Kitabı oku: «Scritti scelti», sayfa 3
Premessa dei curatori
Questo volume raccoglie una selezione assai ridotta delle pubblicazioni di Giuliano Bernini, a oggi più di cento. Vista la costante alta qualità e originalità dei lavori da lui prodotti, per noi curatori non è stato facile decidere quali contributi inserire in questa sorta di antologia e quali invece sacrificare1. Per questa cernita piuttosto laboriosa, e comunque affettivamente non indolore, ci siamo dunque lasciati ispirare da alcuni criteri che almeno nelle nostre intenzioni permettessero di rendere questo volume un insieme scientificamente organico e coerente, nonostante la molteplicità degli argomenti trattati.
Il primo criterio adottato è quindi stato quello della rappresentatività dei temi affrontati via via nel corso degli anni da Giuliano. Infatti, un elenco anche cursorio delle aree di ricerca da lui frequentate colpisce per l’ampiezza dello spettro di tematiche trattate, che include perlomeno linguistica acquisizionale, linguistica applicata, linguistica comparata, linguistica teorica, sociolinguistica e dialettologia, tipologia linguistica, sovente messe in fruttuoso rapporto dialettico tra loro. La versatilità intellettuale di Giuliano – qualità rara – ha così portato a riproporre in questa raccolta ricerche relative ad argomenti tra loro assai diversi, tra cui alcuni squisitamente tecnici quali la fonologia dell’interlingua, la negazione proibitiva, o l’impatto di Ferdinand de Saussure sugli approcci funzionalisti contemporanei; e altri invece caratterizzati da attualità di prospettiva come il contributo sulle politiche e le pratiche di insegnamento linguistico nell’università italiana. Per quanto relativi a temi eterogenei, questi lavori sono però caratterizzati da tratti ricorrenti che testimoniano la coerenza del percorso scientifico di Giuliano. Anzitutto l’adesione critica a una ricerca empirica in cui ogni affermazione deve essere basata su dati reali, per lo più osservati o elicitati in prima persona, come ben illustra l’inedito sulla trascrizione del parlato di non nativi contenuto in questo volume. Poi – perlomeno fin là dove sia possibile – l’orientamento tipologico, che serve a inquadrare il fenomeno sotto indagine, a fornirne una chiave interpretativa per l’analisi, nonché un commento di natura comparativa o contrastiva. Infine, il riconoscimento che ciascun dato osservabile non solo può sempre essere analizzato perché parte di un sistema, ma può esserlo da prospettive diverse e solitamente complementari, come testimonia il fatto che nei contributi ricorrono esempi indagati da punti di vista sempre nuovi.
Il secondo criterio cui ci si è ispirati nella scelta dei contributi è stato quello della rappresentatività dei registri. Infatti, oltre alla vasta produzione scientifica destinata alla comunità accademica, Giuliano sin dai primi anni della sua carriera si è dedicato con passione anche alla stesura di lavori indirizzati ad apprendenti e insegnanti di lingue, mettendo così a frutto le competenze acquisite in anni di lavoro e dando seguito a quella che oggi nel linguaggio ministeriale è chiamata “terza missione”. In tal senso spiccano particolarmente l’attenzione dedicata al tedesco come lingua straniera (ad esempio: Grammatica tedesca. I programmi di frase, CELSB 1981) e all’italiano come lingua seconda, senza però dimenticare l’interesse rivolto ai lettori della stampa generalista, come nel caso della lettera destinata al quotidiano Die Zeit riprodotta in questo volume e mai pubblicata prima d’ora. Sono, questi, dei lavori da cui emergono con forza e limpidezza la costante spinta al pubblico servizio e il convinto spirito di impegno civile di Giuliano, sempre attivo nella diffusione a tutti i livelli del sapere specialistico e nella promozione di una possibile interpretazione linguistica – e quindi non immediatamente politica – dei comportamenti individuali e sociali.
Il terzo criterio adottato nella scelta dei contributi è stato quello, solo apparentemente secondario, della loro reperibilità. Questa è la ragione che ha indotto a privilegiare la riproposizione di articoli di data meno recente ma ancora stimolanti, o pubblicati in sedi meno facilmente accessibili ma comunque meritevoli di rinnovata attenzione. Ci è parso, questo, il modo più semplice ed efficace per garantire, a chi ne fosse interessato, la possibilità di più compiutamente ricostruire il complesso del pensiero scientifico di Giuliano non solo da un punto di vista filologico, ma per recuperarne una lezione pienamente attuale.
