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Kitabı oku: «Istoria civile del Regno di Napoli, v. 8», sayfa 10

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CAPITOLO VII
Spedizione di D. Pietro di Toledo per l'impresa di Siena, dove se ne morì. Seconde nozze di Filippo Principe di Spagna con Maria Regina d'Inghilterra; e rinuncia del Regno di Napoli fatta al medesimo da Cesare, il quale abbandonando il Mondo si ritira in Estremadura, dove nel Convento di S. Giusto finì i suoi giorni

Don Pietro di Toledo, posto fine alle turbolenze di Napoli, governava il Regno con piena autorità: ma siccome era da tutti ubbidito, così da molti era intrinsecamente odiato: poichè scovertasi la ribellione del Principe di Salerno, e sospettandosi che in quella vi fossero altri intesi, procedè contra i sospetti con molto rigore; e la morte per ciò data ad Antonio Grisone, e l'inquisizioni fatte per la medesima cagione con altri, avea reso il suo governo molto terribile ed odioso. Avvenne, che in quest'anno 1552 tra le molte rivoluzioni accadute in Italia, Siena parimente si sconvolgesse.

Era questa Repubblica sotto la protezione di Cesare, il quale v'avea mandato a governarla D. Diego Urtado Mendozza: costui diede a' Sanesi sospetto di voler loro togliere la libertà, perchè designava fabbricare in Siena una Cittadella così forte, che con essa potevano gli Spagnuoli in poco numero difendersi dalla città. I Sanesi per ciò determinarono ricorrere al Re di Francia, il quale accettando la lor difesa, diede ordine a' suoi Ministri, che teneva in Italia, di provvedere al bisogno. Fu tra essi conchiuso, che il Conte di Pitigliano, ed i due Conti di Santa Fiore facessero con secretezza seimila fanti e molti cavalli, il che fu tosto eseguito: il Conte di Pitigliano entrò nella città e gridando libertà, libertà, e conducendo seco tremila fanti, unitosi col Popolo, costrinse Otto di Monteaguto, il quale mandato da Cosmo de' Medici Duca di Fiorenza era entrato per soccorso degli Imperiali, a ritirarsi sotto la Cittadella, non senza morte dell'una, e l'altra parte. Il Duca Cosmo s'apparecchiava mandar ad Otto grosso soccorso: ma la Repubblica gli mandò Ambasciadori a fargli intendere, ch'essa non voleva levarsi dalla fedeltà dell'Imperadore, ma sì bene rimettersi nella libertà, della quale n'era a poco a poco stata spogliata dal Mendozza: il Duca ciò credendo, conchiuse colla medesima trattato, che gli Spagnuoli dall'una parte se ne uscissero da Siena, e dall'altra Otto se ne ritornasse salvo colle sue genti in Fiorenza; ma quando i Sanesi gli videro usciti, tosto buttarono a terra la Cittadella, e vi posero dentro presidio franzese, attendendo a fortificarsi contra gli Spagnuoli. L'Imperadore, ciò inteso, trovandosi allora all'assedio di Metz di Lorena, scrisse al Toledo, che assoldasse un esercito, e che andasse egli a far guerra a Siena; e venne ancora in quel tempo in Napoli a sollecitarlo D. Francesco di Toledo, uomo dell'Imperadore appresso il Duca Cosimo. Il Vicerè, ancorchè il tempo che correva d'un orrido inverno fosse contrario, incominciò con prestezza secretamente ad apparecchiar l'esercito; e mentre questo si faceva, fu assalito da un catarro con febbre, dal quale ogni anno era spesse volte l'inverno gravato, onde per ciò per consiglio de' Medici in quella stagione soleva dimorare in Pozzuoli; ma non per questo si rallentava l'apparecchio, e già la fama cominciava a spargersi, che quello era per la guerra di Siena, ove dovea in persona comandare il Vicerè, il quale per ciò dovea partire ed abboccarsi col Duca Cosimo suo genero. Pubblicata questa partenza, s'offerivano molti Baroni di seguirlo, ma il Vicerè a pochi il concesse, e ringraziò gli altri; e creato D. Garzia suo figliuolo Luogotenente dell'esercito, lo mandò per terra con dodicimila valorosi soldati spagnuoli, italiani e tedeschi. Partì D. Garzia nel principio di gennajo del nuovo anno 1553, e passò per le Terre dello Stato Ecclesiastico pacificamente, nel qual passaggio entrò in Roma con molti Cavalli a baciare il piede al Papa, e giunto finalmente nel territorio Sanese, senza perder tempo, prese molte Castella. In questo mezzo il Vicerè fece imbarcare nelle Galee del Principe Doria il resto delli soldati spagnuoli con la sua Corte; e lasciando per suo Luogotenente nel Regno D. Luigi di Toledo suo secondo figliuolo, entrò egli in mare, e partissi per la volta di Gaeta, ove fermatosi tre giorni passò a Civita Vecchia, nel qual viaggio per fortuna di mare se gli accrebbe il male, e smontato poi a Livorno, mandò subito a D. Garzia gli Spagnuoli ad unirsi col suo esercito, ed egli forzato dal catarro e dalla febbre si fermò ivi con la sua Corte. Ma vie più aggravandosi il male, e veduto da' Medici, che quel luogo posto in mezzo all'acqua, era contrario al clima di Pozzuoli ed al suo male, partì alla volta di Pisa, e declinando alquanto il male, se ne andò a Fiorenza; ove dal Duca Cosimo suo genero fu accolto con molta affezione e splendidezza. Vennero in quel mezzo a ritrovarlo Ascanio della Cornia ed altri Colonnelli dell'esercito a pigliar da lui l'ordine, che s'avea da tenere per quell'impresa; ed essendo già tutte le cose ben disposte, mostrando allora la di lui infermità esser alquanto in declinazione, mandata avanti per ciò tutta la sua Corte, si preparava egli per cavalcare la mattina; ma ecco, che gli sopravvenne di nuovo il catarro tanto furioso, che l'inquietò tutta quella notte, e sopraggiuntagli la febbre, ogni virtù gli andò mancando.

