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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 3», sayfa 27

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Si dimostra ciò ancora dalle leggi proprie, che ritenne, le quali non furono comuni con quelle della Sicilia, che si governava con leggi particolari; poichè queste nostre province anche da poi che furono ridotte in forma di Regno sotto Ruggiero, non riconobbero altre leggi, che le longobarde, e secondo le medesime si amministravano, le quali non ebbero autorità, nè alcun uso nella Sicilia, che non fu da' Longobardi mai acquistata, per non aver avute questa Nazione forze marittime, siccome l'ebbero i Normanni; onde il lor vigore non s'estese mai oltre il Faro. Così ciascun Regno avea leggi proprie, e secondo le medesime ciascun si regolava independentemente dall'altro; e ciascuna di queste province avea il suo Giustiziero co' suoi Tribunali, nè le cause quivi decise si portavano per appellazione in Palermo, quasi che ivi vi fosse un Tribunale superiore a tutti gli altri, ma restavano tutte in esse, come diremo più partitamente quinci a poco, quando degli ufficj della Corona farem parola.

E se tra le nostre antiche memorie non abbiamo, che Ruggiero o altro suo successor normanno avesse mandato nel Regno di Puglia alcun Vicerè, che avesse avuto il governo generale di tutto il Reame, come si praticò da poi negli ultimi tempi da' Principi d'altre Nazioni; ciò non fu per altro, se non perchè Ruggiero, e' due Guglielmi suoi successori solevano molto spesso in Salerno venire a risedere, ed anche perchè il lor costume era di creare i figliuoli della lor Casa regale, o Duchi di Puglia, o Principi di Capua o di Taranto, ed a' medesimi perciò commettere il governo de' Ducati o Principati a lor conceduti, siccome fece appunto Ruggiero, il quale ritiratosi a Palermo, lasciò il governo di queste province a' due suoi figliuoli, a Ruggiero Duca di Puglia, e ad Anfuso Principe di Capua.

Ma siccome è vero, che il Regno di Puglia fu independente da quello di Sicilia, e che avea leggi e Magistrati particolari, così ancora non può negarsi, che le leggi che Ruggiero stabilì in questo tempo, ed i supremi Ufficiali della Corona, che a somiglianza del Regno di Francia v'introdusse, furono comuni ad ambedue; essendo noto, che gli Ufficiali della Corona erano destinati così per l'uno, che per l'altro Reame; e così fu osservato finchè l'isola di Sicilia si sottrasse da' Re angioini, e si diede sotto il governo de' Re aragonesi, come vedremo nel corso di questa Istoria.

CAPITOLO V
Delle leggi di Ruggiero I, Re di Sicilia

Ruggiero adunque essendo in cotal guisa con presta e maravigliosa fortuna divenuto tanto e sì potente Re, avendo debellati i suoi nemici, e ridotte sotto la sua ubbidienza le province ribellanti, pensò per via di molte utili e provvide leggi ridurle in quiete, dalla quale per le tante e continue guerre erano state assai tempo lontane.

Si governavano queste province, come tante volte si è detto, colle antiche leggi romane già quasi spente, e ritenute per tradizione più tosto, e come antiche usanze, che per leggi scritte. Le dominanti erano le leggi longobarde, le quali appresso i Normanni restarono intatte, e con molta religione osservate: e con tutto che si fossero in Amalfi ritrovate le Pandette, ed in alcune Accademie d'Italia, e precisamente in Bologna, si cominciassero per opra d'Irnerio a leggersi, ed il Codice colle Novelle di Giustiniano non fossero cotanto ignote; nulladimanco Ruggiero non permise, che ne' suoi dominj questi libri avessero autorità alcuna, ma alle leggi longobarde era dato tutto il vigore, e quelle solo s'allegavano nel Foro, e per esse si decidevano le controversie: di che n'abbiamo un illustre monumento, che mette in chiaro questa verità, perch'essendo insorta in quest'istessi tempi di Ruggiero nell'anno 1140 lite tra il monastero di S. Michele Arcangelo ad Formam presso Capua, e Pietro Girardi di Madaloni, pretendendo i Monaci di quel monastero aversi il suddetto Pietro occupato un territorio ne' lor confini, che dicevano appartenersi al monastero, fu prima la causa conosciuta da Riccardo, e da Leone Giudici di Madaloni, e da poi fu decisa in Capua, da essi e da' Giudici capuani, secondo ciò che Ebolo regio Camerario di Capua avea ordinato; e la sentenza fu profferita a favor del monastero dopo essersi fatto l'accesso sul luogo controvertito, dopo prodotti gli istromenti, e dopo esaminati alcuni testimonj; e fu trattata secondo ciò che le leggi longobarde stabilivano, e decisa a tenor delle medesime leggi, come può osservarsi dall'istromento della sentenza, che a futura memoria de' posteri, com'era allora il costume, si fece stipulare, il quale vien rapportato per intero da Camillo Pellegrino nella sua Istoria de' Principi longobardi553.

