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Kitabı oku: «Il piacere dell'onestà», sayfa 3

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Fabio. Come non può, scusi? che vuol dire?

Baldovino. Non posso, per la condizione stessa in cui lei mi mette, signor marchese! – Io devo vagare per forza nell’astratto. Guai se toccassi terra! – La realtà non è per me: se la riserba lei. La tocchi lei. Parli: io starò ad ascoltarla. – Sarò l’intelligenza che non scusa, ma compatisce —

Fabio (subito, additando se stesso). – la bestia? -

Baldovino. Scusi: conseguenza!

Fabio. Ma si! ma si! Ha ragione! E’ proprio così! Dunque, parlo io, parla la bestia: terra terra, alla buona, sa? lei ascolti e patisca. – Proprio per intenderci…

Baldovino. Dice per me?

Fabio. Con lei, ma si! Con chi dunque?

Baldovino. No, signor marchese! Con se stesso bisogna che lei s’intende Io, per me, ho già bell’e inteso tutto. – Ho parlato tanto – (non soglio mica parlare molto io, sa?) – ho parlato perché vorrei che lei si facesse capace di tutto, bene.

Fabio. Io?

Baldovino. Lei, lei. Per me, già ci sono. E’ facilissimo. – che debbo fare io? – Nulla. – Rappresento la forma. – L’azione – e non bella – la commette lei: – l’ha già commessa, e io gliela riparo; seguiterà a commetterla, e io la nasconderò. – Ma per nasconderla bene, nel suo stesso interesse e nell’interesse sopratutto della signorina, bisogna che lei mi rispetti ; e non le sarà facile nella parte che si vuol riserbare! – Rispetti, dico, non propriamente me, ma la forma – la forma che io rappresento. l’onesto marito d’una signora perbene. Non la vuol rispettare?

Fabio. Ma sì, certo!

Baldovino. E non comprende che sarà tanto più rigorosa e tiranna, questa forma, quanto più pura lei vorrà che sia la mia onestà? – Perciò le dicevo di badare alle conseguenze. – Non per me, per lei! Io, guardi: ho buone lenti per la mia filosofia. E per salvare, in queste condizioni, la mia dignità, mi basterà vedere nella donna che di nome sarà mia – una madre.

Fabio. Ecco, già… benissimo!

Baldovino. E concepire i miei rapporti con lei a traverso la creaturina che verrà – cioè, a traverso l’ufficio che mi toccherà d’adempiere: candido, nobilissimo ufficio, tutto compreso dell’innocenza del nascituro o della nascitura, che sarà. – Va bene così?

Fabio. Benissimo, sì sì, benissimo!

Baldovino. Per me, badi, non per lei benissimo! – Lei, signor marchese, più approva e più va incontro a un mondo di guaj!

Fabio. Come… perché, scusi? – Io non vedo tutte codeste difficoltà che vede lei!

Baldovino. Credo mio obbligo fargliele Vedere, signor marchese. Lei è un gentiluomo. Necessità di cose, di condizioni, la costringono a non agire onestamente. Ma lei non può fare a meno dell’onestà! Tanto Vero che, non potendo trovarla in ciò che fa, la vuole in me. Devo rappresentarla io, la sua onestà: – esser cioè, l’onesto marito devo rappresentarla io, la sua onestà: – esser cioè, l’onesto marito d’una donna, che non può essere sua moglie; l’onesto padre d’un nascituro, che non può essere suo figlio. E’ vero questo?

Fabio. sì, si, è vero.

Baldovino. Ma se la donna è sua, e non mia; se il figliolo è suo, e non mio, non capisce che non basterà che sia onesto soltanto io? – Dovrà essere onesto anche lei, signor marchese, davanti a me. Per forza! – Onesto io, onesti tutti. – Per forza!

Fabio. Come come? Non capisco! Aspetti…

Baldovino. Lei si sente mancare il terreno sotto i piedi.

Fabio. Ma no, dico… se debbono mutare le condizioni…

Baldovino. Per forza! Le muta lei! Queste apparenze da salvare, signor marchese, non sono soltanto per gli altri! Ce ne sarà una, qua – anche per voi! una che voi stessi avrete voluta e a cui io appunto dovrei dar corpo: – la vostra onestà. – Ci pensa lei? Badi che non è facile!

Fabio. Ma se lei sa!

Baldovino. Appunto perché so! – Parlo contro il mio interesse; ma non posso farne a meno. – La consiglio di rifletter bene, signor marchese!

