Kitabı oku: «L'arte di far debiti», sayfa 3
CAPITOLO VI
Del prestito
Ma lʼarte di scegliersi lʼappartamento difficilmente si insegna. È unʼarte di ispirazione, è uno di quegli istinti ammirabili, che il supremo creatore dellʼuniverso ha concesso ai pochi chiamati.
E qui mi conviene avvertire il piccolo puffista, il puffista di secondo e di terzo ordine, che lʼappartamento, quando non non richiegga una spesa straordinaria (nel qual caso solamente è permesso puffarlo), vuoi essere qualche volta pagato scrupolosamente. – Pagare lʼaffitto di casa con puntualità e sollecitudine, è misura finanziaria della massima importanza per chi vuoi puffare con sicurezza di causa. Con tale misura conquisterete un eccellente alleato per le vostre imprese puffistiche– questo alleato sarà il vostro padrone di casa, a cui si unirà validamente il vostro portinajo, se saprete conciliarvelo con delle mancie generose…
Ma ecco qualcuno sorge a dire: come si si fa quando non si hanno denari, a sostenere queste grandi spese di impianto? Come si pagano i viaggi? il trasporto dei bagagli? gli affitti? le mancie?
Sicuro che del denaro, o poco o molto, bisogna farne circolare; e quandʼuno non ne ha di proprio, deve necessariamente procacciarsene attingendo alla borsa degli altri.
Un puffista che si rispetta non deve trovarsi mai in condizione da non poter far fronte ai pericoli della sua professione. Bisogna che egli abbia sempre nelle tasche il denaro di semenza e il denaro di partenza– o in altri termini: il denaro di ingresso e il denaro di recesso. Non è mestieri che io spieghi il senso di questa rime agli arguti miei lettori.
Come si fa per aver denaro? Ai puffista non si offre altra risorsa che quella di chiederne a prestito.
Guardiamo intorno – esploriamo le fisonomie, studiando i caratteri, calcoliamo le probabilità.
Innanzi tutto, prima di chiedere un prestito, è necessario aver stabilita la certezza che la persona, alla quale siete per ricorrere, possegga la somma. – Domandare dieci mila franchi a chi appena ne possiede mille è la massima delle stoltezze.
Bisogna che la persona alla quale avete intenzione di batter cassa, non possa mai dire con verità: mi spiace tanto, ma non sono in grado di servirvi! Pur troppo (la società è tanto corrotta!) questa risposta vien profferita alcune volte da individui, che potrebbero dare il doppio ed il triplo della somma che loro viene richiesta!
Dopo questo precetto, che ha da formare la base della vostra operazione finanziaria, io vi consiglio di attenervi scrupolosamente alle poche massime generali che qui sotto vi trascrivo.
Astenetevi sempre dal domandare denaro per lettera quando possiate chiederlo a viva voce. Cʼè uno stolto proverbio che dice: la carta non vìen rossa– imbecilli! forse che la faccia di un puffista può cambiar colore più presto che la carta? E vi è forse ragione perchè un puffista abbia ad arrossire nel chiedere dellʼoro ad un suo confratello? – Fosse argento, fosse rame, fosse la vile moneta che si getta allʼaccattone! ma lʼoro!..
E poi: qual maggior prova di amicizia e di stima si può dare ad un uomo che quella, di domandargli in prestito parecchie miliaja di lire?5– Non è lo stesso che dirgli: tu sei ricco, tu sei grande, tu sei potente, tu sei generoso? – Chi avrebbe ragione di arrossire sarebbe il miserabile che non potesse corrispondere degnamente a questa grande prova di fiducia che voi gli avrete accordata – o il vigliacco che non potendo favorirvi, mendicasse delle scuse, o tentasse eludere il vostro nobile disegno colle scappatoje o colle menzogne!6
In linguaggio puffistico, questa operazione finanziaria del chiedere a prestito si chiama stoccata. Sublime parola, che oltre a rappresentare precisamente la idea, rivela anche il modo di tradurla in fatto!