Ma vedendo ora questo savio Principe, che il suo Regno per le tante turbulenze e mutazioni accadute, avea bisogno di nuove leggi per riparar i molti disordini che vi aveano lasciati le tante e continue guerre, si diede il pensiero di stabilirle; e se ben prima di lui Roberto Guiscardo, ed il Conte Ruggiero suo avo v'avessero introdotte alcune lodevoli Consuetudini, delle quali non è a noi rimasa altra memoria, se non quella che leggiamo presso Ugone Falcando554; nulladimanco egli fu il primo, che imitando Rotari Re de' Longobardi molte ne stabilì, le quali per mezzo d'uno suo editto promulgò nel Regno di Sicilia e di Puglia, volendo che quelle leggi s'osservassero in tutti due questi Reami, e fossero comuni ad ambedue. Queste sono le prime leggi del Regno, che volgarmente chiamiamo Costituzioni, le quali da Federico II Imperadore nipote di Ruggiero, insieme con le sue, e degli altri Re suoi predecessori furono da Pietro delle Vigne unite in un volume, come più partitamente diremo quando di questa compilazione dovremo ragionare. Tenne Ruggiero nello stabilirle il medesimo modo, che tennero i Re longobardi; cioè di stabilirle nelle pubbliche Assemblee convocate a questo fine degli Ordini de' Baroni ed Ufficiali, de' Vescovi e d'altri Prelati. Agostino Inveges555 porta opinione, che Ruggiero, quando nell'anno 1140 prima di passar la seconda volta in Napoli, fermato in Ariano, tenne ivi la primiera Assemblea di Baroni e Vescovi, ed altri Prelati ecclesiastici, avesse decretate quelle Costituzioni, che abbiamo tra quelle di Federico II, le quali furono comuni per tutti i suoi Stati, contro l'opinione di Ramondetta556, il quale con manifesto errore credette, che quelle non fossero statuite per l'isola di Sicilia. E narra Falcone557 beneventano, che in quest'Assemblea promulgasse anco un editto, col quale fu proibito di potersi più spendere certa moneta romana, chiamata Romasina; facendo coniare in suo luogo altre nuove monete, ad una delle quali, come si disse, diede nome di Ducato di valore d'otto Romasine, la quale avea più mistura di rame che d'argento; siccome fece coniare i Follari; onde non pure i Tarini di Amalfi, ma queste nuove monete ebbero corso nel Regno.

Delle leggi di questo Principe noi solamente 39 ne abbiamo, sparse da Pietro delle Vigne nel volume delle Costituzioni, che compilò per comandamento di Federico II, e la prima è quella, che s'incontra nel libro primo sotto il titolo quarto de Sacrilegio Regnum. Fu per la medesima riputato come delitto di sacrilegio il porre in disputa i fatti, i consigli e le deliberazioni del Re; la quale Ruggiero, ritenendo quasi le medesime parole, tolse dalla legge del Codice sotto il titolo de Crimine Sacrilegii, ove gl'Imperadori Graziano, Valente e Teodosio stabilirono il medesimo: nè Ruggiero fece altro che di mutar il nome d'Imperadore, e porvi quello di Re. Ove è degno da notarsi, che le leggi del Codice di Giustiniano a tempo di Ruggiero non aveano vigore o autorità alcuna ne' suoi dominj; ma egli le leggi, che prese da quel volume, volle che s'osservassero come leggi proprie, e non di Principe straniero; non altrimenti che i Goti Re di Spagna, ancorchè dal Codice di Giustiniano avessero preso molte leggi, vollero che il loro Codice, non quello, avesse autorità ne' loro Stati.

