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–Sia ringraziato il cielo—disse fra sè il buon calligrafo come sollevato da un gran peso.—Sia ringraziato il cielo! Adesso hanno preso l'aire131 tutti quanti. Già, bisogna confessarlo, son bravi ragazzi.

Al signor Antonino pareva che, se gli studenti cominciavano a scrivere, l'esito dell'esame fosse assicurato. Scrivessero poi bene o male, poco importava.

Sentendosi un po' le gambe intorpidite egli scese dalla cattedra e si mise a passeggiar su e giù per la classe.

Delle varie file di panche non ne erano occupate che due, cosa del resto naturalissima, inquantochè quella era l'aula destinata al secondo corso e gli esaminandi appartenevano all'ultimo, sempre meno numeroso.

Il professore Antonino dopo aver passeggiato alcun tempo a capo basso e con le mani intrecciate dietro la schiena lungo la corsia che movendo dalla cattedra percorreva longitudinalmente la classe, si fermò prima davanti a una finestra, poi stette alcun poco in contemplazione delle mosche che gironzavano intorno ai vetri, poi cominciò a gettar l'occhio sulle panche vuote e a passar, quasi senz'accorgersene, da una panca all'altra contemplandovi i rabeschi e le iscrizioni che le adornavano.

Le panche della scuola! Chi di noi non se ne rammenta? Chi su quei disadorni sedili non si è, alla fin dei conti, trovato meglio che nelle poltrone a molle ove sdraiammo più tardi la svigorita persona? Senza dubbio le nostre tribolazioni le abbiamo avute anche lì. Quando, interrogati dal professore, non abbiamo saputo rispondere verbo, ed egli, con un sorriso glaciale, ci accennò di sedere e intanto con voluttà crudele disegnò una bella croce nella colonna delle classificazioni di fronte al nostro nome e cognome; o quando, colti in fallo nel meglio di qualche furfanteria, ci sentimmo dire dallo stesso signor professore—Benissimo, scriverò alla famiglia—oh allora il nostro povero corpicino ci stette pure a disagio sulle panche della scuola! E ci siamo messi a piangere, e ci siamo augurati la morte, e abbiamo fatto ridere i nostri condiscepoli da cui non potevamo restar divisi e che pure erano tanto crudeli. Ma erano bufere d'estate. Il più delle volte dopo essere andati a scuola a malincuore, vi ci trovavamo così bene! Se avevamo un professore simpatico, che possedesse una bella voce, un accento caloroso, noi lì tutt'orecchi a sentirlo, si credeva di esser sollevati insieme alla panca chi sa a quali altezze, e i nostri cuori battevano per un palpito nuovo. Era forse sete di gloria, era bisogno indistinto d'amore, chi lo sa? E dove mettiamo gli accurati lavori col temperino che abbiam fatto sulla nostra panca? La scultura in legno deve sicuramente essere stata inventata sulle panche della scuola. Là iniziali che si confondono, geroglifici che s'intrecciano, tentativi di profili impossibili, saggi d'ornato bizzarri, studi di storia naturale audacissimi, solchi che in parte seguono le venature del legno, in parte tengono una direzione opposta e formano una linea tremula come corda di lira pizzicata, cavità profonde e paurose, come se lo studente avesse voluto fare un piccolo pozzo artesiano, un guazzabuglio insomma quale può uscire da cento testoline bizzarre e da cento mani l'una più inquieta dell'altra.

Che se poi uno abbia avuto lunga dimestichezza con la scolaresca, come gli sarà facile animare, vivificare la scena! Ivi stettero a fianco ignari dell'avvenire i più disparati ingegni e i più diversi caratteri, il futuro commesso e il futuro ministro, quegli il cui nome si perderà nella folla e quegli che raccomanderà ai secoli la sua fama. E furono, qual più qual meno, amici tutti, o alla peggio le inimicizie loro durarono poco; chi sa invece che saranno nel mondo? Forse non s'incontreranno mai più, forse s'incontreranno soltanto per osteggiarsi, forse uno finirà col calcare il piede sul collo dell'altro.

Il signor Antonino non aveva mai brillato per una fantasia vivace, e anche nei più belli anni della sua giovinezza, egli poteva dire di non aver provato le schiette gioie dell'immaginazione.

Ma adesso, fissando quelle panche, al cospetto di quegli intagli bizzarri, egli vedeva una quantità di figure disegnarglisi davanti, e moversi, e prendere atteggiamenti diversi, e cento volti dimenticati ripigliar forma e colore. Era la scolaresca di trent'anni confusa insieme.

