Kitabı oku: «L'arte di far debiti», sayfa 4
CAPITOLO ULTIMO
Ciò che abbiamo stampato fin qui, è opera di Roboamo Puffista, di quel grande e insuperabile piantatore di puff, che ha lasciato nelle più vaste e popolose metropoli di Europa unʼorma incancellabile del suo passaggio. – Lʼesistenza di questʼuomo insigne fu pari a quella di certi serpenti che, a dire dei naturalisti, dappertutto ove strisciano abbruciano lʼerbe.
È doloroso che questo filosofo profondo non abbia potuto compiere il suo libro, rapito, comʼegli fu, da morte immatura nellʼospedale dei Frati Fate-bene-fratelli.
Lʼultime parole chʼegli ebbe a profferire al termine di unʼagonia dolce e serena, come suol essere quella degli uomini giusti che hanno impiegato degnamente la loro esistenza o che sono certi di lasciare una indelebile ricordanza alla posterità, furono le due strofe che qui riportiamo:
Vissi puffando il prossimo;
Ora, a morir vicino,
Vorrei puffar le esequie
Al prete ed al becchino:
Genio del puff assistimi!
Che dʼogni impresa mia
Questa è la più difficile,
Puffar la sagrestia!
Con questi versi sul labbro, moriva Roboamo Puffista. Come ognun vede, fino agli ultimi istanti della vita, questʼuomo ammirabile si mantenne fedele alla santa causa del puff!
Egli fu sepolto senza pompa, nel silenzio della notte. I suoi correligionarii non seppero della sua morte che quando non erano più in tempo a prestargli i dovuti onori. Se i fratelli fossero stati avvertiti in tempo debito – noi avremmo veduto quanto vi ha di meglio in Milano, nellʼalta aristocrazia del blasone, del commercio, dellʼindustria, delle scienze, delle lettere e delle arti, accompagnare allʼultima dimora il confratello…puffista!
Povero Roboamo! che i creditori ti siano leggieri!
FINE
TUTTI LADRI
COMMEDIA IN TRE ATTI
AVVERTIMENTO DELLʼAUTORE
A nessun capocomico (giova sperarlo) verrà mai lʼaudace pensiero di far rappresentare in teatro la presente commedia. Sarebbe un fiasco da far inorridire lʼEuropa.
Per impedire un simile attentato, ho moltipliplicato i personaggi, e interrompendo lo svolgimento drammatico con monologhi e dialoghi ad arte prolissi ho profittato di parecchi episodii superflui per sbizzarirmi nella dimostrazione di una tesi che i più indulgenti chiameranno nefanda.
Tutti Ladri!!!—Ma tu parli da burla? domanderà qualche amico. – Mille volte perdono! io parlo del miglior senno– Tutti ladri.
– Nella tua commedia, vorrai dire.
– Nella grande commedia della società umana—rispondo io, senza punto esitare. E tu, mio ottimo amico, dovrai naturalmente soggiungere: lapidiamolo!
– Lapidiamolo!—ecco signori capocomici, quale sarebbe il verdetto del pubblico, se mai dovesse, per un vostro esiziale abberramento, rappresentarsi la mia commedia davanti e quel consesso di ipocriti che chiamasi il pubblico.
Che volete? la parola mi è sfuggita, nè mi indurrei per tutto lʼoro del mondo a cancellarla.
– Il pubblico sarà davvero, come suoi chiamarsi un ente rispettabilissimo e moralissimo; ma esso, mi ebbe sempre lʼaria di un don Basilio, o per dirla più schietta, dʼun gesuita, anzichè di un libero pensatore e di uno schietto galantuomo.
Ciò si deve in buona parte alla pessima educazione che egli ricevette pel corso di più secoli dagli autori drammatici e dai critici dellʼarte.