Abbiamo l'altra di questo Principe sotto il titolo che siegue de arbitrio Regis, ove si comanda doversi dall'arbitrio del Giudice temperare quelle leggi, che cotanto severamente punivano i sacrileghi, purchè non si tratti di manifesta destruzion di tempj, o violenta frattura d'essi, ovvero di furti di notte tempo praticati di vasi sacri ed altri doni fatti alle Chiese: nei quali casi vuol che si pratichi la pena capitale.

Il Summonte vuole che la terza legge di Ruggiero sia l'altra, che siegue sotto il titolo de Usurariis, e così anche fa il suo traduttore Giannettasio, ma con manifesto errore; poichè quella non è di Ruggiero, ma di Guglielmo II suo nipote, attesochè stabilendosi in essa, che le quistioni degli usurarj riportate alla sua Curia, debbano terminarsi conforme al decreto del Papa ultimamente nella romana Curia promulgato, non si può intendere se non del decreto fatto da Papa Alessandro III nel Concilio di Laterano, che fu a tempo di Guglielmo II non di Ruggiero, come più diffusamente diremo parlando delle leggi di quel Principe; ond'è che nelle edizioni più corrette porti in fronte questa Costituzione Gulielmus, e non Rogerius.

La terza è quella, che si legge sotto il titolo de Raptu, et Violentia monialibus illata, per la quale viene imposta pena capitale a' rattori delle vergini a Dio sacrate, ancorchè non ancora velate, o anche se per motivo di matrimonio l'avessero rapite: fu ancor questa presa dal Codice di Giustiniano558 ove quell'Imperadore stabilì il medesimo.

Se ne leggono due altre sotto il titolo de Officialibus Reip. Per la prima si stabilisce, che gli Ufficiali, che in tempo della lor amministrazione avranno sottratto il pubblico denaro, siano puniti di pena capitale. Per la seconda vien ordinato che gli Ufficiali che per lor negligenza faranno perdere o diminuire le pubbliche facoltà, siano astretti nella persona e nei beni a resarcire il danno, rimettendo loro per la sua pietà regia altre pene, che meriterebbero.

La sesta l'abbiamo sotto il titolo de Officio Magistrorum Camerariorum, et Bajulorum, ove s'ordina a' Giustizieri, Camerari, Castellani e Baglivi d'esser solleciti a somministrar a' Secreti della Dogana, ed a' Maestri Questori ovvero loro Ufficiali ogni lor consiglio ed aiuto sempre che ne saranno richiesti: la quale fu colle medesime parole rinovata da Guglielmo sotto il titolo de Officio Secreti.

La settima è collocata sotto il titolo de restitutione mulierum nel libro secondo; poichè quella che si legge nel libro primo sotto il titolo de Advocatis ordinandis se bene in alcune edizioni portasse in fronte il nome di Ruggiero, ella però è di Federico II come si vede chiaro dallo stile, e dalle cose che tratta; onde è che in altre edizioni più corrette, non si legge: Rex Rogerius, ma Idem, denotando Federico autor della legge precedente. In questa legge ordina Ruggiero a' suoi Ufficiali, che debbano, quando il bisogno lo richiede e sia conveniente, sovvenire alle donne non leggiermente gravate: la quale essendo molto generale ed oscura; Federico II volle dichiarar i casi, ne' quali alle donne debba darsi aiuto, onde questo Imperadore promulgò un'altra Costituzione, che si legge sotto il titolo de in integrum restitutione mulierum al libro secondo; ove dice: Obscuritatem legis Divi Regis Rogerii avi nostri de restituendis mulieribus editam declarantes, etc.

L'ottava e la nona sono poste sotto il titolo de Poena Judiciis, qui male judicavit. Nella prima si condannano i Giudici a nota d'infamia, e pubblicazione de' loro beni, ed alla perdita dell'ufficio, se con frode e con inganno avranno giudicato contro le leggi; e se per ignoranza, la pena si rimette all'arbitrio del Re. Nella seconda s'impone pena capitale, se per denaro avran condennato alcuno a morte.