Da ultimo, il quarto criterio, quello in cui ci si è concessi, con misura, di far prevalere il tratto della consuetudine amichevole con Giuliano: quello dell’interesse personale di chi ha curato la raccolta che qui viene proposta, ovvero colleghi, allievi, e amici che, riconoscenti per i tanti insegnamenti e le opportunità di confronto da lui ricevute, hanno inteso farsi portavoce del sentimento della comunità scientifica e dare un segno, che fosse evidente e concreto, della gratitudine e della stima per Giuliano Bernini.
Pierluigi Cuzzolin, Roberta Grassi, Lorenzo Spreafico, Ada Valentini. Università degli studi di Bergamo
1 Le preposizioni nell’italiano lingua seconda1
1.1 Introduzione
In questo contributo intendo presentare alcuni aspetti dello sviluppo dell’uso delle preposizioni nei processi di apprendimento spontaneo dell’italiano come lingua seconda. La discussione riguarderà solo il quadro generale dei percorsi di apprendimento delle preposizioni italiane, metterà cioè in luce solo i principali momenti dello sviluppo della grammatica delle preposizioni, nel tentativo di ipotizzare una sequenza di acquisizione da sottoporre a verifica e da precisare nei dettagli sulla base dell’analisi comparata di dati, soprattutto longitudinali, di altri apprendenti con lingue prime diverse1.
La discussione è fondata su dati forniti da diversi soggetti: si tratta di un’apprendente germanofona di 48 anni, che indicheremo convenzionalmente con la sigla TE2; di sei apprendenti arabofoni, che indicheremo con le sigle AE1, AE2, AE3, AE4, AP, AL3; di un giovane apprendente eritreo di lingua tigrina, che indicheremo invece con TI4. Le registrazioni da cui sono tratti i dati per tutti i soggetti presi in esame sono costituiti da conversazioni libere con l’intervistatore (lo scrivente per gli arabi e TI, Flavia Drei per TE).
1.2 Osservazioni contrastive
Prima di affrontare il nostro tema, è necessario fare alcune considerazioni, ancorché di ordine molto generale, sulle preposizioni, con particolare riguardo, ovviamente, all’italiano e al confronto fra questo e le lingue dei nostri apprendenti, cioè tedesco, arabo colloquiale, tigrino.
Anzitutto va osservato che le preposizioni hanno uno statuto intermedio tra il lessico e la grammatica1. Alcune di esse possiedono un significato concreto e sono prevalentemente monosemiche (tra/fra e tutte le locuzioni prepositive: dopo di, fino a, da parte di, in seguito a, etc.) oppure mostrano una lieve polisemia (p. es. con, comitativo e strumentale, e su, locativo-direttivo e argomento). Altre, invece, veicolano un significato più propriamente grammaticale, concorrendo ad esprimere le funzioni sintattiche che in altre lingue (p. es. il latino) sono espresse da casi: a, p. es., serve per codificare il dativo e, almeno nel parlato comune, l’accusativo di nomi umani dislocati, come in:
A Carlo la cosa non lo (ACCUSATIVO) convince.
L’intersezione di caratteristiche lessicali e grammaticali è di nuovo ben illustrata dalla stessa preposizione a, che oltre ad avere i significati “grammaticali” di dativo e, in certi casi, di accusativo, possiede anche il significato più “concreto” di stato in luogo e direzione, come in essere/andare all’università. L’intersezione di lessico e grammatica si può inoltre notare nel caso dei complementi circostanziali con verbi come mettere: questi complementi rappresentano una funzione sintattica obbligatoria prevista dalla valenza del verbo, che viene realizzata con una gamma definita di elementi lessicali, e precisamente, nel nostro esempio, con le preposizioni dotate del tratto [locativo-direttivo], come in:
Carlo mette il libro nell’/sull’/sopra/sotto/dietro l’armadio.