Pausa. Fabio si alza e si mette a passeggiare concitatamente, costernato. Si alza anche Baldovino e aspetta.

Fabio (passeggiando). Certo che… comprenderà che… se io…

Baldovino. Ma sì, creda, sarà bene che lei ci rifletta ancora un poco, su quanto le ho detto, e lo riferisca – se crede – anche alla signorina.

Guarda appena verso l’uscio a destra.

Forse non ce ne sarà bisogno, perché… .

Fabio (voltandosi di scatto, con ira). Che cosa crede?

Baldovino (calmissimo, triste). Oh… sarebbe in fondo naturalissimo. – Io mi ritiro. – Mi comunicherà, o mi farà comunicare all’albergo le sue decisioni.

Fa per avviarsi; si volta.

Può contare intanto, signor marchese, insieme con la signorina, su la mia intera discrezione.

Fabio. Ci conto.

Baldovino (lento, grave). Sono carico, per conto mio, di ben altre colpe; e qui, per me, non c’è colpa, ma solo una sventura. – Qualunque sia la decisione, sappia che resterò sempre gratissimo – in segreto – al mio antico compagno di collegio, d’avermi stimato degno d’accostarmi onestamente a questa sventura.

Si inchina.

Signor marchese…

TELA

ATTO SECONDO

Magnifico salotto in casa Baldovino. Vi hanno posto alcuni mobili già veduti nel salotto dell’atto precedente. Uscio comune in fondo; usci laterali a destra e a sinistra.

SCENA PRIMA

Marchetto Fongi, il Marchese Fabio.

Fongi, al levarsi della tela, col cappello e il bastone in mano tiene coll’altra aperto il battente dell’uscio a sinistra e parla verso l’interno, a Baldovino. Fabio sta in attesa, come uno che non voglia farsi né vedere né sentire di là.

Fongi (verso l’interno). Grazie, grazie, Baldovino, sì… Ma figurati se non vorrò assistere alla candida festa! Grazie. Sarò qui, sarò qui con gli amici consiglieri, tra una mezz’oretta. A rivederci.

Chiude l’ uscio. si volta verso Fabio che gli si appressa in punta di piedi, strizza un occhio e gli fa un cenno furbesco col capo.

Fabio (piano, con ansia). Si? Credi proprio?.

Fongi (gli risponde prima col capo, tenendo ancora l’occhio strizzato). C’è cascato! c’è cascato!

Fabio. Pare anche a me. Sono già sei giorni!

Fongi (mostra tre dita d’una mano e le agita). Tre… trecento… trecentomila lire – Te l’ho detto? . – Non poteva fallire!

Gl’inserisce un braccio sotto il braccio e s’avvia con lui verso la comune, parlando.

Sarà una scena da commedia. Ma lasciate fare a me! lasciate fare a me! Lo piglieremo pulitamente per il bavero.

Via con Fabio.

SCENA SECONDA

Baldovino, Maurizio.

La scena resta vuota un tratto. Si apre l’uscio a sinistra e ne escono Baldovino e Maurizio.

Maurizio (guardando in giro). Ma sai che ti sei messo proprio bene?

Baldovino (astratto). si.

Con un sorriso ambiguo.

Con perfetto decoro.

Pausa.

E dunque… di’ di’, dove sei stato? .

Maurizio. Mah! Un po’ in giro. Fuori delle vie ordinarie.

Baldovino. Tu?

Maurizio. Perché? Non credi?

Baldovino. Fuori delle vie ordinarie? Nel senso che non sarai stato a Parigi o a Nizza o al Cairo. – Dove sei stato?

Maurizio. Nel paese del caucciù e delle banane!

Baldovino. Al Congo?

Maurizio. Sì. Nelle foreste. Oh sai? autentiche.

Baldovino. Ah! E belve, ne hai vedute?

Maurizio. Quei poveri negri delle mehalle.

Baldovino. No, dico belve sul serio: qualche tigre, qualche leopardo!

Maurizio. Che, che! Grazie. – Perdio, come ti sfavillano gli occhi!

Baldovino (sorride amaramente. piega le dita d’una mano e ne mostra le unghie a Maurizio). Vedi dove siamo arrivati? E non ce le tagliamo mica per disarmarci! anzi! Perché paiano più civili, le nostre mani: vale a dire più atte a una lotta ben più feroce di quella che i nostri avi bestioni combattevano, poveretti, con le sole unghie. – Ho avuto sempre, perciò, invidia delle belve. E tu, disgraziato, sei stato nelle foreste e non hai veduto nemmeno un lupo?