La decima, che abbiamo sotto il titolo primo de Juribus rerum regalium del libro terzo, merita maggior riflessione di tutte l'altre; poichè è la prima legge feudale, che abbiano i nostri Principi normanni stabilita nel Regno. Chi prima su i Feudi avesse promulgata legge scritta, fu, come si è detto, l'Imperador Corrado il Salico, che riguarda la lor successione: l'Imperador Lotario alcune altre ne promulgò, ed una fra l'altre molto conforme a questa di Ruggiero de Feudo non alienando; ma siccome le leggi degli Imperadori d'Occidente insino a Lotario, come tutte le altre leggi longobarde comprese in quel volume non isdegnò Ruggiero che s'osservassero nel suo Regno, anche da poi che fu sottratto, e restò independente dall'Imperio, così non volle mai soffrire, che le leggi di Lotario suo inimico avessero alcuna autorità nei suoi dominj; perciò se bene Lotario presso Roncaglia nell'anno 1136 avesse promulgata legge, per la quale veniva proibito a' Feudatari alienare i Feudi, non avendo quella autorità alcuna nel Regno di Sicilia e di Puglia, bisognò che questo Principe, provvedendo alle sue Regalie, ne stabilisse una particolare, ch'è questa, per la quale strettamente si proibisce non solo a tutti i Conti, Baroni, Arcivescovi, Vescovi, Abati, ed altri qualsivoglia che tenessero Feudi o Regalie grandi o piccole che si fossero, di potergli in alcun modo alienare, donare, vendere in tutto o in parte, o in qualunque maniera diminuire; ma anche lo proibisce a' suoi Principi stessi, che erano allora i suoi propri figliuoli, cioè Ruggiero Duca di Puglia, Anfuso Principe di Capua, e Tancredi Principe di Taranto, non potendo in questi tempi, come rapporta Ugone Falcando559 niuno aspirare a questi titoli di Principe o di Duca, salvo che i figliuoli del Re; e quindi è che Ruggiero in questa Costituzione gli chiama Principes nostros. E questa è quella Costituzione cotanto da Federico commendata, e che poi gli piacque ampliare in tutti gli altri contratti, alienazioni, transazioni, arbitramenti e permutazioni, dando potestà a coloro che senza il suo consenso e licenza alienassero di poter jure proprio rivocargli, siccome oggi giorno tuttavia si pratica, e va per la bocca de' nostri Forensi, appo i quali è molto celebre questa Costituzione di Federico560, che comincia: Constitutionem divae memoriae Regis Rogerii avi nostri super prohibita diminutione Feudorum, et rerum Feudalium ampliantes, etc.

Non merita minor riflessione la undecima, che si legge sotto il titolo terzo dell'istesso libro terzo; poichè si vede per quella essere stato sempre lecito ai Principi di por freno a' loro sudditi, ed impedirgli, sempre che si recasse danno alla Repubblica, ed alle loro Regalie, di ascendere al Chericato. Così abbiam veduto, che Costantino M. proibì a' benestanti di farlo; e l'Imperador Maurizio vietò a' soldati di farsi Monaci, di che tanto Gregorio M. si doleva, non perchè riputasse di non esser in potestà degl'Imperadori di poterlo comandare, o che la legge fosse ingiusta, come egli stesso con ingenuità confessa, ma per esser di pernizioso esempio chiudere in tal maniera la via dello spirito per mondani rispetti. Ruggiero in questa sua legge temperando un'altra sua Costituzione, per la quale si proibiva affatto a' villani, senza licenza di lor padroni, di poter assumere l'Ordine chericale, stabilì: che solamente que' villani non potessero ascendere al Chericato, i quali per rispetto della lor persona fossero obbligati servire, come sono gli ascrittizi, i servi addetti alla gleba, ed altri consimili; ma que' che sono obbligati servire per riguardo del tenimento, ovvero beneficio del quale furono investiti, non gl'impedisce che anche senza licenza de' lor padroni possano farlo ma in tal caso devono rassegnar prima il beneficio nelle mani de' loro padroni, e poi farsi Cherici.

La duodecima legge di Ruggiero, che è sotto il titolo de dotario costituendo, riguarda ancora i Feudi, ed è la seconda, che questo Principe promulgò sopra di essi. In questa si permette a' Baroni, ed agli altri Feudatari, non ostante la proibizion di alienare, di poter sopra i Feudi costituire alle loro mogli il dotario, a proporzion de' Feudi, che posseggono, e secondo il lor numero e qualità. A' Conti e Baroni, che tengono più castelli si permette ancora di poterne uno assignare alle lor mogli per dotario, purchè però non sia quel castello, donde la Baronia, ovvero il Contado prenda il nome. Così a' Conti di Caserta non sarà lecito dar Caserta per dotario, ma bensì un altro castello del suo Contado; donde i nostri Autori561 appresero, che l'assenso semplicemente conceduto, non s'estende mai al Capo della Baronia, o del Contado.