Allorquando, anni sono fu data a Trieste lʼopera Gli Avventurieri (e la presente commedia è in parte desunta da un mio libretto che porta un tal titolo), i giornalisti di colà, fedelissimi interpreti della pubblica opinione, levarono sì alte grida per la immoralità della catastrofe, che io feci giuramento di non recarmi giammai in quella città per paura di esservi arrestato come un manutengolo di ladri. —Quale orrore!—Un libretto dʼopera, dove il protagonista, dopo aver commesso parecchi furti, riesce ad imbarcarsi sur un legno mercantile colla probabilità di approdare in Africa sano e salvo col suo grosso bottino! Ciò è contrario a tutte le leggi della morale: non è vero?—Ed ecco il delitto del librettista.
In teatro ci vuol ben altro.—In teatro, le duecento signore che a lato dei becchi mariti assistono alla commedia, vogliono che lʼadulterio sia punito dalla separazione, dallʼinfamia, o meglio, da una palla di piombo.—I duecento o trecento ladri arricchiti che assisi nei palchi e nelle sedie fisse si arricciano i mustacchi col guanto, impietrirebbero di raccapriccio se un meschino tagliaborse del palco scenico non cadesse regolarmente allʼultimo atto nelle mani della regia Procura. Si vuole ad ogni costo che nel mondo della luna (parlo del palco scenico) avvenga il contrario di ciò che ordinariamente si verifica nel mondo reale.
Tiriamo dunque innanzi…
Tiriamo innanzi? – signori no? – Per mio conto, ne arrossirei. Il teatro appartiene ai mistificatori – chi vuoi fare della ipocrisia, sa dove trovare degli ipocriti sempre disposti ad applaudire.
Se qualcuno venisse a dirmi: opera il bene e rifuggi dal male, perocchè o tosto o tardi la virtù trionfa e il vizio è punito; gli risponderei a bruciapelo: tu sei un impudente che mentisci sapendo di mentire. Orbene: questa gaglioffa e codarda menzogna la si vuoi ripetuta ogni sera dal proscenio, sotto comminatoria, per chi ardisce emanciparsi, di sentirsi fischiato e insultato come un pervertitore del pubblico.
Pensi ognuno come vuole; quanto a me, sono e sarò sempre dʼopinione che il vero, il solo vero è morale; e fermo in questa massima, non vorrò mai prestarmi alla sporca e ridicola ciurmeria che da secoli si vien perpetrando sulle scene teatrali.
La presente commedia è dunque un atto di ribellione contro il sistema. Tutti i miei ladri (ne prevengo la questura) qui passeggeranno impuniti, e la sola azione veramente onesta che vedrem compiersi nel corso dei tre atti, sarà premiata… colla prigionia.
Fischieranno i lettori, come indubbiamente fischierebbe la massa dei ladri se vedesse riprodursi in teatro questo intreccio di ruberie? – È ciò chʼio probabilmente non saprò mai. Ma se alcuno avesse la sfrontatezza di venirmi a dire sulla faccia: la tua tesi è una menzogna e la tua commedia è uno scandalo; mi terrei certo di non coglier in fallo rispondendogli: e tu sei uno di quelli che han letto il mio volume senza pagarlo, e mʼhai rubato una lira.
A. G.
PERSONAGGI
Marco Dubois, albergatore. È un uomo di buona pasta, di circa sessantanni.
Giacinto, suo figlio, bel ragazzo, di circa ventidue anni. Carattere ingenuo; abbigliamenti e modi da provinciale facoltoso.
Tommaso, ricco affittajuolo, fratello di Marco.
Clementina, figlia di Tommaso. – Beltà campagnuola; indole onesta.
Roberto, Cavaliere di industria. – Età, dai quarantacinque ai cinquantanni. Bellezza logorata, molta vigoria di corpo; eleganza di acconciatura e di abbigliamento, molta disinvoltura di maniere. Parla con affettazione, ostentando una giovialità che è tutta nelle parole e nella epidermide. Ingegno robusto, malizia profonda; vero e sentito disprezzo della umanità.
Frontino, altro cavaliere di industria, meno audace di Roberto e alquanto irresoluto. Costituzione gracile, temperamento linfatico. Briccone per caso, nato ad esser complice, non mai iniziatore.