Corse alla fama del suo pericolo D. Garzia suo figliuolo a visitarlo, e per dargli conto di quel che e' faceva nell'esercito; ma il Vicerè volle, che senz'aspettar l'esito della sua infermità, tornasse come suo Luogotenente a comandare a quell'impresa, e lo benedisse; e non guari da poi aggravando tuttavia il male, tra gli abbracciamenti di sua figliuola e genero, spirò l'anima a' 12 febbraio di quest'anno 1553. Fu fama che fosse stata la sua morte sollecitata con veleno dal genero, per sospetto, ch'e' avesse d'avergli il Toledo insidiata la vita: parimente, che l'Imperadore per levarlo del governo di Napoli (ciò che avea determinato di farlo fin dal tempo de' rumori di quella città) avesse trovata quest'occasione della guerra di Siena. Altri non consentono nè all'uno, nè all'altro, allegando certa lettera dell'Imperadore, capitata in Fiorenza prima ch'egli morisse, nella quale non sapendo ancora, che fosse partito da Napoli, scrivea, che in niun modo fosse andato a quella impresa, per aver inteso, che stava infermo, ma che vi mandasse D. Garzia suo figliuolo. Che che ne sia, governò egli il Regno anni venti, mesi cinque, e giorni otto, con tanta prudenza, che superò tutti i passati Governadori, e meritevolmente dal comune consenso gli è attribuito il titolo di Gran Vicerè.

Della sua prima moglie D. Maria Ossorio Pimentel, lasciò più figliuoli, poichè della seconda da lui sposata, essendo già vecchio, non ne ebbe alcuno. D. Federigo primogenito, D. Garzia, che morendo il lasciò suo Luogotenente nella guerra di Siena e D. Luigi, rimaso Luogotenente nel Regno, quando egli partì da Napoli. Ebbene ancora di quella quattro femmine, la primogenita D. Isabella la casò con D. Giovan Battista Spinelli Duca di Castrovillari e Conte di Carriati. La seconda D. Eleonora fu maritata nel 1539 a Cosimo de' Medici Duca di Toscana. La terza D. Giovanna fu moglie di D. Ferrante Ximes d'Urrea primogenito del Conte d'Aranda, e l'ultima D. Anna di D. Lope Moscoso Conte d'Altamira.

D. Luigi, rimaso in Napoli Luogotenente, non potè mostrare nel governo del Regno gli alti suoi talenti, perchè non lo tenne che pochi mesi; essendo stato dall'Imperadore, intesa la morte di D. Pietro, mandato per suo successore il Cardinal Pacecco, il quale trovandosi a Roma nel giugno di quest'anno, si portò subito a Napoli.