Maurizio. Via, via! – Parliamo di te. – Ebbene, come va?

Baldovino. Che cosa?

Maurizio. Ma, dico, tua moglie. Cioè… la signora?

Baldovino. Come vuoi che vada? Benissimo.

Maurizio. E… i tuoi rapporti?

Baldovino (lo guarda un po’; poi alzandosi). Che vuoi che siano!

Maurizio (cangiando tono, rinfrancandosi). Ti trovo benone, però, sai?

Baldovino. sì, mi occupo.

Maurizio. Ah, già! So che Fabio ha messo su una società anonima.

Baldovino. Sì, per mettermi le mani in pasta. – Fa ottimi affari.

Maurizio. Ne sei il consigliere delegato?

Baldovino. Fa ottimi affari per questo.

Maurizio. Già, già, ho saputo! E vorrei entrarci anch’io; ma… dicono che sei d’un rigore spaventoso!

Baldovino. Sfido! – non rubo…

Gli s’appressa, gli posa le mani su ambo le braccia.

Sai, per le mani, centinaj a di migliaj a. Poterle considerare come carta straccia; non sentirne più bisogno, minimamente -

Maurizio. – eh, per te dev’essere un gran piacere —

Baldovino. – divino! – E nessun colpo fallito, sai! – Ma si lavora, si lavora! – E bisogna che tutti mi seguano!

Maurizio. Già… è questo…

Baldovino. Si lamentano, eh? Di’ un po’. strillano? mordono il freno?

Maurizio. dicono… dicono che potresti essere un po’ meno… meticoloso, ecco!

Baldovino. Eh, lo so! . – Li soffoco! Soffoco tutti quanti. Chiunque mi s’accosti! – Ma tu lo capisci: non posso farne a meno! dieci mesi non sono più un uomo!

Maurizio. No? E che sei?

Baldovino. Ma te l’ho detto: quasi una divinità! – Potresti in tenderlo! – Non ho corpo se non per l’apparenza. Sto tuffato in mezzo alle cifre, alle speculazioni; ma sono per gli altri; non c’è – e voglio che non ci sia – un centesimo di mio! Sto qua, in questa bella casa, e quasi non vedo e non sento e non tocco nulla. Mi meraviglio io stesso talvolta d’udire il suono della mia voce, il rumore dei miei passi; d’avvertire che ho bisogno anch’io di bere un bicchier d’acqua o di riposarmi. – Vivo, capisci? de-li-zi-o-sa-men-te, nell’assoluto di una pura forma astratta!

Maurizio. Dovresti sentire un po’ di compassione per i poveri mortali!

Baldovino. La sento. ma non l’osso fare altrimenti. Lo dissi però, glielo feci bene osservare avanti, a tuo cugino il marchese! – Io sto ai patti.

Maurizio. Ma tu ci provi anche un diabolico gusto!

Baldovino. Non diabolico, no! Sospeso nell’aria, mi sono come adagiato su una nuvola: è il piacere dei Santi negli affreschi delle chiese!

Maurizio. Capirai, intanto, che non è possibile durare a lungo così.

Baldovino (capo, dopo una pausa). Ah, lo so! – Finirà. E forse presto! – Ma badino! Bisognerà veder come.

Lo guarda negli occhi.

Lo dico per loro. Apri bene gli occhi a tuo cugino! Mi pare che desideri troppo di disfarsi al più presto di me. – Ti turbi? Sai qualche cosa?

Maurizio. No, proprio nulla.

Baldovino. Via, sii sincero. Compatisco, bada! . E’ così naturale!

Maurizio. T’assicuro che non so nulla. Ho parlato con la signora Maddalena. Non ho ancora visto Fabio.

Baldovino. Eh, lo so! Tutti e due, la madre e tuo cugino, avranno pensato. – (La maritiamo pro forma; dopo qualche tempo, con un pretesto qualsiasi ci sbarazziamo di lui). – La cosa più sperabile, difatti, era questa. – Ma non lo possono sperare! – Sono stati di una deplorevole leggerezza anche in questo.

Maurizio. Lo sospetti tu! . Chi te lo dice?

Baldovino. Tanto vero che hanno posto come patto fondamentale la mia onestà!

Maurizio. Ecco, dunque! Vedi bene…

Baldovino. Come sei sciocco! La logica è una cosa, l’animo è un’altra. Si può per coerenza logica proporre una cosa, e con l’animo sperarne un’altra. – Ora, credi, potrei prestarmi, per far cosa grata a lui c alla signora, a offrire un pretesto perché si sbarazzino di me. – Ma non lo sperino, perché io… – si, potrei farlo – ma non lo farò – per loro – non lo farò perché loro non possono assolutamente desiderare che io lo faccia!