Non si può essere grandi puffisti senza essere ad un tempo grandi stoccatori!
Potete voi concepire un colpo di stocco ben aggiustato e micidiale, se questo non sia stato preceduto da lunga meditazione ed eseguilo con coraggio e risolutezza?
Di tal modo si debbono compiere le stoccate puffistiche.
Stabilita la vittima, convien fissare il momento ed il luogo – e una volta premeditato il piano di attacco, slanciarsi come il falco sul pulcino.
In generale, le stoccate puffistiche, meglio che nelle mattutine, riescono nelle ore pomeridiane, dopo il pranzo, e dopo la digestione. Un uomo che ha ben pranzato e che ha ben digerito versa ordinariamente in una crisi di buon umore, e si riduce facilmente, pel benessere che prova egli stesso, a favorire quello degli altri.
Lanciato il vostro colpo, badate bene che la vittima non si parta da voi collo stocco nelle viscere. Convien ghermirla strettamente, impedirle qualunque movimento, o per lo meno inseguirla fino a tanto che essa non abbia versato il suo contingente di sangue metallico. Una volta che la vittima sia fuggita collo stocco nelle viscere, vi tornerà assai difficile il ghermirla nuovamente. Guai allo stoccatore puffista se il primo colpo gli va fallito!
Le stoccate per sorpresa riescono meglio delle altre, ed io potrei fornirvi, di ciò numerose prove dedotte dalla mia stessa esperienza. Ma per chiudere umoristicamente questo capitolo, vi narrerò di una ingegnosissima stoccata di sorpresa compiuta in Marsiglia da un puffista di quarta classe, il quale peʼ suoi talenti avrebbe potuto aspirare ai primissimi ranghi dellʼordine se lʼindolenza del suo carattere non avesse paralizzate in lui le altissime doti dello spirito.
Lʼarguto puffista si chiamava Napoleone S… e viveva, come si suoi dire, alla giornata, stoccando gli amici e i non amici, i conoscenti e i non conoscenti. Per oltre quarantʼanni egli aveva condotta questa beatissima vita di levarsi ogni mattina senza sapere come avrebbe pranzato e dove avrebbe dormito alla sera. I suoi puff non si erano mai elevati oltre le strette necessità della vita; egli puffava a centellini, puffava a moneta spicciola, e non era meno grande per questo.
Un giorno Napoleone passeggiava sul ponte di Marsiglia a poca distanza da un caffè ove bazzicavano ordinariamente i suoi connazionali. Napoleone era italiano. Lʼora si faceva tarda; nel caffè non cʼerano persone sulle quali il nostro puffista potesse vibrare con effetto la sua stoccata quotidiana!
Che si fa? Lʼappetito si aguzza e con esso anche lʼingegno puffistico.
Ecco un signore sbarcato recentemente da un battello a vapore. Napoleone lo vede per la prima volta, non sa chi sia, nè da qual parte egli venga. Non importa. È un signore riccamente vestito, un signore che, stoccato con garbo, darà necessariamente il suo spruzzo.
Napoleone si fa innanzi, aborda risolutamente la sua vittima, e toccando leggermente il cappello, lo apostrofa con fuoco:
– La senta un poʼ, caro signore: si tratta di una scommessa, della quale bramerei che ella si degnasse farsi arbitro. Se qualcuno… io per esempio… avesse bisogno al momento di un miliardo in numerario; crede lei che sarebbe possibile, raccogliendo tutto il denaro dei banchieri di Marsiglia, mettere insieme questa somma?
– Io… crederei, risponde lʼaltro con un certo sussiego; crederei che per raccogliere una somma così rilevante ci vorrebbero per lo meno cinque o sei giornate e forsʼanche…
– Ebbene: diffalchiamo…! diffalchiamo pure! Se non si trattasse che di cinquecento milioni di franchi?..
– Anche cinquecento milioni di franchi in numerario sarebbe un poʼ difficile trovarli…
– E se uno avesse bisogno di cento milioni?