Il Cardinal Pacecco, rinomato non men per la sua famiglia cotanto illustre in Ispagna per lo Marchesato di Vigliena e Ducato d'Escalona, che ivi possiede, che per eccellenza di dottrina, e per li buoni servigi prestati in Trento in quel Concilio, fu dal Pontefice Paolo III, essendo Vescovo di Giaen, promosso al Cardinalato a richiesta dell'Imperadore, e dichiarato parimente Vescovo Saguntino; e trasportatosi il Concilio a Bologna, rimase egli in Roma per affari di Cesare, il quale intesa la morte del Toledo, lo mandò, come si disse, suo Vicerè nel Regno.

Il concetto che s'avea del suo rigore, spaventò prima Napoli, ma rimase poi ingannata dall'evento; poichè reso placido e soave, non solo trattò con mansuetudine i Napoletani, ma gli favorì molto presso Cesare, da cui impetrò l'esatta osservanza de' suoi privilegi, che Carlo V gli avea di nuovo spediti in Brusselles, a richiesta del famoso Girolamo Seripando, nell'ultimo giorno dell'anno 1554. Non s'intesero più carcerazioni di fatto, nè tormentare, o procedere all'esazione di pene criminali contra i delinquenti, col solo processo informativo. Furon dati provvidi ordini e norme da osservarsi nelle collazioni della Cappellania Maggiore, Prelature Regie, Protomedicato, Ufficiali di Giustizia e Castellanie del Regno; e nel suo Governo furono dalla benignità di Cesare concedute alla città e Regno molte altre grazie e privilegi84.

Intanto a Filippo Principe di Spagna, essendo rimaso vedovo di Maria di Portogallo sua prima moglie, s'aprì, secondo la felicità di questa augustissima Casa, una ben ampia via d'unire alla Monarchia di Spagna il Regno d'Inghilterra; e se la morte di Maria senza lasciar prole di questo matrimonio, e le tante rivoluzioni accadute in Inghilterra, non avesser frastornato sì bel disegno, la impresa erasi condotta a fine; poichè proclamata a' 20 di luglio dell'anno 1553 per Regina d'Inghilterra Maria, prima figliuola d'Errico VIII, ed incoronata Reina con solennissima pompa nel primo d'ottobre in età di trentasette anni non avendo marito, da' Baroni del Regno fu fatta istanza, che per assicurare la successione del Regno, dovesse tosto maritarsi. Ella per ciò s'elesse per isposo Filippo Principe di Spagna; onde in gennajo del nuovo anno 1554 mandò Ambasciadori a Cesare notificandogli il suo pensiero. Con incredibile contento accettò l'Imperadore l'offerta, e senza perdervi tempo fu tosto il matrimonio conchiuso, e chiamato Filippo dalle Spagne, acciò si conducesse a tal effetto in Inghilterra: i Baroni Inglesi di quest'elezione fatta dalla Regina, ne rimasero mal contenti, e perchè odiavan gli Spagnuoli, e perchè aveano a male, che quel Regno venisse ne' discendenti dell'Imperadore.

Parti ciò non ostante, a' 16 luglio di quest'anno 1554, Filippo di Spagna dal Porto di Corugna con grossa armata e splendidissima Corte, e giunto al Porto d'Antonasi, diece miglia distante da Vincestre, ove la Regina l'aspettava, quivi si celebrarono le nozze con gran festa e trionfo.

Ma l'Imperadore, reputando mal convenire ad una sì gran Regina sposarsi Filippo, che non era ancora Re, mandò Figurino Reggente di Napoli in Inghilterra a portargli la cessione del Regno di Napoli e di Sicilia e dello Stato di Milano. Così Filippo, reso più augusto con questi titoli Regj, accrebbe l'allegrezza ed il giubilo delle nozze. I nuovi Sposi trattenutisi molti giorni in Vincestre in giuochi e tornei, ai 19 d'agosto si partirono, e con doppia Corte, e quasi con tutta la nobiltà di Spagna e d'Inghilterra, con pompe e ricchi apparati fecero la loro trionfale entrata nella Real città di Londra, dove i mal contenti Baroni, sperimentata la dolcezza e mansuetudine di Filippo, rimasero soddisfatti.

Filippo, avuta la cessione dal padre del Regno di Napoli, mandò subito il Marchese di Pescara a prenderne in suo nome il possesso, che con pubblica celebrità, e grandi applausi dal Cardinal Pacecco Vicerè, a' 25 di novembre del medesimo anno, gli fu data: nel medesimo tempo che l'Imperadore Carlo V, o fastidito dalle cose mondane, o per iscansare i colpi della fortuna, ch'egli credeva cominciare a mostrarsegli avversa, meditava abbandonare i tedj del secolo.