Deianira, avventuriera da città capitale, che ha tutte le apparenze della gran dama. Veste con eleganza alquanto caricata – è giovane, è bella, audacissima.
Armellina, altra avventuriera, meno intraprendente, che vive di riflesso.
Cavillo, avvocato.
Un sergente di città. – Soldati. – Un cocchiere. – Un garzone da osteria. – Un guattero. – Viaggiatori. – Famigli di Marco – Signori e Dame di Parigi.
Lʼazione si svolge a Çette, città marittima della Francia nellʼatto primo e terzo; nel secondo a Parigi.
Vestiario dellʼepoca attuale
ATTO PRIMO
SCENA I
La scena rappresenta un cortile da albergo. Nel mezzo, la porta maggiore; ai due lati le porte che mettono nelle sale.
Giacinto, Marco, Camerieri,
più tardi, alcuni forestieri in abito da viaggio
Marco (a Giacinto ed ai camerieri) Spicciatevi!.. Mezzogiorno è suonato; a momenti avremo una invasione di forestieri.
Giac. (allʼorecchio di Marco) Credi tu che lo zio arriverà con questa corsa?
Marco – Non ne dubito; e la tua amabile cugina sarà con lui. Si parlerà del vostro matrimonio, e, ciò che più preme, Tommaso mi rimborserà il denaro che ho speso per lui… Non dimenticarti che il calessino lʼho pagato trenta marenghi…
Giac. – Ti inganni, papà!.. Quel pagamento lʼho fatto io, e so di aver contate al fabbricatore Dubourg trecento sessanta lire in argento…
Marco – Imbecille!
Giac. – Papà?..
Marco – Oh, che? temeresti di perdere lʼappetito o di malarti di itterizia, se tuo padre in questo affare guadagnasse una dozzina di napoleoni dʼoro?..
Giac. – Io pensava che se lo zio venisse a sapere… se lo zio parlasse col Dubourg…
Marco – Tuo zio non saprà nulla… Quellʼasino di Dubourg è fallito da due mesi e ha preso il largo per la California…
Giac. – In tal caso, non ho più nulla che dire…
Marco – Quel calesse val bene quaranta marenghi – mi hai capito?
(Entrano in scena alcuni forestieri giunti colla ferrovia)
Un Forest. – Ehi! padrone!.. locandiere! vi sono camere in libertà?
Un Altro – Dovʼè la sala da pranzo?
Marco – Signori… per di qua!.. entrino pure!.. Vi sono camere per tutti.
(I forestieri entrano nelle sale).
Un Bromista – (ad un forestiere) Ehi! quel signore!.. Se ne va senza pagare la vettura?..
For. – (Maledetto! – sperava sfuggirgli tra la folla!) (al cocchiere, bruscamente) Diamine! Mʼhai preso per un ladro? Eccoti cinque lire!.. Spicciati a darmi il resto!..
(Il cocchiere gli conta le monete sulla mano, trattenendogli cinquanta centesimi al di sopra della tariffa e si allontana rapidamente)
For. – (contando) Cinquanta centesimi di meno! Son ladri questi cocchieri! Non importa! Mi sono liberato di un vecchio scudo svizzero che non ha corso… (entra nella locanda).
SCENA II
Tommaso. Clementina, indi Roberto e Frontino che si trattengono in fondo al cortile
Marco (correndo ad abbracciare Tommaso e Clementina) Fratello! nipote! evviva!
Tomm. – Ebbene: qua un abbraccio! come va la salute?
Giac. – (a Clementina) Come sta, signora Clementina?
Clem. (inchinandosi timidamente) Signore… ho lʼonore… ho il piacere…
Marco – Via! Che razza di maniere! quale sussiego! abbraccia tua cugina! E tu (volgendosi a Tommaso) consegna la tua borsa al garzone…
Tomm. – (ritirando la borsa) Adagio? Ci è della roba morta qui dentro, mi capisci? Quando si viene alla fiera, si è provveduti… E… poi… lo sai bene, abbiamo dei conti da regolare fra noi.