Inoltre le preposizioni con un significato più spiccatamente lessicale mostrano tendenzialmente poca polisemia (un argomento che tratteremo in specifico tra poco) e possono funzionare in certi casi anche da avverbi (p. es. su, sotto, dopo, etc.). D’altro canto l’uso delle preposizioni per esprimere funzioni sintattiche ne appanna il significato fino a renderle elementi puramente relazionali, come mostra la reggenza fissa di molti verbi e aggettivi, come contare su, convincere di, credere in, entusiasmarsi per, riuscire a; deciso a, soddisfatto di, etc. Le preposizioni di questo tipo, poi, oltre ad accompagnare sintagmi nominali, possono introdurre anche subordinate implicite e vanno così a confondersi con le congiunzioni, cfr.
desideroso di successo / di vedere i bambini.
Un’altra caratteristica delle preposizioni italiane è costituita da diffusi casi di polisemia, soprattutto per quelle preposizioni che veicolano più che altro significati grammaticali, come a, che abbiamo già avuto modo di discutere poco sopra. Un altro esempio notevole, a questo riguardo, è fornito da da, come mostrano gli esempi seguenti:
Carlo viene da Roma (PROVENIENZA);
Carlo viene da Irene (DIREZIONE);
Carlo è stato battuto da Luigi (AGENTE).
Notevoli sono anche i casi di sinonimia parziale, illustrati emblematicamente da a e in, che sono interscambiabili davanti a nomi indicanti luoghi chiusi pur senza totale identità di significato (p. es. al/nel cinema, a/in casa), mentre in altri casi il loro impiego è governato dal tipo di lessema (p. es. in montagna, in Sicilia, a Roma, a Cipro)2.
Infine non si può dimenticare la parziale allomorfia che caratterizza l’agglutinazione di di e in con l’articolo (nel, del, etc.)3.
Vediamo ora come le tre lingue prime degli apprendenti presi in esame rispondono all’organizzazione delle caratteristiche generali delle preposizioni italiane. In tedesco, come è ampiamente noto4, abbiamo accanto alle preposizioni un paio di posposizioni e di circumposizioni (p. es. den Fluß entlang “lungo il fiume”, um Gottes willen “per l’amor di dio”). Le preposizioni possono anche funzionare da avverbi/particelle (pre)verbali, come nell’esempio seguente:
Kurt stieg aus dem Zug aus
“Kurt scese dal treno”
dove il primo aus introduce un SP e il secondo è una particella col significato di “fuori da” (cfr. aussteigen “scendere” vs. steigen “salire”). Non ci sono invece sovrapposizioni tra la categoria di preposizione e quella di congiunzione (forse con l’unica eccezione di um e statt che possono introdurre subordinate implicite).
Dal punto di vista morfosintattico le preposizioni vengono usate insieme ai casi e codificano solo le funzioni circostanziali, mentre quelle fondamentali di soggetto e di oggetto diretto, indiretto e in parte obliquo sono appannaggio dei casi, cfr.
Der Schüler (NOM) gibt dem Lehrer (DAT) den Bleistift (ACC)
“Lo scolaro dà la matita al maestro”.
Il complemento di specificazione può essere reso sia col genitivo che con la preposizione von, che regge il dativo, come in das Haus des Lehrers/von dem Lehrer “la casa dell’insegnante”. Per quanto riguarda infine il piano semantico, l’organizzazione dei significati, soprattutto di quelli spaziali, è caratterizzata dalla pertinenza della distinzione tra stato e direzione (p. es. in dem Haus (LOCATIVO) vs. in das Haus (DIRETTIVO) “nella casa”) e di quella tra “inclusione” (in) e “vicinanza” (bei, zu “presso”) e tra presenza e assenza di contatto (p. es. auf. vs. über, ambedue col significato di “su”).
Le diverse varietà di arabo parlate in Egitto, in Palestina e in Libia5 mostrano, sempre per quanto riguarda le preposizioni, un quadro simile a quello dell’italiano. Infatti si sovrappongono in parte agli avverbi (p. es. egiz./pal. fōʔ, lib. fōg “sopra, su”) e, in mancanza di un sistema di casi, codificano oggetti indiretti ed obliqui, oltre che, naturalmente, i circostanziali. Occorre però notare che certi verbi i cui corrispondenti italiani reggono un complemento di moto, in arabo sono transitivi, p. es. daxal “entrò”.