Era allora egli in Fiandra afflitto da continue e fastidiose podagre, e stanco ormai di sostener più il peso dell'Imperio, onde deliberò ritirarsi dalle cure mondane. Chiamò per tanto a se da Inghilterra il Re Filippo suo figliuolo, e giunto in Brusselles ove dimorava, prima d'ogni altro lo fece Capo dell'Ordine de' Cavalieri del Toson d'oro: poi in una gran sala, al cospetto di tutti i Consiglieri di Stato, di tutti i Cavalieri degli Ordini e Nobiltà, a' 25 ottobre del nuovo anno 1555, fece il gran rifiuto, rinunziando al Re suo figliuolo tutti i Paesi Bassi, con gli Stati, Titoli e Ragioni di Fiandra e di Borgogna. Gli rinunziò li Regni di Spagna, di Sardegna, di Majorica e Minorica, e tutti i nuovi Paesi scoverti nell'Indie, con tutte l'altre Isole e Stati appartenenti e dependenti dalla Corona di Spagna.

Rinunziò colla medesima solennità il governo dell'Imperio a Ferdinando suo fratello, eletto già Re de' Romani, e tre anni da poi, pochi mesi prima di morire, mandò la rinunzia dell'Imperio al Collegio Elettorale, il quale, il dì 14 marzo del 1558, elesse in suo luogo il medesimo Ferdinando.

Ritiratosi poi nella città di Gant sua patria, licenziò tutti gli Ambasciadori de' Principi, ch'erano appresso di lui, e tutti i Capitani d'armate; ed imbarcatosi nel seguente anno 1556 a' 17 settembre navigò per Ispagna, e si ritirò in Estremadura, dove dimorò il rimanente de' suoi giorni in un Convento abitato da' Monaci di S. Girolamo, chiamato San Giusto. Menò quivi vita solitaria, e morivvi il dì 21 di settembre dell'anno 1558 l'anno 59 di sua età.

CAPITOLO VIII
Stato della nostra Giurisprudenza, durante l'Imperio di Carlo V, e de' più rinomati Giureconsulti, che fiorirono a' suoi tempi

L'imperador Carlo V, e più i suoi Vicerè, che durante il Regno suo governarono questo Reame, ci lasciarono molte leggi, delle quali per essersene, secondo la distinzione de' tempi, ne' quali furono stabilite, tessuta nell'ultima edizione delle nostre Prammatiche un'esatta Cronologia, non accade qui, per non gravar maggiormente quest'Opera, ripeterle.

La Giurisprudenza nel Regno suo, per essere stati i nostri Tribunali cotanto favoriti dal Vicerè Toledo, e ridotti in una più ampia e magnifica forma, si vide se non più culta, almeno in maggior splendore e lustro per lo gran numero de' Professori, e per la loro dottrina e scienza legale.

Per le cagioni, di sopra dette, non potè ricevere appo noi in questo secolo quella nettezza e candore, che i Franzesi l'aveano posta in Francia. Era agli Spagnuoli sospetta ogni erudizione, e si guardavano molto di non far introdurre novità nelle scienze, o nel modo d'Insegnarle e professarle. Fu continuato per ciò lo stile degli antichi; ma non per questo, se mancava l'erudizione e la notizia dell'Istoria Romana, onde poteva ricevere quel lume, che le fu data in Francia, mancarono Giureconsulti eccellenti non inferiori a quelli delle altre Nazioni.

Sembrava veramente cosa molto impropria, che avendo la Giurisprudenza per la prima volta in Italia cominciato a ricevere maggior lustro da Andrea Alciati Milanese, il quale fu il primo, che insegnò la legge con erudizione ed eleganza, questo studio si fosse poi abbandonato in Italia, ed avesse avuto costui in Francia, non già in Italia, tanti che l'imitassero e lo superassero, onde potesse perciò la Francia vantarsi di tanti famosi Giureconsulti, che fiorirono in questi tempi, e non l'Italia. Ella vantava in questi tempi il famoso Guglielmo Budeo di Parigi, Francesco Duareno suo discepolo, Professore di legge in Bourges, che morì nell'anno 1559 in età di 50 anni; il famoso Carlo Molineo, morto l'anno 1568. Il non mai a bastanza celebrato Jacopo Cujacio nativo di Tolosa, che fu Professore in Bourges, in Tolosa, in Caors, in Valenza, ed in Torino, e che fu un prodigio in questa scienza, denominato per ciò con ragione dal Tuano il primo, e l'ultimo fra' più eccellenti interpreti della legge. Antonio Conzio nativo di Nojon contemporaneo di Duareno e di Cujacio, che professò parimente legge in Bourges, e morì l'anno 1586. Francesco Ottomano, Pietro Piteo e tanti altri, dei quali il Presidente Tuano in tutto il corso della sua Istoria non tralasciò farne distinta ed onorata memoria.