Marco – Ah! vuoi parlare del calessino!.. Abbiamo incontrato il tuo genio…? Sei contento…?
Tomm. – Contentissimo…
Marco – Solido… comodo: elegante… e a buon patto… (alzando la voce) Con cinquanta marenghi, somma tonda, ti netti la coscienza…
Tomm. – Cinquanta marenghi! poca roba!.. (Li aspetterai un bel pezzo).
Marco – (facendo lʼatto di togliergli il sacco dalle mani) Consegna a me i tuoi tesori… o piuttosto, vieni tu stesso a deporti nel mio gabinetto; così lasceremo un poʼ soli questi due ragazzi… che forse prenderanno coraggio…
Tomm. – (a Clementina) Attendimi qui… Tuo cugino ti terrà compagnia per pochi istanti…
(Tommaso e Marco entrano insieme nelle sale – Roberto e Frontino si avanzano)
SCENA III
Clementina, Giacinto
Giac. – Dunque… Clementina… voi sapete… che nostro padre… cioè nostro zio… cioè… voleva dire… A che ora siete partiti da Montpellier?
Clem. – Col convoglio delle undici e cinque!
Giac. – Che bestia!.. Le son domande? Poichè siete arrivati a mezzogiorno… Voi dovete esser stanca del viaggio.
Clem. – Eh! niente affatto…! Al contrario… il viaggio è tanto breve…!
Giac. – Sicuramente! Un viaggio di unʼora non può stancare… (da sè, imbarazzato) Quanto tardano a tornare…!
Clem. (da sè) E non dice una parola del nostro matrimonio! A quanto pare, signor Giacinto, voi non vi aspettavate la nostra visita.
Giac. – Oh! che mai dite? già da tre giorni abbiamo apparecchiato le camere…
Clem. – Mio padre vi aveva dunque scritto di quel suo… progetto?..
Giac. – Certamente! Dei progetti ve ne hanno parecchi, ed io spero, anzi non dubito, che qualche cosa si combinerà…
SCENA IV
Marco, Tommaso e detti
Marco – Non si perda altro tempo! Mentre là dentro si prepara il pranzo, faremo insieme una passeggiata sulla fiera.
Tomm. – Andiamo!
Marco (offrendo il braccio a Clementina) Qua…! il tuo braccio, figliuola! Pur questa volta bisogna che ti contenti del vecchio papà. Giacinto resterà qui a sorvegliare la locanda.
Clem. (a Giacinto) A rivederci, signor cugino!
Giac. (a Clementina) A rivederci?
Marco – Fra unʼora saremo di ritorno.
(Giacinto entra nelle sale).
Tomm. (a Marco, dopo essersi incontrato in Roberto e Frontino) Tu credi dunque che la mia borsa…?
Marco – Fuori di Giacinto nessuno ha la chiave del mio gabinetto, e quel ragazzo ha un odorato sì fino pei birboni e pei ladri…
Tomm. – Basta! poichè tu mi sei garante… Andiamo Clementina!..
(escono).
SCENA V
Roberto, Frontino, indi un cameriere
Rob. – Frontino! non farmi lʼasino! Hai tu letto mai nelle istorie che qualcuno abbia compiuto delle imprese utili e grandi a stomaco digiuno? (battendo sulla tavola col bastone e gridando a tutta voce) Olà! famigli! garzoni! guatteri! bestie! In che mondo siamo? (sottovoce) Senti, Frontino, come la mia bella voce da baritono si è fatta rantolosa!.. Gran segno di appetito!.. Saresti tu abbastanza compiacente, qualora io ti invitassi a far meco un buon pranzo, da accettare senza obiezioni di sorta?..
Front. – Un buon pranzo! si fa presto a…
Rob. (interrompendolo) Silenzio, bestione! Ecco il cameriere…
Cam. – Hanno chiamato, signori?
Rob. – Dieci volte per lo meno.
Cam. – In che possiamo obbedirla?