La decimaterza, che abbiamo sotto il titolo de matrimoniis contrahendis562 merita ancora riflessione. Si vede chiaro per la medesima, che a' tempi di Ruggiero non fu reputata cosa impropria de' Principi, stabilire leggi intorno a' matrimoni; nè Giovanni Launojo la trascurò nel suo trattato: Regia in matrimonium potestas563; siccome non si dimenticò dell'altra di Federico II che incomincia: Honorem nostri diadematis, a questa conforme. Non ancora i Pontefici romani s'avean appropriata questa autorità, la quale da poi da Innocenzio III564 e più dagli altri suoi successori fu reputata lor propria, e tolta a' Principi secolari. Sono pieni i Codici di Teodosio e di Giustiniano di queste leggi, ed insino a' tempi di Teodorico Re d'Italia e di Luitprando leggiamo, che essi non solo ci diedero le leggi intorno al modo e forma di contraergli, ma di vantaggio ci stabilirono i gradi ne' quali eran vietati, ed al Principe s'apparteneva di dispensargli; e Cassiodoro ne' suol libri ci lasciò le formole di tali dispense. Ruggiero in questa legge comandò, che i matrimoni dopo gli sponsali, e la benedizion sacerdotale, si dovessero celebrar solennemente e palesemente, proibendo affatto i matrimoni clandestini, in maniera che i figliuoli nati da tali matrimoni non si debbano reputare legittimi, nè succedere perciò a' loro padri, nè per testamento nè ab intestato: lo donne che perdano le loro doti, quasi che nè date, nè matrimonio possa considerarsi in questi contratti, contra la sua legge celebrati. Vuole però che a questo rigore non soggiacciano le vedove; nè abbia luogo ne' matrimoni contratti prima del tempo della promulgazion di questa sua legge. Federico II aggiunse da poi a' Conti, Baroni, ed a tutti gli altri Feudatari un altro legame, che non potessero prender moglie senza sua permissione; ed essendosi ammesse alla succession feudale le femmine, vietò a Baroni sotto pena della perdita de' loro Feudi, di casare le figliuole o nipoti, ovvero sorelle senza sua licenza, affinchè i Feudi non passassero a famiglie incognite, della cui fedeltà il Principe era dovere, che ne fosse informato, come lo stabilì nella Costituzione Honorem nostri diadematis, sotto il titolo, de uxore non ducenda sine permissione Regis.

Andrea d'Isernia, che fu Guelfo e perciò perpetuo detrattore delle gesta di Federico, scrivendo sotto i Re angioini in un secolo dove correvan altre massime, biasimando Federico, alle costui parole Honorem nostri diadematis, aggiunge: imo destructionem animae istius Federici Imperatoris prohibentis per obliquum matrimonia instituta a Deo in Paradiso. Come se all'economia del Principe non s'appartenesse far leggi sopra i matrimoni, e molto più in quelli de' suoi Baroni565, ed impedirgli sovente, se si conoscessero perniziosi allo Stato, ovvero cagione di discordie interne tra famiglie nobili, e di numerose fazioni; di che i nostri Autori, e Francesco Ramos566 fra gli altri, hanno trattato ben a lungo. E pur è vero, che non fu Federico il primo, che stabilì questa legge, egli la trovò nel suo Regno, ed il suo primo autore fu Guglielmo detto il Malo. I Baroni non si dolevano della legge, ma dell'abuso, che ne faceva Guglielmo, poichè questo Principe, perchè i Feudi ricadessero al suo Fisco, non mai concedeva la licenza di poter casare le loro figliuole, ovvero la differiva tanto, finchè fatte già vecchie, divenivano sterili, siccome presso Ugon Falcando567 se ne lagnavano i Grandi del Regno di Sicilia, tumultuando perciò contro Guglielmo. Questa legge fu osservata in Sicilia insino al Regno del Re Giacomo, avendola questo Principe, in un Parlamento ivi tenuto, fatta abolire568. E presso di noi durò insino al Regno di Carlo II d'Angiò, il quale in un de' suoi Capitoli569, stabiliti nel piano di S. Martino, la venne a riformare.