Noi all'incontro, se per le Cattedre, per la riferita cagione e per altre, che s'intenderanno ne' libri seguenti di quest'Istoria, non possiamo oppore a' Franzesi Giureconsulti di tanta vaglia, per coloro però che nel Foro e ne' Magistrati impiegarono i loro talenti, non abbiamo che invidiargli, li quali nè per dottrina legale, nè per numero furono a quelli inferiori

Fiorirono a questi tempi ne' nostri Tribunali molti insigni e rinomati Giureconsulti. Antonio Capece del Sedile di Nido si rese prima illustre nel Foro col patrocinio delle cause, e da poi dal Re Ferdinando il Cattolico nel 1509 fu creato Consigliere, non tralasciando intanto nell'Università de' nostri Studi di leggere Giurisprudenza, dove occupò la prima Cattedra vespertina del Jus Civile, e nel 1519 insegnò anche ivi il Jus feudale, dalla cui scuola uscirono Bartolommeo Camerario, Sigismondo Loffredo, e tanti altri famosi Giureconsulti. Per li moti della Sicilia insorti sotto il governo d'Ettore Pignatelli Conte di Montelione, andò egli per comandamento del Re in quell'Isola, e della di lui opera il Conte si valse per reprimere gli autori di que' tumulti, dove compose alcune sue decisioni. Ritornò poi in Napoli, e con tutto che la sua carica di Consigliere non gli concedesse molto ozio, pure distese una Repetizione sopra il Cap. Imperialem, de prohib. feud. alien. per Feder. ed avea posta mano ad un'altra opera insigne intitolata: Investitura feudalis, la quale non potè condurre al suo compito fine. Compilò varie decisioni, che ai suoi tempi si fecero nel S. C. di S. Chiara, le quali, unite insieme con quelle che distese in Sicilia, vanno ora per le mani de' nostri Professori. Morì in fine egli in Napoli nel 1545, e giace sepolto nella Cappella della sua famiglia dentro la Chiesa di S. Domenico maggiore di questa città85.

Bartolommeo Camerario di Benevento si distinse sopra gli altri nello studio delle leggi, e nel 1521 diede in Napoli alla luce una Repetizione sopra il § Æque de Actionibus; ma sopra ogni altro si rese costui eminente per la grande applicazione, ch'ebbe nelle materie feudali. Egli si pose ad emendare i Commentarj de' Feudi d'Andrea d'Isernia, li quali, per difetto de' Copisti, s'erano dati alle stampe scorrettissimi, e gli ridusse a perfetta lezione; e vi si affaticò tanto nello spazio di tre anni continui, applicandovisi sedici ore il giorno, che come e' dice86, vi perdè un occhio. Lesse nell'Università de' Nostri Studi ventiquattro anni i libri feudali; da poi dalla Cattedra, nell'anno 1529, passò ad esser Presidente di Camera, rifatto in luogo di Giannangelo Pisanello. Indi nell'anno 1541 fu, dall'Imperador Carlo V, creato Luogotenente della medesima. Ma venuto in odio a D. Pietro di Toledo per le cagioni altrove rapportate, e per l'inclinazione, ch'ebbe sempre a' Franzesi, diede di se gravi sospetti; onde al Toledo gli s'aprì la strada di farlo cadere anche dalla grazia di Cesare: di che egli accortosi, ricevè l'onore offertogli dal Re di Francia, che l'avea creato suo Consigliere, e se n'andò in Francia, ricovrandosi sotto la protezione di quel Re. Il Vicerè Toledo, datogli tosto il successore, che fu Francesco Revertero, fece trattar subito la sua causa: fu dichiarato rubelle, e nel 1552 gli furono confiscati tutti i suoi beni. Nel tempo che dimorò in Francia, stando quivi in gran moto le cose della Religione, e le opere di Lutero e di Calvino facendo in quel Regno danni notabilissimi, poichè egli si era ancora applicato alla Teologia, si pose a confutarle; onde nel 1556 stampò in Parigi un trattato, De Jejunio, Oratione, et Eleemosina; e nell'istesso anno diede anche alla luce un'altra opera scritta in forma di Dialogo, introducendo sè e Calvino per interlocutori, alla quale diede il titolo: De Praedestinatione, ac de Gratia, et Libero arbitrio, cum Johanne Calvino disputatio; e nel seguente anno 1557, ritiratosi in Roma, diede quivi alla luce un altro trattato: De Purgatorio igne.