– Cento milioni… a dir vero…
– Ma via! restringiamo la cosa ai minimi termini… Se non si trattasse che di soli cinque franchi… crede lei che sarebbe difficile… trovare chi li sborsasse prontamente e…?
– Cinque franchi! esclama il forastiero con ingenua meraviglia; ma qual è il miserabile che non possegga cinque franchi? e qualʼè il disgraziato che non troverebbe cinque franchi…?
– Ah! lei mi consola! lei mi risuscita, da morte a vita! esclama a sua volta il puffista mutando registro di voce. Io mi trovo appunto nel caso di aver bisogno cinque franchi per pranzare questʼoggi, e poichè lei è così bene disposto a favorirmeli, profitterò volentieri della sua offerta e le sarò infinitamente obbligato.
Il forastiero, vedendosi preso alle strette, e ammirando dʼaltra parte lʼarguzia dello stratagemma, portò la mano al taschino del gilet, e trattone un bel marengo fiammante, lo lasciò cadere nelle mani dellʼarguto puffista.
Da quel momento Napoleone S… divenne il compagno indivisibile del forestiero, finchè questi si trattenne in Marsiglia; e più volte questi due individui così stranamente collegati da un azzardo puffistico, furono veduti pranzare assieme allʼHotel des Empereurs. Inutile avvertire che il mio Napoleone non fece mai torto al suo nobile carattere di puffista, assumendo, neanche in minima parte la spesa del pranzo!
CAPITOLO VII
Dei Creditori
Quel poeta che lasciò scritto:
Non è credibile
Quanto è terribile
La vista orribile
Dʼun creditor
doveva appartenere, nella gerarchia del regno puffistico, allʼinfima classe.
È vero – la vista di un creditore non è molto aggradevole – val meglio vedere una bella figura di donna, ed anche, per chi si diletta di uniformi, un ussero di Piacenza. Ma il grande puffista, il puffista di prima classe non può mai sgomentarsi dellʼincontro dì un creditore, e in ogni modo, quandʼanche un tale incontro avesse a cagionargli qualche leggiero turbamento, egli saprebbe dissimularlo in tal guisa da non rimanere compromesso.
Fra un creditore ed un debitore che si veggono, la situazione del primo è mille volte più grave e sconfortante di quella del secondo.
Se fosse dato di penetrare in fondo al cuore dellʼuno e dellʼaltro, vi si leggerebbero due voti affatto opposti, ma non ugualmente terribili.
Il creditore, alla vista del suo debitore, è necessariamente assalito da un atroce dubbio: – chi sa se costui potrà pagarmi!
Il debitore, al contrario, pienamente consapevole dei propri mezzi e dei propri intendimenti, può dire con piena sicurezza: – io non pagherò mai!
Ora, chi oserà sostenere che la situazione del primo non sia mille volte più tormentosa che quella del secondo?
Ciò premesso, vediamo brevemente come debba comportarsi un abile puffista a riguardo del suo creditore.
È inutile avvertire che questo ultimo, rappresentando la parte dellʼindividuo compromesso, è costretto usare tutte le cautele, tutte le arti per non compromettersi davantaggio.
Egli non ignora che, per ottenere e facilitare il pagamento, non gli conviene irritare, nè pregiudicare in veruna guisa il suo debitore. – Un abile puffista non deve mai obliare questa circostanza favorevole.
Appoggiato ad una tale considerazione, io ho sempre preferito il sistema di trattare il creditore colle maniere più brusche, ricorrendo anche alle minaccie in caso di reazione troppo viva. – Quanto minori, da parte del creditore, le speranze di risarcirsi, tanto più mansueto e più cortese egli suole mostrarsi, nella paura che, ricorrendo a dei mezzi troppo energici, il debitore si vendichi col non pagarlo.