Front. – Per mio conto… io direi…
Rob. – Avanzati, subalterno! Tu mʼhai un viso che promette… Sentiamo un poʼ cosa sapresti offrirci per stimolare il nostro appetito! Rifletti bene che siamo arrivati a Montpellier collʼultimo convoglio, e naturalmente, prima di metterci in viaggio, abbiamo consumato una eccellente colazione allʼalbergo della Corona dʼOro… Vero figliuolo del mezzogiorno, tu già comprendi che se a noi piace di rimetterci a tavola, lo facciamo al solo scopo di procurarci un mezzo innocentissimo di distrazione, che non sia quello di sfidare in sulla piazza gli spintoni dei villani e le pedate dei cavalli… Aggiungi pure che, nella nostra qualità di individui privilegiati, noi comprendiamo i doveri della nostra posizione, che son quelli di favorire il commercio, consumando, in fatto di comestibili, quanto il nostro stomaco può comportare di più squisito e quindi di più costoso. Lode alla provvidenza, i nostri apparecchi organici a ciò destinati rispondono alle alte e generose espansioni dei nostri appetiti. – Mi hai tu compreso, o amabilissimo figlio del popolo?
Cam. – Signore: non credo esagerare affermandole che in questo albergo vi è tutto che può desiderare un forastiero della vostra condizione… Ella potrà trovar qui ciò che si ha di meglio nelle più rinomate trattorie della centrale.
Rob. – Sentiamo!
Cam. – Vuol funghi? Trifole? Ragoste? Un pasticcio di Strasburgo?..
Rob. – A te, Frontino! Interpreta i miei desideri – ed emana sollecitamente i tuoi ordini a questo bravo garzone!
Front. – Ma… io?..
Rob. – Coraggio, nobile amico!
Front. – Ebbene: un mezzo pollo dʼIndia… o qualche altra inezia… tanto da snodare i denti… Ho sempre inteso dire che lʼappetito viene mangiando…
Rob. – A meraviglia… (al garzone) Tu hai capito… Vattene… fa di sbrigarti… e bada di servirci in una sala riservata! Prendi (gli dà una moneta) e se farai le cose a dovere…
Cam. (da sè) Due franchi! Ecco dei signori rispettabili!
Front. (al garzone) Dunque… vuoi servirci?
Cam. – (esitando) Vado e ritorno…! (da sè riponendo la moneta nelle tasche) Sarei minchione se gettassi questo danaro nella cassetta delle mancie!
(esce).
Front. (a Roberto, sul davanti della scena) Vedo che sei stanco di respirare allʼaperto… Noi ci perderemo…
Rob. – Ecco una ipotesi di cattivo gusto… Io mi arresto al concreto e ti dico solennemente che… noi pranzeremo.
Front. – Sì… ma al momento di pagare…
Rob. – Pagheremo…!
Front. (col massimo stupore) Tu possiedi del denaro…!
Rob. – I miei ultimi spiccioli li ho immolati a quel bravo garzone… Quante volte dovrò ripeterlo che gli uomini di genio, i grandi speculatori, sono quelli che vivono col denaro degli altri…?
Front. – silenzio!
Rob. (volgendosi) Una dama!..
Front. – Una gran dama!..
Rob. – Possibile!.. La nostra Deianira!..
SCENA VI
Deianira. Armellina
Deian. (scendendo da un brougham) Vieni, Armellina!.. (al cocchiere) Tornerai fra unʼora colla carrozza… Frattanto faremo colazione in questa locanda…
Arm. (al cocchiere) Hai capito?.. La signora baronessa ti ha ordinato di tornare fra unʼora… (il veicolo parte).
Rob. – Baronessa! caspita!.. è salita… (inchinandosi con affettazione) Servo umilissimo della signora baronessa…!
Deian. – Roberto!!..
Fron. – Ai vostri ordini, signora baronessa…
Deian. – Fortunatissima del felice incontro…
Rob. – Qual buon vento vi ha portato alla fiera di Çette?..