Vedendo, che in Francia i suoi meriti non erano ricompensati secondo le concepute speranze, si ritirò in Roma, dove dal Pontefice Paolo IV, fiero nemico non men di Cesare, che del Re Filippo suo figliuolo, fu ricevuto con onore; e l'ammise a' suoi Consiglj, attribuendosi a Camerario, come diremo più innanzi, che Paolo non pubblicasse la sentenza contro al Re Filippo profferita della privazione del Regno: ed avendo nella guerra, che allora ardeva tra il Pontefice, ed il Re Filippo, il Duca d'Alba assediata Roma, il Papa lo creò Commessario Generale del suo esercito, e lo fece di più Prefetto dell'Annona di Roma; onde per mostrar al Pontefice la gratitudine del suo animo, stampò allora in Roma nell'anno 1558 il suo Commentario ad l. Imperialem, de prohib. feud. alien. per Feder. e lo dedicò a lui, promettendogli nell'epistola dedicatoria, che se egli avrà ozio, gli avrebbe ancora dedicati sette altri libri feudali, da lui composti. Finì il rimanente della sua vita in Roma, dove morì nel 1564, e fu sepolto nella Chiesa de' SS. Appostoli dei PP. Conventuali di S. Francesco, dove si vede la sua tomba con iscrizione. Oltre delle riferite sue opere, si leggono di lui alcuni Dialoghi, in materia feudale, li quali mancando di quella grazia e venustà, ch'è propria di quel modo di scrivere, sono riusciti insipidi e freddissimi.

Sigismondo Loffredo discepolo d'Antonio Capece del Sedile di Capuana, si diede agli studi legali, dappoi che nelle lettere umane avea fatti maravigliosi progressi, e per la sua dottrina fu nell'anno 1512 dal Re Ferdinando il Cattolico creato Presidente della Regia Camera, ed appena furono passati cinque anni, che si vide innalzato al supremo grado di Reggente di Cancelleria, chiamato poi in Ispagna ad assistere nel supremo Consiglio d'Aragona, come Reggente di Napoli. Morì nel 1589 lasciando di se chiara memoria ne' suoi dotti Consiglj e ne' suoi Commentarj alla l. Jurisconsultus de gradibus, che furono dati in istampa in Venezia nell'anno 157287.

Rilusse a par di lui il famoso Cicco Loffredo, già rinomato Avvocato, e poi nell'anno 1512 creato Regio Consigliere. Per la sua grande abilità fu inviato Oratore in Fiandra al Re Carlo dalla città a prestargli in suo nome ubbidienza ed a cercargli la conferma de' suoi privilegi. Fu da poi nel 1522 innalzato al supremo onore di Presidente del S. C. che l'esercitò insino all'anno 1539, nel qual anno passò nel Consiglio Collaterale, dove fu fatto Reggente. Morì in Napoli nel 1547 e fu prima seppellito nel Duomo di questa città nella sua Cappella gentilizia; ma da poi Ferdinando Loffredo Marchese di Trivico suo figliuolo trasferì le sue ossa nella Chiesa di S. Spirito da lui fondata, dove si vede la sua tomba con iscrizione; e da questo famoso Giureconsulto discendono i presenti Marchesi di Trivico88.

Fiorirono ancora, intorno a questi medesimi tempi, Girolamo Severino: Tommaso Salernitano: Giannandrea de Curte: Scipion Capece: Marino Freccia: ancor essi celebratissimi Giureconsulti.

Girolamo Severino del Sedile di Porto, essendo ancor giovane, fu nel 1516 creato Avvocato de' Poveri, indi dal Vicerè Lanoja nel 1517 fu fatto Giudice di Vicario. Per la sua dottrina ed eloquenza, nella venuta di Carlo V in Napoli, fu eletto dalla città per suo Oratore a riceverlo, e nel 1536 lo crearon Sindico; essendosi nel Parlamento generale degli 8 di gennaio di quell'anno conchiuso per sua industria un grosso donativo da farsi a Cesare, fu dall'Imperadore in ricompensa de' suoi segnalati servigi, creato Reggente di Cancelleria, e del Supremo Consiglio d'Italia, onde gli convenne partir con Cesare per Ispagna; ma da poi nel 1541 fu innalzato al supremo onore di Presidente del S. C., ed indi nel 1549 fu fatto anche Viceprotonotario del Regno: ed avendo esercitato il carico di Presidente per quindici anni, non valendo per la sua vecchiaia a sostener più tanto peso, tornò nell'anno 1555 nel Consiglio Collaterale; da dove pure per l'età sua decrepita si licenziò, ritenendosi solo l'ufficio del Viceprotonotario, che da lui, per non obbligarlo a molta fatica, fin che visse fu esercitato. Morì finalmente in Napoli nell anno 1559 e fu sepolto in S. Maria della Nuova, nella Cappella de' suoi maggiori, dove si vede il suo tumulto con iscrizione89.