Lʼuomo che ha un credito da riscuotere somiglia in qualche modo ad un innamorato. Egli ha bisogno dʼilludersi; egli ha bisogno di credere che tosto o tardi incasserà il suo denaro. Non avviene forse lo stesso ad un uomo perdutamente invaghito di qualche beltà capricciosa ed altera? Più questa si mostra sprezzante e crudele, più lʼaltro diventa umile e servile. Che sarebbe di lui, se quella donna sʼirritasse a tal punto, da togliergli il conforto di vederla, di parlarle qualche volta, e di potersi illudere per una mezza promessa o per un mezzo sorriso?
Ai piccoli puffisti, più che ai modi burberi e minacciosi, riescono le facezie e le piccole sorprese.
Anni sono, quando a Milano faceva furore il caffè San Carlo, diretto dallʼincomparabile Beruto, fra gli altri puffisti, che frequentavano il grandioso stabilimento, ci era un tal Mezzocapo, giovane elegantissimo e già consideratissimo, malgrado la sua età ancora fresca, nel grande regno del Puff!– Era già un anno che il signor Beruto teneva aperti i suoi libri di credito a quel bravo e giustamente celeberrimo puffista.
Un bel giorno, il grande e generoso caffettiere, rivedendo le sue addizioni, si accorge che la somma dovutagli dal Mezzocapo è divenuta eccedente, ed ecco il signor Beruto spicca la sua nota, ed il nostro avventuroso puffista si trova in mano una lettera che lo invita al pagamento. – Il giovine non si turba per questo – lancia unʼocchiata altrettanto sicura che sdegnosa alla cifra totale del suo debito – e volto al padrone del caffè un sorrisetto di protezione, gli dice nel tono più affabile: «Aspettate un istante… io aveva già pensato a voi… a momenti ritorno.» Ciò detto, il mio puffista esce dalla bottega, rimane assente per alcuni minuti, e rientrando poco dopo, si accosta nuovamente al Beruto con un piccolo involto nelle mani. – Oh! non cʼera premura! esclama il padrone del caffè, supponendo bonariamente che lʼaltra gli portasse il denaro. – No! no! risponde il Mezzacapo – a me piace che le cose procedano regolarmente… Io ho bisogno che lei continui a tener nota del mio consumo per un altro anno; ma siccome vedo che la nota è già lunga, e che lei potrebbe aver bisogno di penne, così gliene ho procacciato io una piccola scatoletta… Eccole! Sono cento penne in acciajo… della prima qualità… Io credo che le basteranno… in caso diverso mi farò un dovere di portargliene delle altre!» – Lʼargutissimo proprietario del caffè San Carlo fu disarmato da questa facezia, e riaperse le sue partite di credito al puffista fino al giorno in cui questi ebbe ad emigrare da Milano per cause… non politiche.
Sono rarissimi i casi di creditori i quali abbiano avuto la sfrontatezza di aggredire i loro debitori in luogi pubblici e di suscitare, colla loro brutalità, degli inutili scandali. Pure anche il più abile dei puffisti può incorrere un tale pericolo.
In tali casi non vi è che un solo mezzo per salvarsi – opporre sfrontatezza a sfrontatezza, minaccie a minaccie, scandalo a scandalo.
Nellʼanno 1848, allorquando, rientrati gli austriaci, Milano era soggetta agli immani rigori dello stato di assedio, un tal Mauro usurajo si avvisò un bel giorno di aggredire villanamente sotto il Coperchio deʼ Figini un amico e discepolo mio distintissimo, certo Angelo Soderini, grande fabbricatore di puff e di cinti meccanici.
– Ah! vi trovo finalmente… Ora non mi scapperete!.. grida lʼusurajo affrontando villanamente la sua vittima.
– Zitto!.. vi prego… parlate sotto voce! mormora il Soderini con accento supplichevole.