Non meno considerabile è la legge quattordici di Ruggiero, posta sotto il titolo de Administrationibus rerum Ecclesiasticarum post mortem Praelatorum; poichè in lei più cose considerabili si incontrano. Primieramente merita riflessione ciocchè dice Ruggiero, essere tutte le Chiese del suo Regno, e particolarmente quelle, che sono prive del lor Pastore, sotto la sua potestà e protezione. Secondo, che perciò erasi introdotto costume non mai interrotto, o impugnato che morto il Prelato, i Baglivi del Re prendessero la cura ed amministrazione dell'entrate delle medesime, insino che le Chiese fossero proviste; e per terzo non adempiendo i Baglivi la loro incumbenza, secondo le relazioni, che ne avea avute, avea stimato stabilir legge, colla quale comandava, che dopo la morte dei Prelati, non più a' Baglivi si commettesse l'amministrazione e custodia delle Chiese, ma a tre de' migliori, più fedeli e sapienti della Chiesa, i quali debbano invigilare, e custodirle insino che saranno quelle proviste; con distribuire intanto delle rendite una porzione a coloro che servono alle medesime dimorando in esse, e l'altra per le fabbriche, o altro bisogno della Chiesa; ed eletto il Pastore, restituire il rimanente a lui, ovvero dargli conto dell'amministrazione passata. Gli spogli, che si videro da poi introdotti dalla Corte romana per tirar ivi ogni denaro, erano inauditi, e sarebbero stati reputati come destruttori non meno della disciplina ecclesiastica, che del buon governo del Regno: tutto era della Chiesa, e si spendeva per quella, e quel che sopravvanzava, era riserbato al successore. Non vi eran Nunzi o Collettori o Commessari, che appena spirato il Prelato dessero il sacco alla di lui casa, con prevenirlo sovente prima che quegli spirasse570. Quindi i nostri Re non meno che quelli di Francia vantavano la Regalia, come infra gli altri la pretese il Re Corrado571; e quindi deriva che abbiano sempre presa la cura, ed invigilato che l'entrate delle Chiese non capitino male, e sovente avessero ordinato, che delle medesime si riparassero le fabbriche, si sequestrassero a questo fine, e diedero perciò molti utili e salutari provedimenti, siccome ne' tempi men a noi lontani fecero Ferdinando I d'Aragona, il Re Federico, il Gran Capitano, il Duca d'Alcalà, ed altri che possono vedersi ne' volumi giurisdizionali presso Chioccarello572.

Nè deve tralasciarsi quel che Andrea d'Isernia573 notò sopra questa Costituzione di Ruggiero, la qual egli con manifesto errore crede, che fosse di Guglielmo, dicendo che quando ella fu stabilita parve giusta e regolare, perchè allora non era ancor compilato il volume de' decretali; e che sebbene Ruggiero con tanta utilità diede questa providenza, però da poi i Canonisti non hanno voluto ricever queste leggi de' Principi secolari, etiam si pro eis condantur, quia nolunt ut ponant falcem in messem alienam. Ma prima, che uscisse il volume de' decretali, non era stimata cosa impropria de' Principi di stabilir tali leggi, e particolarmente de' nostri Principi, li quali avendo essi fondate quasi tutte le Chiese del Regno di loro patrimonio, era giusto che fossero nella loro potestà e protezione.

La decimaquinta Costituzione di Ruggiero l'abbiamo nel libro terzo sotto il titolo de prohibita in terra demanii constructione Castrorum. Proibisce ne' luoghi demaniali del Re, che niuno possa sotto colore di miglior difesa erger torri, o Rocche; dovendo bastargli per lor sicurezza quelle del Re, o la sua regal protezione. La decimasesta è sotto il titolo de injuriis Curialibus personis irrogatis; per la quale viene a' Giudici imposto, che nel punir l'ingiurie notino diligentemente la qualità delle persone, alle quali si fanno, da chi, in qual luogo ed in che tempo; e se saranno offesi i suoi Ufficiali, si dichiara essersi fatta ingiuria non solamente a costoro, ma anche la dignità sua regale rimanerne offesa.