Tommaso Salernitano appena giunto all'età di 18 anni diede saggi così maravigliosi di quanto intendesse nella scienza delle leggi, che fu ammesso in quell'età ad interpetrarle ne' pubblici Studi di Napoli: si diede poi ad avvocar cause, e riuscì così eccellente, che non guari da poi fu creato Presidente della Regia Camera. Nel Regno di Filippo II fu adoperato nei più gravi affari di Stato, e mandato in Germania per la famosa causa del Ducato di Bari; onde da poi nel 1567 fu creato Presidente del S. C. e da poi nel 1570 Reggente di Cancelleria. Ci lasciò di se illustre memoria per le dotte decisioni da lui compilate, le quali impresse vanno ora per le mani de' nostri Professori. Morì egli in Napoli nel 1584, e fu sepolto nella Chiesa di S. Maria delle Grazie nella Cappella sua gentilizia, ove si vede il suo tumulo con iscrizione. Paolo Regio Vescovo di Vico Equense e famoso Predicatore di que' tempi, gli compose un'orazion funebre, dove cotanto estolse le sue virtù e le famose sue gesta90; ed il nostro rinomato Poeta Bernardino Rota non mancò ne' suoi versi altamente di lodarlo91.

Giovan Andrea de Curte, di cui Uberto Foglietta92 tessè grandi encomj, secondo questo Scrittore trasse sua origine da Pavia; ma i nostri93 vogliono che procedesse dalla Cava. Fu egli figliuolo di Modesto, Giudice della Gran Corte della Vicaria, il quale applicatosi allo studio delle leggi riuscì un chiarissimo Giureconsulto; e dopo avere alquanti anni seduto in Vicaria, l'Imperador Carlo V lo creò Consigliere di S. Chiara. Ne' tumulti accaduti in Napoli nel 1547, per cagion dell'Inquisizione, poco mancò che dalla plebe non fosse stato, insieme co' suoi figliuoli, tagliato a pezzi; poichè vedendo egli la città tutta in arme, deliberò (seguendo le vestigia degli altri uomini pacifici e da bene) colla sua famiglia uscirsene; il che saputosi da' popolani, i quali l'ebbero sempre per partigiano del Vicerè Toledo, gli corsero furiosamente dietro, ed ancorchè si fosse egli ricovrato in un Convento di Frati, ruppero le porte, fecero violenza ai Monaci, affinchè glie lo additassero; ma essi costantemente negando essere presso di loro, e per altra via affermando essersi salvato; dopo avere spiati tutti i nascondigli del Monastero, rabbiosamente corsero insino alla Torre del Greco, dove avean inteso essersi ricovrati i di lui figliuoli, e sarebbero questi innocenti capitati male, se i paesani di quel luogo non fossero accorsi colle armi alle mani a reprimere il lor furore. Uno di questi suoi figliuoli fu Mario cotanto dal Foglietta celebrato, con cui, mentre fu in Napoli, contrasse stretta amicizia, il qual poi riuscì un gran Teologo, ed uno de' famosi Predicatori appresso il Re Filippo II, dal quale fu Giovan-Andrea, in premio della sua dottrina e de' suoi segnalati servigi, innalzato al supremo onore di Presidente del Consiglio. Morì egli nel 1576, e giace sepolto nella Chiesa di S. Severino nella Cappella sua gentilizia, dove si vede il suo tumulo con iscrizione. Di lui ancora altamente cantò Bernardino Rota94, ed il Presidente de Franchis95 non tralasciò di farne onorata memoria.

Ma sopra tutti costoro, non meno per dottrina legale, che per varia e profonda letteratura, rilusse Scipion Capece figliuolo d'Antonio. Fu ne' suoi primi anni dato allo studio delle lettere umane e della filosofia, e nel poetare e nell'orare riuscì eminentissimo, tanto che fu riputato per uno de' più culti Poeti de' suoi tempi. Compose egli due libri De Principiis Rerum, che dedicò al Pontefice Paolo III, cotanto lodati dal Cardinal Bembo e da Paolo Manuzio, che non ebbero difficoltà di paragonarli a' libri di Tito Lucrezio Caro. Scrisse ancora in versi eroici la vita di Cristo e le lodi del suo precursore Giovan-Battista, in tre libri, che intitolò: De Vate Maximo: li quali da Giovan-Francesco di Capua Conte di Palena furono dedicati al Pontefice Clemente VII. Ed alcune sue Elegie ed Epigrammi meritarono il comun applauso de' più insigni Letterati di que' tempi, de' quali il Nicodemo96 tessè lungo catalogo.