Ma vedendo che lʼaltro non era disposto a smettere il tono di minaccia, e che cʼera pericolo dʼuna brutta scena, il Soderini, pigliando risolutamente il sopravvento e levando a sua volta la voce: «Io vi dico, signore, di ritrattare le brutte parole che avete pronunziate, gli grida – vergogna! insultare al capo dello Stato!.. parlar male del nostro augustissimo e clementissimo Imperatore!.. del nostro caro ed amato Francesco Giuseppe…»
– Cosa cʼentra lʼImperatore? Cosa cʼentra il governo? Chi si è mai sognato di parlare di politica?.. Io vi dico di pagarmi…
– Ed io vi dico di finirla! riprende il Soderini rinforzando la sua voce di tre gradi – ah! voi siete uno di quelli che vorrebbero ancora i Piemontesi!.. voi volete la repubblica!.. Io vi dico che se non la finite di parlar male del governo…
Il tristo usurajo, non riuscendo a soperchiare la voce del suo debitore, e vedendo dʼaltra parte che si avvicinavano due poliziotti, i quali avrebbero potuto arrestarlo come un ribelle, non trovò miglior partito che quello di darsela a gambe, nè mai più da quel giorno egli osò ritentare la barbara prova di esigere i suoi crediti col sistema degli scandali e delle pubbliche minaccie.
Uno dei migliori mezzi per ammansare la belva (e in linguaggio puffistico chiamasi belva il creditore dal giorno in cui questi concepisce lʼassurda idea di farsi pagare) è quello di rincarire la somma del di lui credito, allettandolo colle attrattive di una grossa commissione o sorprendendolo colla richiesta di un maggior prestito.
Mi spiego. – Il vostro creditore viene a farvi una visita – voi lo incontrate per via. Neʼ suoi sguardi, nel tono della sua voce, nellʼesitanza del suo contegno, voi leggete il feroce proposito di presentarvi una nota o di domandarvi un rimborso. Non dategli tempo di avvicinarsi – non permettete chʼegli profferisca una parola – prima chʼegli si metta in posizione di vibrare il terribile colpo, slanciatevi su lui, afferratelo a due mani per la gola, e sbalorditelo con un colpo di testa.
È un sarto? – bravo; ben venuto! vi aspettava… ero sul punto di recarmi da voi! ho bisogno di un paletot, di un soprabito, di tre o quattro pantaloni di capriccio, di una mezza dozzina di gilet… posso io contare sulla vostra sollecitudine?.. e poi cʼè un mio amico… un barone… un marchese… un milionario… che vorrei raccomandarvi. Badate che gli è buon pagatore… ma talvolta, come tutti i grandi signori, fa attendere un poco il denaro… Noi altri non si mette mano alla borsa per delle inezie – dunque: siamo intesi!.. patti chiari… amicizia lunga… e frattanto portatemi le stoffe e servitemi a dovere!
Questo modo di sorprendere il creditore è di un effetto immancabile.
Se si tratta di un creditore che vi abbia prestato denaro, voi non avete a far altro che domandargli una somma tre volte più grande di quella che gli dovete. – Le persone che prestano il loro denaro ad un puffista, sono quasi sempre di una ingenuità adorabile!
Vi narrerò un fatterello che forse potrà sembrarvi incredibile. Io doveva, nei primordi della mia carriera puffistica, la miserabile somma di lire duemila ad un dabben usurajo di droghiere, al quale avevo rilasciata una cambiale.
Quattro o cinque giorni prima della scadenza, il buon uomo si recò a trovarmi una mattina colla intenzione di ricordarmi il mio impegno.
– Voi giungete a proposito! mi affrettai a dirgli con voce desolata, – io stava per recarmi da voi onde pregarvi di un piccolo favore. Fra cinque o sei giorni io debbo pagare duemila franchi per una cambiale da me accettata or faranno due mesi in favore di qualcuno… di cui non mi ricordo il nome. Io so di dovere questa somma… ho notato sul mio portafogli lʼepoca della scadenza, ma per quanto io vi abbia pensato, non sono riuscito a sovvenirmi della persona che mi ha dato quel denaro..». Orbene, in seguito ad una grave perdita di giuoco, io mi trovo sprovveduto pel momento… e vi assicuro che se io non potessi soddisfare al mio impegno per lʼepoca fissa, ne morirei di vergogna!.. Figuratevi!.. Disonorarmi!.. perdere il credito per una miseria di duemila franchi – un par mio! – un cavaliere di onore!.. Alle spiccie: potete voi prestarmi cinque o sei mila lire da restituirvi fra una ventina di giorni?