Inoltre, almeno in arabo egiziano, con verbi di moto spesso la preposizione è facoltativa, cfr.
La costruzione possessiva nominale ha, come in italiano, l’ordine testa-modificatore ed è indicata o dalla sola giustapposizione dei nominali o dall’inserzione, fra questi, di un cosiddetto “esponente di genitivo” che concorda in genere e in numero con la testa e che in egiz. è bitāc, in lib. imtāc, in palest. tabāc, p. es.
oppure
ma
Per quanto riguarda l’organizzazione semantica, occorre notare che la distinzione tra stato e moto è pertinente solo per fi “in, a” (locativo) e li “in, a” (direttivo), ma non, p. es. cand “presso” o calā “su”. Degni di nota sono anche la coincidenza di dativo, benefattivo/finale e direttivo in li e l’uso di li e di cand “presso”, talvolta anche di maca “con”, in costruzioni che traducono il nostro verbo avere, p. es.
Infine, l’arabo non ha subordinate implicite e le preposizioni non possono accompagnare sintagmi verbali.
Il tigrino mostra un quadro notevolmente diverso6: è una lingua con ordine basico SOV e con un sistema misto di preposizioni e circumposizioni. Queste ultime si appongono non solo a SN, ma anche a intere frasi, cfr.
Le circumposizioni si usano per esprimere relazioni spaziali e temporali. Per quanto riguarda invece le relazioni sintattiche fondamentali, la preposizione nɨ è usata per il moto a luogo, il dativo e, facoltativamente, l’accusativo definito. Il genitivo è espresso dalla giustapposizione di posseduto e possessore (cioè con l’ordine testa-modificatore) o mediante la preposizione nay, però con l’ordine inverso modificatore-testa, come in
Le sommarie osservazioni testé fatte per il tedesco, l’arabo parlato e il tigrino mostrano come le preposizioni, una categoria presente in tutte e tre le lingue nonostante la diversa filiazione tipologica, non condividano analoghi valori nell’ambito del sistema morfosintattico cui appartengono. Dal punto di vista contrastivo rispetto all’italiano, in particolare, si deve rilevare:
a) la diversa sovrapposizione di preposizioni e di avverbi (o particelle preverbali a questi simili) da una parte e congiunzioni dall’altra;
b) il diverso ruolo delle preposizioni nella codificazione delle relazioni sintattiche fondamentali, a seconda della presenza o dell’assenza di un sistema di casi;
c) la diversa organizzazione interna semantica delle preposizioni, con pertinentizzazione di distinzioni più o meno fini, polisemia e sinonimia.
1.3 L’acquisizione delle preposizioni
Vediamo ora come si configura la ricostruzione delle funzioni delle preposizioni italiane nei processi di apprendimento di lingua seconda attraverso i diversi stadi di avvicinamento alla lingua di arrivo. Ovviamente, dato il quadro tipologico-contrastivo abbozzato sopra, l’apprendimento sarà caratterizzato soprattutto da fenomeni di semplificazione del sistema della lingua di arrivo sia nel senso di impoverimento dell’inventario dei suoi elementi che di una regolarizzazione nell’uso di questi1. Minimo sarà il ruolo giocato dall’interferenza a livello superficiale date le scarse possibilità di identificazioni interlinguistiche di elementi della prima e della seconda lingua2.
1.3.1 Sintagmi fissi
I primi stadi di apprendimento sono caratterizzati da SP che costituiscono espressioni fisse, come p. es. a casa, al ristorante, da solo, in giro, sul lavoro, sul Nilo. Si tratta, in parte, di espressioni quasi idiomatiche (da solo, in giro, anche a casa) che possono funzionare come unità lessicali, come mostra l’esempio seguente:
In parte si tratta invece di SP con preposizione articolata, che in queste varietà di apprendimento è indizio sicuro di sintagma non analizzato, in quanto l’articolo non si è ancora pienamente sviluppato1.