Maurizio. Perdio, sei terribile! Neghi loro anche la possibilità del desiderio che tu commetta una cattiva azione?

Baldovino. Guarda. Supponiamo che lo faccia. In prima, rifiaterebbero. Si leverebbero davanti l’ingombro opprimente della mia persona. L’onestà, mancata in me, potrà credersi – se non in tutto, almeno in parte – rimasta con loro. la signora rimarrà moglie legittima, separata da un marito indegno; e in questa indegnità del marito, giovine com’ella è, potrà trovare una scusa di farsi consolare da un vecchio amico di casa. Ciò che non era permesso a una signorina, si può condonare facilmente a una signora assolta da ogni obbligo di fedeltà coniugale. Va bene? – Io dunque, marito, potrei essere disonesto e farmi cacciare. – Ma io non sono entrato qua soltanto come marito. Da semplice marito, anzi, non sarei mai entrato: non ce ne sarebbe stato bisogno! C’era bisogno di me, in quanto questo marito doveva tra poco esser padre ; tra poco, dico, in tempo… quasi debito. Qua c’era bisogno del padre. E il padre… eh, il padre nell’interesse di lui, del signor marchese, dev’essere per forza onesto! – Perché se da marito posso andarmene senza recar danno a mia moglie, la quale, lasciato il mio nome, riprenderà il suo; da padre, la mia cattiva azione danneggerebbe per forza il figlio che non avrà altro nome che il mio; e più in basso io cadrò e più danno egli ne avrà. E questo, lui, non può assolutamente desiderarlo.

Maurizio. Ah, no davvero!

Baldovino. Vedi, dunque? – E per cadere in basso, ci cadrei; tu mi conosci! Per vendicarmi dell’azione che mi farebbero, cacciandomi via malamente, vorrei con me il figliuolo, che per legge m’appartiene; lo lascerei loro qua due o tre anni per farli affezionare a lui; poi proverei che mia moglie convive da adultera col suo amante, e lo toglierei loro e lo trascinerei con me, giù… giù… Tu sai che ho in me un’orribile bestia, di cui ho voluto liberarmi, incatenandola in queste condizioni che mi sono state offerte. – Conviene a loro soprattutto farmele rispettare, come ne ho ferma volontà; perché, liberato da esse, oggi o domani, non so proprio dove andrei a finire.

Cambiando tono improvvisamente:

Basta, basta… – Di’ un po’ ti han mandato loro da me, appena arrivato? – Su, su, che hai da domandarmi? Sbrigati, per favore.

Guarda l’orologio.

Ti ho accordato più tempo che non avrei dovuto. Sai che questa mattina c’è il battesimo del bambino? E ho, prima del pranzo, una riunione qua coi consiglieri invitati. Ti manda tuo cugino? Ti manda la signora madre?

Maurizio. Si, ecco; è appunto per il battesimo del piccino. – Codesto nome che vorresti imporgli…

Baldovino. Eh, lo so!

Maurizio. Ma scusa… – ti pare?

Baldovino. Lo so, povero piccino; è un nome troppo grosso! Rischia quasi di restarne schiacciato.

Maurizio (sillabando). Sigismondo!

Baldovino. Ma è un nome storico nella mia famiglia. – Mio padre Si chiamava così: il mio avo si chiamava così…

Maurizio. Non è una buona ragione per loro, capirai!

Baldovino. Ma neanch’io – tu lo sai – avrei mai pensato… Scusa, è mia la colpa? Brutto nome, sì, goffo, specialmente per un piccino… e… – ti confesso

Pianissimo.

che se l’avessi avuto – di mio – forse non l’avrei chiamato così…

Maurizio. Ah, vedi? vedi?

Baldovino. Che vedo? – questo anzi deve dirti che non posso, ora. derogare a questo nome! – Siamo sempre lì! – Non per me; è per la forma! – Per la forma – tu lo capisci – giacche debbo dargli un nome – io non posso dargli che questo! – E’ inutile, sai? è proprio inutile, che insistano! . Mi dispiace ; ma non transigo, puoi dirglielo! – Mi lascino lavorare, perbacco. Sono futilità, codeste! Mi dispiace, caro, d’accoglierti così. – A rivederci, eh? A rivederci.

Gli stringe in fretta la mano e via per l’uscio a sinistra.