Kitabı oku: «Colomba», sayfa 3
– Egli potrà svagarsi – pensava; – povero diavolo, è così melanconico.
– Dimmi, dimmi, – diceva a Colomba, avvicinandole il volto all’orecchio, – andremo alla festa del Miracolo, eh? Ti porterà in groppa al suo cavallo Antonio Azar, e tutte le ragazze morranno d’invidia, vedendoti con un professore.
– Io andrò sola sul mio cavallo, – rispose Colomba; – non farò morire d’invidia nessuno.
Poi domandò ad Antonio se nella città, ove egli viveva, gli uomini usavano cavalcare e se le donne andavano in groppa ai loro cavalli.
– No, – disse egli, ridendo acremente, – ma son le donne che si servono degli uomini come di cavalli, e li domano anche se essi sono fieri come puledri.
– Oh, oh!
– Perché ridi? – disse Efes Mulas. – Eppure è così.
– Non rido per questo, – ella rispose con brio, – ma perché quell’usanza c’è da per tutto, quando la donna è buona domatrice.
– E tu saresti una buona domatrice!
– Io? Più delle altre.
– Vuoi provare?
– Con lei non ne vale la pena.
– No, con Antonio Azar…
Ella arrossì lievemente e chinò gli occhi sotto l’ardente sguardo di Antonio.
Appena finita la cena zio Martino si alzò, e disse alla figlia:
– Andiamo.
– Ora che avete bevuto e mangiato, ora che ci avete rosicchiato le ossa, ora ve ne andate – gridò zio Azar, che era quasi brillo. – Rimanete qui a passare la notte, altrimenti non vi guardo più in faccia.
Ma zio Martino, sebbene anch’egli brillo, guardava torvo i due giovanotti, e insisté finché Colomba non si alzò.
– Addio, – ella disse, scotendosi lievemente le vesti, – andate a caccia e divertitevi assai.
– Se potessimo incontrare una colomba! – le sussurrò Antonio. – Verrò a trovarti in paese, bellina.
Il pastore e la figlia se ne andarono, e appena furono un po’ lontani, zio Martino disse ferocemente:
– Io lo accoppo un giorno o l’altro quell’Efes Mulas, e se tu gli dai ascolto, ti prendo per i capelli e ti trascino per terra come una scopa.
– Io non penso a lui! – ella rispose: e la sua voce risuonò forte e fiera nel silenzio della notte.
Intanto i due amici vagarono per la brughiera, parlando di Colomba.
– È una ragazza colla quale io mi divertirei volentieri – diceva Efes. – Ma più conveniente è per te: io ne conosco tante altre. Tu l’hai vicina di casa, dove sta sola con la nonna sorda; ed inoltre puoi vederla spesso da queste parti, ov’ella viene quasi ogni giorno per portare i viveri al padre. Divertiti, stupido: perché guardi così le stelle? Esse si ridono dei poeti e dei sognatori. La vita è breve, ma si può goderla anche nei paeselli, Colomba…
– Taci! – interruppe aspramente Antonio. – Non tutti nascono per divertirsi.
Eppure Colomba gli piaceva. Egli la incontrava spesso, in paese e in campagna, e più d’una volta fecero assieme la strada dal villaggio all’ovile.
Colomba gli raccontava le sue pene:
– Vogliono ch’io sposi Petru Loi, ma io non lo voglio; mio padre e i miei zii minacciano di bastonarmi, ma del resto non lo faranno mai perché mi vogliono bene, e perché io poi non mi lascio bastonare: eh, eh, per me non ci vogliono gli occhi cisposi di Petru Loi!
– Che occhi dunque ci vogliono?
– Due occhi che sembrano due stelle.
– Allora neppure i miei, Colomba?
– I suoi stanno più in alto delle stelle, e non possono abbassarsi fino a me.
– Chi lo sa, Colomba? – egli diceva, tentando di prenderle una mano.
Ma ella si allontanava, fiera.
– Mi lasci, signor professore, mi lasci andare per la mia via: io non faccio per lei, né lei per me. D’altronde lei ha la sua sposa.