Deian. – Un vento favorevolissimo senza dubbio. Allorquando quei due pianeti luminosi che si chiamano Roberto De-Foy e Deianira De-Cristen vengono ad incontrarsi e ad urtarsi…
Rob. – La terra risente una scossa… gli abissi si spalancano, e lʼumanità imbecillita straluna gli occhi in attesa di un grande miracolo…
Deian. – Ed è appunto un miracolo che ora sul momento convien operare… (sospirando) Roberto!.. La tua fedele e appassionata Deianira è… al verde…!
Rob. – Bisogna metterla al giallo, non è vero?
Deian. – Sei un mostro di intelligenza!.. Disponi fin dʼora di tutti i miei talenti di donna – e tu sai che io ne ho di molti.
Rob. – Senza quelli che andrai acquistando colla pratica. Ma, fine alle chiacchere – è tempo di agire…! – Deianira, ami tu i luigi dʼoro?..
Deian. – (scherzando).
Di quellʼamor che è palpito
Dellʼuniverso intero…
Ma dove trovarne?..
Rob. – Non occorre andar lontano. – Un compiacentissimo convoglio di ferrovia ne ha scaricati in buon numero…
Deian. – E sono?..
Rob. (accennando il gabinetto) Là…
Deian. – Vicinissimi…
Rob. – Non quanto basta per dirli nostri. La chiave del gabinetto è in potere di un vile tiranno…
Deian. E questo tiranno…?
Rob. – È il figlio del padrone della locanda…
Deian. – Dammi lʼuomo nelle mani, e in mezzʼora io ti darò la chiave…
Rob. – Sublime! (abbracciandola) E qualʼaltra missione ha sulla terra, la donna fuor quella di svolgere a suo beneplacito le chiavi dei cuori… e delle serrature?
Deian. – Zitto! Ecco lʼuomo della chiave! (dopo aver lanciato a Giacinto unʼocchiata rapidissima) Un merlo di buona specie!.. Secondatemi!
SCENA VII
Giacinto e detti
Giac. – Signori: il pranzo è servito (vedendo Deianira) Oh! la bella dama!.. Io veniva…
Rob. – Avanzati, Frontino…! Poichè la nostra eccellentissima padrona lo permette…
Deian. – Un momento!.. aspettate! (volgendosi a Giacinto con civetteria) Vieni qua, gentil garzone!.. tu sei dunque?..
Giac. – Il figlio del padrone, per obbedirla!.. (da sè) Una baronessa!..
Deian. – II tuo aspetto geniale, i tuoi bei modi, mi ispirano fiducia. Ascoltami bene (cavando di tasca un portafoglio). In questo portafoglio si contengono circa ventimila franchi… Una inezia! Ma vorrei fossero riposti in luogo sicuro…
Giac. – Li porterò, se credete, nel gabinetto di mio padre…
Deian. – (facendo lʼatto di consegnare il portafoglio a Giacinto e guardandolo con espressione) Basta! Mi fido di te… La tua fisonomia non può ingannare (sottovoce) Tre volte merlo!..
Giac. – Oh, troppo buona, sig. baronessa…!
Deian. – Ecco! (trattenendosi) Ma no… aspetta… Se qualcun altro volesse incaricarsi… (accennando a Roberto) se il mio segretario…
Rob. (avvicinandosi) Comandi, baronessa!
Deian. (a Giacinto stringendogli la mano) Avresti qualche garzone fidato da mandare con lui?
Giac. (forte) Ehi, di là! Giovanni! (esce un cameriere) Accompagna questo signore nel gabinetto di mio padre.
Deian. (consegnando a Roberto il portafoglio) Bada che questa piccola somma sia posta in luogo sicuro…
Rob. – Non la dubiti, baronessa!
Front. – La signora baronessa, non ha ordini per me?
Deian. (fingendo impazientarsi) Che noja lʼaver dei domestici! Andate, andate tutti!
Giac. (inchinandosi per partire) Signora baronessa…
Deian. (con espressione) Te ne vai?.. Se io ti pregassi di rimanere?..