La legge 17 che è sotto il titolo de probabili experientia Medicorum è la prima, che presso di noi fosse stabilita, intorno ad evitar quanto fosse possibile, que' mali, che l'imperizia de' Medici poteva cagionare. Prima i prudentissimi Romani reputarono, che l'elezione ed approvazione de' Medici, non a' Presidi delle province, ma agli Ordini o Decurioni della città s'appartenesse per quella ragione, che Ulpiano574 espresse con queste elegantissime parole: Ut certi de probitate morum, et peritia artis, eligant ipsi, quibus se, liberosque suos in aegritudine corporum committant. Ruggiero in questa sua legge ordinò, che niuno potesse medicare, se prima non si presenterà avanti i suoi Ufficiali e Giudici per essere esaminati, e dichiarati abili a quell'esercizio, imponendo pena di carcere e confiscazion de' loro beni, se per se soli senza questo esame temerariamente presumeranno di medicare. Federico II da poi dichiarando più ampiamente questa legge del suo avo, molte altre leggi stabilì intorno a' Medici, per le quali la Scuola di Salerno fu eretta in Accademia, siccome altresì quella di Napoli, ove piacque a questo Principe fondarne un'altra più famosa ed illustre, come diremo quando de' fatti di questo glorioso Augusto ci tornerà occasion di ragionare.

Leggesi ancora sotto il titolo de nova militia un'altra Costituzione di Ruggiero, che è la 18 per la quale vien proibito, che niuno possa esser ascritto alla milizia, se non deriverà da militare schiatta; e parimente che niuno possa esser Giudice o Notajo se i padri loro non siano stati di simile professione. Questa legge da Federico nella Costituzione seguente vien confermata, ed aggiunto ancora, che niuno di vil condizione possa esser ascritto a questi Ufficj, nè possa militare se non fia per lato paterno discendente da soldato. Egli è però vero, che Bartolomeo di Capua ci attesta, che queste Costituzioni a' suoi tempi non erano in osservanza nel Regno di Sicilia, avea però inteso, che così si praticava nel Regno di Francia, donde Ruggiero, per emular gl'istituti di quel Regno, l'apprese. E molto a proposito notò il Summonte, questa seconda Costituzione esser di Federico, non già di Ruggiero, come porta l'iscrizione nella vulgata edizione, vedendosi chiaramente, che per questa vien confermata quella di Ruggiero dal suo nipote Federico: poichè si fa menzione della precedente con quelle parole, contra prohibitionem divae memoriae avi nostri. Oltre a ciò, si conferma da quel, che rapporta Riccardo da S. Germano nella sua Cronaca, ove dice, che Federico nel Parlamento che tenne a S. Germano nel mese di febbrajo dell'anno 1232 tra l'altre sue Costituzioni che fece, vi fu anche quella de militibus; come osservò anche Tutini575 dell'origine de' Seggi.

La 19 è quella che abbiamo sotto il titolo de Falsariis, per la quale si punisce con pena capitale colui che falsificasse o mutasse le lettere del Re, o il suo suggello. La ventesima è sotto il titolo seguente de cudentibus monetam adulterinam, ove con pena di morte e di confiscazione, si puniscono non solamente coloro, i quali coniassero moneta falsa, ma anche quelli che scientemente la ricevono, o in alcun modo consentono a tanto delitto. La ventesimaprima è sotto il titolo, che siegue de rasione monetae, per la quale vengon a morte parimente dannati, e confiscati i beni di coloro, che ardiranno di tosare, o in qualunque modo diminuire le monete d'oro o d'argento.

Se ne leggono da poi sette altre sotto sette diversi titoli disposte, per le quali varie pene s'impongono a' falsari. La prima scusa coloro, che ignorantemente si saranno serviti d'istromenti falsi. La seconda punisce con pena di falso, chi si vale di testimoni falsi. La terza colla medesima pena condanna quelli che nascondono, tolgono, radono o cancellano i pubblici testamenti. La quarta priva dell'eredità paterna colui che cancella, o nasconde il testamento del padre per succedergli ab intestato. La quinta dichiara che la qualità della persona aggrava e minuisce la pena del falso. La sesta punisce di pena capitale coloro, che avranno, o venderanno veleni, o medicamenti nocivi per alienar gli animi; e per la settima si dispone, che non sarà in tutto fuor di pena colui, che porgerà altrui poculi amatorj, o cibi nocivi, ancorchè per quelli non siasi recato alcun danno: le quali Costituzioni furono da poi da Federico approvate, e più ampiamente distese ne' titoli seguenti.