– Ma la cambiale di cui parlate è forse quella che io tengo in mano… e che avete accettato in mio favore or saranno sei mesi…
– Dite davvero?.. Possibile!.. Ah!.. voi mi date la vita!.. Ed io che credeva… Ma sicuro!.. Vedete se io sono uno smemorato… Siete voi… proprio voi… che mi ha fatto avere quelle due mila lire saranno appunto sei mesi… Non potete credere come io mi senta sollevato da questa notizia!..
Così parlando mi gettai nelle braccia del mio droghiere, e lo baciai in fronte più volte come fosse il mio angelo salvatore.
Dopo molte parole da una parte e dallʼaltra, insistendo io nel chiedergli il nuovo prestito di cinquemila franchi, egli mi usci fuori con questa ingenua domanda: «ma e la cambiale che scade il giorno quindici, siete voi disposto a pagarla»?
– Se sono disposto! – credete voi che se non avessi intenzione di pagarla, ricorrerei alla vostra gentilezza per la somma in questione?.. Ma è appunto per far onore alla mia firma, per mostrarmi, quale fui sempre, uomo leale ed esatto, che ora chieggo questo piccolo prestito di cinque mila franchi.
Il dabben uomo, credendo scorgere in questo tratto una prova irrefragabile della mia onestà e puntualità commerciale, non si fece altro pregare ad accordarmi il favore richiesto.
In quel giorno stesso io ebbi dal droghiere lʼintera somma, della quale una parte mi servì poi a pagare la cambiale che egli venne a presentarmi dopo cinque giorni, e lʼaltra parte mi servì di base ad un grande piano puffistico, del quale sarebbe troppo lungo il parlare.
Io chiuderò questo capitolo riportando tre versi, che un puffista assennato deve sempre aver presenti ogni qualvolta gli venga sporta una nota da pagare o chiesta la restituzione di un capitale tolto a prestito:
A pagar non sii corrente,
Potrìa nascer lʼaccidente
Che finissi col pagar niente.
Sono versi un poʼ volgari, ed anzi lʼultima cresce di un piede.
Questo piede che cresce, potreste allʼoccasione regalarlo alle natiche dei vostri creditori. – A giudizio di molti pratici, questo è ancora il miglior modo per sbarazzarsi della vile genia!
Ecco di che si trattava:
«Mio caro D.…,
«Oggi ricorre lʼanniversario della mia nascita, è il giorno delle ricordanze soavi, il giorno delle dolci espansioni. Voglio, allʼora del pranzo, avere intorno alla mia mensa tutte le persone a me care. Ho invitato i parenti e gli amici – nessuno mancherà. Orbene: Che vuoi? Questa mattina appunto mi venne detto che tu eri a Milano. Ho provato una stretta al cuore. E il primo pensiero che mi sovvenne fu questo: anchʼegli… una volta… era deʼ nostri!.. Non ho saputo resistere… Ho preso la penna e ti ho scritto..; Via! Ti stendo la mano… Confesso dʼaver avuto dei torti… Forse qualche torto… vi fu anche da parte tua… Ma dunque? Sʼha proprio da troncare una vecchia amicizia…! Qua la mano, mio buon Peppo; prometti che oggi alle quattro (alle quattro precise, bada bene – poichè i risi alla veneziana, che ti piacciono tanto, non mancheranno) tu sarai qui, seduto alla mia tavola al posto dʼonore… al fianco mio, al fianco di mia moglie, in mezzo ad una corona di amici che brinderanno alla nostra riconciliazione. Tu verrai… tu sarai dei nostri, non è vero? – Due soli motti al fattorino – ed io conterò questo fra i più lieti anniversarii della mia vita.
