittadini dal combattimento. Cattaneo, invitato cogli altri suoi colleghi ad esporre il suo parere, rispose esser difficile lo staccare i combattenti dalle barricate: diffidare egli molto delle conseguenze dell'armistizio: tenere compromessa la condizione degli Italiani.
Durante questo diverbio entrò nella sala un prete della chiesa di S. Bartolomeo, portando la nuova che gli Austriaci avevano allor allora trucidato il predicatore quaresimale e commesse altre enormità; il predicatore era don Marino Lazzarini: penetrati gli Austriaci per la porta dalla canonica, fecero inginocchiare i preti che incontravano; quindi gridando: Pei preti niente perdono! ne trassero cinque in arresto: altri soldati frattanto, saliti nell'abitazione del Lazzarini, lo stesero al suolo con una fucilata, e poscia, non contenti di quanto avevano fatto, inveirono su quel misero corpo colle punte delle bajonette. Il maggiore de' croati che si trovò presente alla narrazione di quel luttuoso fatto, ne rimase commosso. Invitati poi gli estranei alla Municipalità ed al Consiglio di Guerra a ritirarsi, il Maggiore si ritirò pure.
Calorosa fu la discussione fra i membri del Consiglio di Guerra e Casati; talchè prevalendo le ragioni del Consiglio, il quale aveva per sè le simpatie e la fiducia di tutta la popolazione, dopo un quarto d'ora di discussione Casati fece rientrare il parlamentario di Radetzky e gli parlò nel seguente modo: Signore, non abbiamo potuto metterci d'accordo. Vogliate dunque rappresentare a sua Eccellenza, da una parte i sentimenti della municipalità, e dall'altra quelli dei combattenti, affinchè possa prendere in conseguenza le sue risoluzioni. Grave fu l'impressione prodotta da quelle parole sugli astanti, ben comprendendosi che Casati in tal modo pareva separare la sua causa da quella della città. «Tale dichiarazione, nota uno storico, con la quale Casati separava la sua causa personale da quella dei sollevati, avrebbe posta in pericolo la sua vita, se Cattaneo non l'avesse fatta ignorare al popolo17».
Il maggiore fu allora congedato, ed aspettò in corte che gli si bendassero gli occhi per esser ricondotto fuori delle fortificazioni cittadine; ma non gli si volle porre alcuna benda. Visibilmente commosso dal modo con cui era stato trattato, il maggiore, stringendo la mano ad uno dei cittadini che lo aveva accompagnato, sclamò col suo straniero accento: Addio, brava e valorosa gente!
Altri tentativi d'armistizio vennero fatti anche al Genio, al Comando militare ed al Ponte Vetro; ma non approdarono ad alcuna conclusione, inquantochè il popolo pretendeva che i soldati deponessero le armi.
Il 20 fu giornata di combattimenti; e noi li riepilogheremo in brevi cenni.
A porta Romana alcuni Croati, che si trovavano nella polveriera di S. Apollinare, essendo stati posti in fuga da un drappello di cittadini, riuscirono sul far della notte a fuggirsi nelle ortaglie di Quadronno. Ma inseguiti pur là, il popolo arrestossi alla casa di un ortolano, dalla quale uscivano grida strazianti e invocazioni di pietà: entrativi i cittadini, vi arrestarono cinque Croati, e vi rinvennero orribilmente mutilati una donna e tre suoi adolescenti figli.
A porta Tosa il numero dei combattenti aumentò, e vi compirono atti di grande valore e gravi sacrifizii; rimanendo intrepidi in faccia all'artiglieria che continuamente vomitava palle enormi e mitraglia, stringendo il nemico da tutti i lati, facendo avanzare le barricate mobili. Fuori della porta i contadini fecero altrettanto, tagliando le strade e molestando la truppa. Si combatteva nell'interno lungo il corso, pel borgo di Monforte, nelle ortaglie e nelle contrade circostanti al Conservatorio. I Croati e la cavalleria percorrevano e facevano fuoco dai bastioni, stretti anche là da vivo fuoco di fucileria degli insorti. Due volte il nemico cercò di rinforzare la porta con due altri cannoni che tentava condurre da porta Orientale, ma due volte fu respinto dal continuato fuoco del valoroso cittadino Vernay. L'ingegnere Cardani col conte Archinto figlio, coi fratelli Modorati e con altri perseguitò e danneggiò fortemente la truppa. Finalmente Vernay secondato da una mano di intrepidi popolani tentò l'assalto alla porta Tosa.
A porta Nuova si aumentarono le fortificazioni rivoluzionarie; specialmente in capo alla contrada di S. Giuseppe verso Brera, ove alle ore 8 ant. fu costrutta una barricata per impedir la ritirata alla guardia del Genio e precludere al presidio del Comando militare ogni via di soccorrerla. In seguito i tiratori milanesi, fra le acclamazioni dei cittadini che dalle finestre eccitavanli a combattere, avanzaronsi intrepidi verso il palazzo del comando militare, presidiato da una compagnia di granatieri ungheresi e da un'altra del reggimento Reisinger; e, continuando un vivo fuoco, tentarono l'assalto del palazzo.