A questo gruppo va assegnata la stragrande maggioranza delle occorrenze della preposizione su, che compare quasi sempre nella forma articolata, cfr., oltre ai due esempi già riportati:
A parte alcune sovraestensioni in AE1 (su Natali, su la radio), abbiamo sostanzialmente solo esempi di sintagmi fissi. Solo AL e AP usano regolarmente su, che viene talvolta sovraesteso, come nell’esempio seguente:
Questo ritardo nell’apprendimento di su è probabilmente legato anche a un suo uso relativamente poco frequente, nel parlato dei nativi, al di fuori dei casi esemplificati2.
Ai sintagmi fissi possiamo accostare il caso delle risposte eco a domande dell’intervistatore, dove la preposizione è fornita dal contesto del discorso, come in:
Anche se non possiamo più parlare di sintagmi fissi, ma di SP veri e propri, come mostra la presenza di materiali lessicali diversi nelle domande e nelle risposte dei due esempi riportati, questi casi, come i precedenti, non rientrano pienamente nel processo di apprendimento, in quanto le relative preposizioni non vengono usate autonomamente dall’apprendente, ma ripetute su stimolo dell’intervistatore3.
1.3.2 Le prime preposizioni
Sempre nei primi stadi, i primi casi di apprendimento sono costituiti dalla posposizione fa e dalle locuzioni prepositive fino (a) (solo in senso temporale) e vicino a, cfr.
Si tratta, come facilmente si può notare, di elementi dal significato “concreto” e che non servono ad esprimere relazioni grammaticali. Oltre a ciò, tutti e tre sono solidali col materiale lessicale che reggono per i tratti [tempo] e [luogo] rispettivamente e rispondono ai primi bisogni comunicativi degli immigrati1.
1.3.3 Assenza di preposizioni
Oltre che da espressioni fisse e dalle tre adposizioni viste nel precedente paragrafo, le varietà di apprendimento meno sviluppate sono anche caratterizzate da moltissimi casi di assenza di preposizioni, come mostrano gli esempi seguenti:
AE2: | andato Napoli e boi a Venesia1 | |
I: | al Cairo? | |
AE1: | no, mio baese | |
I: | con cosa? con il treno o – | |
TI: | no, aereo | |
TI: | io Asmara + eh + collegio La Sale quattro anni | |
“io [ho studiato] all’Asmara, al collegio La Salle, per quattro anni” | ||
I: | perché sei venuto in Italia? | |
TI: | eh + c’è il problema la militaria | |
“c’è il problema dei militari” | ||
TE: | sua mamma questo filio (19.12.85) | |
“la mamma di questo ragazzo” | ||
TE: | sorella mio marito (10.1.86) | |
“la sorella di mio marito” | ||
TE: | cane portato legno suo padrone (2.12.85) |
Come si vede, le relazioni che rimangono inespresse sono di diverso tipo: spaziale, temporale, strumentale, genitivo, dativo. Tra queste, le più diffuse sono quelle spaziali, che non vengono esplicitate da una preposizione anche in stadi di apprendimento più avanzati, cfr.
Per i quattro apprendenti arabofoni con interlingue meno sviluppate (cioè AE1, AE2, AE3, AE4), i locativi-direttivi rappresentano circa la metà di tutti i casi di assenza di preposizione. Anche se si potrebbe parlare, in questo caso, di parziale interferenza, dato il fatto che, almeno nella varietà di arabo egiziano, la preposizione li per il moto a luogo è facoltativa e a certi verbi intransitivi italiani corrispondono in arabo verbi transitivi (v. sopra § 1.2), tale ipotesi viene confutata dall’assenza di preposizione anche con i locativi, mentre fi, che vi corrisponde in arabo, non è mai cancellato, e dal fatto che questo stesso fenomeno si osserva anche per apprendenti con un diverso retroterra linguistico2.
I casi di assenza di preposizione fanno riscontro alle proprietà strutturali degli enunciati delle prime varietà di apprendimento, caratterizzati dall’assenza di legami sintattici espliciti (quali appunto le preposizioni), che possono essere recuperati dal contesto o dal senso delle parole impiegate, come mostrano tutti i nostri esempi3. Questo ci fa meglio comprendere la persistenza di complementi di luogo (e in parte di tempo) senza preposizione, ridondanti con nominali già dotati del tratto [luogo], soprattutto in quei contesti dove c’è anche un verbo di moto o di stato.