«Col cuore, proprio col cuore:
«Tuo affez. X.» Una strana commozione si impossessò di me al leggere quello scritto – tu sai come Dio mi ha fatto – ho proprio sentito una lacrima scorrermi sulle guancie. – Il mio buon… X! Ma presto!.. chʼegli non soffra… nellʼincertezza! – Detti mano alla penna e vergai di fretta la risposta:
«Mio caro X.…,
«Ma… figurati!.. toccava a me…! tutti i torti eran miei… ti domando mille scuse… Non dubitare… Alle quattro sarò da te… Ah! sʼio sapessi di qual modo attestarti la mia gioja, la mia riconoscenza!.. Chiedi, domanda… Io sono ancora lʼamico di una volta!.. Oggi… a tavola discorreremo… Non dubitare… sarò esatto… Hai pensato anche ai risi…! Bravo amicone! A ben vederci, fra poche ore… Intanto quattro baci grossi… grossi… di quelli che vanno in fondo dellʼanima dal
«Tutto tuo G. B.» Consegnai la risposta al fattorino, che partì come una freccia. Ero proprio contento. Saltellavo per la stanza come avessi guadagnata un terno al lotto – e già avevo divisato di spendere una trentina di lire per un bel mazzo di fiori da inviare alla signora, quando il fattorino mi comparve di nuovo nella stanza e mi porse unʼaltra lettera dellʼamico:
«Mio amatissimo G. B.,
Non puoi immaginare qual festa abbiamo fatto, mia moglie ed io, al leggere la tua amabile risposta! Sempre pari a te stesso!.. Una gran mente e un gran cuore! – Vuoi subito una prova della fede che noi riponiamo nella tua schiettezza e nella tua generosità? Tu mi scrivi laconicamente: chiedi, domanda… Ed io, senza esitare un istante, chiedo… domando. Puoi tu farmi avere, dentro oggi, prima delle quattro, un biglietto da lire cinquecento? Tu lo puoi, senza dubbio, e quindi me li spedirai subito a mezzo del fattorino… Dopo questo, a rivederci alle quattro. Ti prepariamo una ovazione.
«Il tutto tuo, ecc.» Tutto caldo, comʼero, di entusiastica commozione, chiusi, senzʼaltro riflettere, in un involto la piccola somma e la inviai allʼamico. Poi, alle quattro, mi recai, come avevo promesso, a pranzare da lui. Dio! quali feste! quale accoglienza da parte di tutti! Fui collocato al posto dʼonore. Fui colmato di amorevolezze. Alla frutta, cominciarono i brindisi e le declamazioni. Ma al momento, in cui lʼallegria generale, fomentata dallo sciampagna, toccava il colmo, una cupa tristezza si aggravò sul mio spirito, il sorriso si dileguò dal mio labbro, divenni mutolo ed imbronciato. Non riuscivo di cavarmi dalla mente questa idea fissa: Questo pranzo eccellente, questi vini squisitissimi, sei tu, o minchione, che li ha pagati – e forse lʼamico si burla di te nel segreto del cuore, e ride della tua dabbenaggine!
Ed ecco di qual maniera, un grande ed esperto puffista può, anche a mezzo dellʼepistolario, spostare le banconote a suo vantaggio ed a gloria dellʼarte.
Egli rimase allʼalbergo di C… in attesa delle lire cinquecento, e verso la metà di giugno io ricevetti a Lione una sua lettera dove mi annunziava che lʼinfame Roux, mancando alla data promessa, non gli aveva ancora pagate le cinquecento lire, e chʼegli contava trascinare quel vile dinanzi ai tribunali, mettendo a suo carico gli interessi e domandando il risarcimento dei danni materiali e morali a lui derivati dal mancato pagamento. Più tardi mi venne riferito che il signor Roux, per liberarsi da quella noja pagò le cinquecento lire e a proprie spese provvide a che il celebre suonatore di duetti classici partisse per Marsiglia.