Non meno in questi studi, che ne' più rigidi e severi delle nostre leggi riuscì eminente. Egli non men nel Foro che nelle Cattedre tenne a suoi tempi il vanto: ne' nostri supremi Tribunali fu riputato il primo fra gli Avvocati, e nell'Università degli Studi occupò nell'anno 1534 la Cattedra primaria vespertina del Jus civile, che la tenne insino all'anno 1537. Venuto in Napoli l'Imperador Carlo V, a Scipione fu dato il carico di fargli l'orazione pel suo ricevimento; onde Cesare in ricompensa della sua dottrina, e di sì eminente letteratura, lo creò Consigliere di S. Chiara. Compose egli molti Commentarj sopra vari Titoli delle Pandette, da lui esposti nell'Università de' nostri studi, de' quali solamente si vede impresso quello, che compilò sopra il titolo De Aquirenda Possessione, che fu dedicato a D. Lodovico di Toledo figliuolo di D. Pietro Vicerè, nel quale promette fra breve darne alla luce un altro sopra il titolo Soluto Matrimonio. Compose eziandio un breve trattato intitolato, Magistratuum Regni Neapolis qualiter cum antiquis Romanorum conveniant, Compendiolum, il qual prima fu impresso in Salerno nel 1544, e da poi in Napoli nel 1594. Morì quest'insigne Scrittore nell'anno 1545, e giace sepolto nella Chiesa di San Domenico Maggiore nella Capella sua gentilizia, dove si vede il suo tumulo97.

Bisogna unire al Capece Marino Freccia, che oltre alla Giurisprudenza, ebbe buon gusto dell'istoria, e fu il primo fra noi, che di questo difetto riprese i nostri Scrittori, li quali, avendola trascurata, inciamparono in mille errori: fu egli vago delle nostre antiche memorie, ed a lui dobbiamo alcuni frammenti d'Erchemperto, che furono da poi impressi da Camillo Pellegrino nella sua Istoria de' Principi Longobardi. Il libro ch'egli compose De subfeudis e dedicò al Cardinal Pacecco, mentre governava il Regno, dimostra quanto gli fosse a cuore d'illustrare le cose del nostro Regno, e quanto fosse benemerito delle nostre antichità. Trasse egli sua origine da Ravello e per la sua eminente dottrina legale, e spezialmente de' feudi, da lui prima nelle Cattedre de' nostri studi esposti, fu dall'Imperador Carlo V nel 1540 creato Consigliere del nostro Sacro Consiglio, di cui parimente da poi fu Propresidente. Compose ancora un altro trattato De formulis Investiturarum, il quale, prevenuto dalla morte, non potè ridurlo a perfezione: ed essendo ancor giovanetto di venti anni distese il trattato De Praesentatione Instrumentorum, che corre ora per le mani de' nostri Professori. Morì egli nell'anno 1562 e fu sepolto nella sua Cappella gentilizia in S. Domenico Maggiore, ove s'addita il suo tumulo con iscrizione98.

84.Cap. et Graz. del Regno di Carlo V.
85.V. Toppi de Orig. Tribun. par. 2 lib. 4 c. I. num. 87.
86.Camer. cons. 371 post. Cannet.
87.V. Toppi, de Orig. Trib. t. 3 p. 187.
88.V. Toppi de Orig. Trib. t. 2 l. 4 c. 1 n. 22.
89.V. Toppi de Orig. Trib. tom. 2 1. 3 cap. n. 23.
90.V. Toppi loc. cit. n. 25.
91.Rota Epigram. fol. 59.
92.Foliet. tumul. Neap.
93.Vedi Toppi loc. cit. num. 26.
94.Rota Epigram. fol 39.
95.Franchis decis. 470 num. 4.
96.Nicod. Addit. ad Biblioth.
97.V. Topp. de Orig Trib. tom. 2 lib. 4 cap. 1 num. 98.
98.V. Toppi loc. cit. numer. 101.
Yaş sınırı:
12+
Litres'teki yayın tarihi:
22 ekim 2017
Hacim:
520 s. 1 illüstrasyon
Telif hakkı:
Public Domain
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