Bastava quest’accenno perché Antonio si gelasse e diventasse fosco: e Colomba ne provava gelosia.
Spesso andavano assieme senza incontrare anima vivente nei sentieri dell’altipiano.
Qualche volta tornavano anche assieme, all’aurora, attraverso le macchie, attraverso i campi gialli di stoppie e di asfodelo secco, a cui l’oriente roseo dava riflessi rosei. Il cielo era fresco e puro; un soffio di brezza, profumato dai cespugli aromatici, passava sull’altipiano; le quaglie cantavano fra le stoppie, e nugoli di uccelli volavano trillando e frusciando da una macchia all’altra. Era un quadro mirabile, sul quale Colomba s’ergeva luminosamente.
Antonio non si saziava di guardarla; e avrebbe voluto innamorarsene sul serio, ma molte ragioni ne lo distoglievano.
La sua prudenza però non impediva che Colomba si scaldasse per lui: ed egli ne provava un acre piacere. Ogni volta che ella andava all’ovile, anch’egli passava la notte in campagna.
E cominciò a menare una vita abbastanza selvatica, mangiando coi pastori e dormendo spesso all’aperto.
Ma invano cercava compiacersi di quella vita, i cui disagi non erano abbastanza ricompensati dalla poesia selvaggia della solitudine. Forse anche non si prestava la stagione, sebbene le ore che egli passava nella brughiera fossero le meno calde.
A momenti, è vero, egli inebriavasi di solitudine, di silenzio, e della pace delle notti lunari che lassù erano indescrivibilmente belle; ma era una ebbrezza triste, sconsolata. Gli pareva che un sogno di morte gravasse sull’altipiano, e che egli solo vivesse e vagasse, anima errante, entro quel cerchio di orizzonti argentei e luminosi, infiniti e irraggiungibili come i sogni che egli aveva avuto nei dì felici.
Voci arcane vibravano nella notte; ma il canto eguale del cuculo, le cui note cadevano come lacrime, il trillare dei grilli, le campanelle delle greggie, infine tutte le voci della notte avevano una cadenza di suprema tristezza.
Egli si sentiva accorato e vinto: pensava sempre a Maria la sua ex-fidanzata, al dolore che ella gli aveva dato, e gli pareva che il passato tutto fosse un sogno, dal quale egli erasi svegliato ad una ben triste realtà.
Intanto Colomba cominciava a commettere per lui qualche piccola pazzia. In paese ella andava in casa Azar ora con una scusa, ora con un’altra. Avvertiva Antonio quando doveva recarsi all’ovile, gli faceva qualche regaluccio; fra le altre cose gli donò un fazzolettino ricamato da lei; e il ricamo abbastanza primitivo, ma assai espressivo, rappresentava una colomba col petto trapassato da una freccia.
Egli accettava sorridendo i doni della fanciulla, ma li poneva da parte con discreta noncuranza, e in certi momenti guardava Colomba con occhio diffidente.
– Che questa creatura primitiva sia come tutte le altre? – pensava. – Che anch’ella sia una civetta, e che osi sperare in me un marito? Io sono brutto, ed ella non può guardarmi e stimarmi per la mia intelligenza, come l’altra. Colomba può bene innamorarsi di Efes Mulas che è bello, ma forse ella si guarda bene dal pensare a lui perché sa che egli non la sposerebbe mai. Che mi creda un allocco? Perché parlo poco, perché ho un esteriore così umile, ella spera di tirarmi nella sua rete? È furba la paesanina, e tutte le donne sono eguali; ma vediamo dunque come andrà a finire. Voglio studiarla, questa figlia delle macchie, voglio vedere se ha qualche affinità con quell’altra.
Così anch’egli cominciò ad andare in cerca di lei; ma quando le stava vicino provava uno strano sentimento di dolcezza, e invece di studiar Colomba si lasciava cogliere dal fascino che indiscutibilmente la fanciulla esercitava su tutti gli uomini che l’avvicinavano.