Nelle leggi, che sieguono di questo Principe, si vede chiaro quanto fra l'altre virtù sue ebbe cura dell'onestà ed onor delle donne. Nella 29 che abbiamo sotto il titolo de poena adulterii, si toglie a' mariti di poter in giudicio accusare d'adulterio le loro mogli, se in lor presenza permetteranno a quelle di trastullarsi co' loro drudi con atti lascivi e disonesti; e nella trentesima, che siegue sotto il titolo de prohibita quaestione foeminae, oltre dell'infamia, minaccia pena grave, e degna de' suoi tempi a que' mariti, che permetteranno alle mogli commettere adulterj.

Non meno piene d'onestà sono l'altre sei, che sieguono; proibisce per la prima alle donne oneste la conversazione colle prostitute, alle quali però vieta, che si possa usar violenza. Per la seconda, de repudiis concedendis, si permette al marito di poter dimandar il libello del repudio alla moglie, mentre che giustamente l'accusa d'adulterio. Per la terza de lenis; si puniscono colle pene istesse dell'adultere quelle, che useranno ruffianesmi per corrompere la castità delle donne. La quarta, confermata da poi da Federico, è terribile contro le madri, che prostituiscono le loro figliuole vergini; oltre della pena de' ruffiani, vuol che lor si tronchi il naso, soggiungendo queste gravi parole: Castitatem enim suorum viscerum vendere, inhumanum, et crudele; ma se mai per se stessa alcuna si sarà prostituita, e la madre avrà solamente dato il suo consenso, si lascia all'arbitrio del Giudice di punirla. Per la quinta sotto il titolo de poena uxoris in adulterio deprehensae, si permette al marito, che possa uccidere la moglie, e l'adultero ritrovandogli sul fatto, senza però interporre intervallo alcuno di tempo alla vendetta; e nella sesta sotto il titolo de poena mariti ubi adulter aufugit, si stabilisce, che se il marito lascerà fuggire l'adultero, e ritenerà la moglie, debba esser punito come ruffiano, purchè senza sua colpa l'adultero scappasse.

553.Pellegr. pag. 251.
554.Ugo Fal. parlandosi di Guglielmo I. Ut his, aliisque perniciosis legibus antiquatis, eas restituat Consuetudines, quas avus ejus Rogerius Comes a Roberto Guiscardo prius introductas, observaverit, et observari praeceperit.
555.Inveg. hist. Palerm. tom. 3.
556.Ramond. l. 2 c. 6.
557.Falc. Benev. Monetam suam introduxit, unam cui Ducatus nomen imposuit, octo Romasinas valentem, quae magis aerea, quam argentea probata tenebatur: induxit etiam tres follares aereas Romasinam unam appretiatos.
558.L. Raptus, C. de Raptu Vir.
559.Ugo Falc. fol. 69 et 70.
560.Constit. Regn. lib. 3 tit. 5.
561.Afflict. decis. 265 2 col Loffr. in paraph. cap. 8 col. 3 in princ. et in cons. 39 num. 30.
562.Constit. lib. 3 cap. 1.
563.Laun. 3 par. art. 2 c. 8.
564.C. inhibitio de Clan. despens.
565.V. Andreas disput. Feud. cap. 3 §. 8 num. 46.
566.Ramos ad L. Jul. et Pap. l. 3 cap. 49, 50 et 51.
567.Ugo Falcand hist. Sic Filias suas innuptas domi toto vitae tempore permanere; nec enim inter eas absque permissione Curiae matrimonia posse contrahi; adeoque difficile permissionem hanc hactenus impetratam, ut alias quidem tunc demum liceret nuptui dare, cum jam omnem spem sobolis senectus ingruens substulisset, alias vero perpetua virginitate damnatas sine spe conjugii decessisse.
568.Cap. Regn. Sicil. cap. 22 in matrimoniis.
569.Cap. item statuimus, de matrim. contrah.
570.V. D. Juan Chumacero, y Carrillo, Memorial. cap. 8 e 9 num. 61.
571.Diploma Corradi apud Math. Paris in hist. Anglic.
572.Chioc. t. 17.
573.Andrea d'Iser. Non erat compilatum volumen decretalium. Et quamvis utiliter statuat pro Ecclesiis tamen Canonistae non recipiunt leges Principum secularium, etiam, etc.
574.Ulp. l. 1 D. de decr. ab. ord. facient.
575.Tutin. Orig. de' Seg. cap. 14.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
540 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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