Ecco un nome. Chi era costui? Il professore Antonino chiudeva gli occhi un momento e poi lo vedeva tal quale lo aveva visto forse dieci o quindici anni prima. È un giovinetto bruno, dai132 capelli ricciuti, dagli occhi pieni di fuoco, alto, smilzo; sì, sì, è proprio lui. Anch'egli indisciplinato all'estremo. E ora dove è andato mai? Vicino a lui c'era… chi c'era? Vediamo di raccapezzarci.... Ah sì!… Da una parte un ragazzino timido che pareva un bimbetto, che non fiatava mai, altro che, pur troppo, nell'ora della calligrafia. Non c'era quanto lui per imitare il miagolio del gatto. Adesso è impiegato alle ipoteche. A sinistra poi,… no, lo scolare di sinistra il professore Antonino non poteva farselo tornare a mente. Ma di dietro invece, nella panca successiva, era tutta una fila di ragazzi che gli pareva aver davanti gli occhi. Che panca terribile era quella! Che demoni! Bisogna però eccettuarne uno il quale sedeva nell'angolo vicino alla parete. C'erano ancora le sue iniziali A. E. Sicuro, si chiamava Angelo Emanuelli, poverino! Era pallido, tossicoloso; d'inverno aveva sempre freddo, d'estate pativa il caldo in modo straordinario. I suoi condiscepoli lo chiamavano agnello e gli amministravano una dose straordinaria di scappellotti. Egli non si lagnava, non serbava rancore ad alcuno, e diligente com'era faceva le lezioni di tutti. Povero figliuolo! È morto. Il signor Antonino si ricordava che alcuni anni addietro, nelle vacanze d'autunno, l'Emanuelli era venuto a fargli visita insieme a sua madre, una donna abbrunata, dalla cera pallida e dall'aria stanca come suo figlio.

Una visita in casa del signor Antonino era un avvenimento.

Il professore Antonino era solo; sua sorella, grazie a Dio, si trovava in campagna. Egli corse ad aprire la porta e disse confuso:—Caro Angelo… stimatissima signora… prego, si accomodino....—Poi, senza nemmeno terminare la frase, volò nella sua camera da letto, e indossato un abito un po' più pulito, si ripresentò rosso come una fanciulla a cui si parli la prima volta d'amore.

–Che onori!… In che cosa posso?… Mi dispiace che trovano tutto in disordine.... Non c'è mia sorella.... (Ci mancherebbe altro che ella ci fosse133—egli soggiunse in cuor suo.)

–Per carità, professore, non si dia pena per noi,—disse la signora.—Lei è così buono, che siamo venuti a chiederle un favore.... Angelo fu malato alcuni giorni.... Ora sta meglio, ma non si è ancora liberato dalla tosse....

E Angelo, come per dar ragione a sua madre, tossì un paio di volte.

–Ecco, capisco che la scuola è fatica soverchia per lui,—continuò la signora con un tremito nella voce.—Non voglio sforzarlo.... Siamo stati tanto disgraziati. Veda, vesto ancora il bruno per una figliuola.... E prima di lei ne ho perduti altri due… e mio marito anche lui… sempre dello stesso male.... Ma questo qui bisogna che mi resti,—continuò la madre asciugandosi le lagrime e cingendo con un braccio il collo del suo Angelo come se volesse difenderlo.

–Si calmi, signora, si calmi,—rispose il buon professore,—posso offrirle un bicchier d'acqua? Ha ragione, ha ragione, non lo mandi più a scuola. Poveri ragazzi! Li ammazzano con questi nuovi sistemi.

–Ecco ciò che volevo chiederle,—ripigliò la signora poichè si fu ricomposta alquanto,—scusi sa, perchè in mezzo a tanti dispiaceri ho quasi perduta la testa.... Il mio figliuolo potrebbe andare intanto due ore al giorno nel banco d'un amico di mio marito buon'anima… Due ore sole per adesso… fin che Angelo sia divenuto più forte… gli darebbero quindici lire al mese… pochine, ma tanto per cominciare.... Senonchè, c'è un guaio, vorrebbero che il ragazzo sapesse scrivere in rotondo, e Angelo dice che non sa, che non lo ha studiato.... Pretesti, forse.

–No, no,—si affrettò a interrompere il professore Antonino,—il rotondo non l'ho insegnato nella sua classe.

–Ebbene, allora vorrei ch'Ella avesse la bontà di dargliene qualche lezione, così per metterlo sulla strada.134 Il resto lo farà egli da sè....

–Ma sì, ma sì,—sclamò il Bottaro, beato di fare un piacere.

–Noi compenseremo secondo le nostre forze....

–Nemmen per idea135… non voglio neanche sentirne a discorrere.... No, signora Emanuelli, se parla di compensi si rivolga ad altri.... Angelo verrà da me per una, per due settimane, anche tutte le mattine se può, e vedrà che bel rotondo egli imparerà a scrivere in cinque o sei lezioni… Siamo intesi,136 non è vero?

La signora Emanuelli stette alquanto perplessa, tornò a tirar fuori la questione del compenso, ma finì col cedere all'insistenza del professore e disse commossa:—Giacchè il professore è tanto gentile non so come rispondere con un rifiuto. Angelo, che dici al professore?

–Grazie,—bisbigliò il ragazzo.

–Nulla, nulla, caro,—replicò il signor Antonino—Vuoi cominciar domattina?

Angelo guardò sua madre, poi disse:—Sì, professore.

–Allora siamo intesi.

E il signor Antonino accompagnò fino giù delle scale il suo scolaro e la madre di lui che si profondeva in ringraziamenti.

Angelo Emanuelli prese otto lezioni, poi entrò nel suo nuovo ufficio, poi venne a fare una visita al professore, poi non lo si vide più.

Il presentimento della povera madre si era avverato. Il ragazzo era morto della malattia dei suoi fratelli e del suo babbo, era morto a sedici anni.

E il professore Antonino lo aveva dimenticato, quando le due iniziali scolpite sulla panca lo richiamarono alla sua memoria. Egli rivide ancora quella fisonomia languida, sparuta, egli intese ancora sonarsi all'orecchio quella tosse secca, insistente, e la voce di quella povera madre, adesso morta anche lei, che diceva:—Ma questo qui bisogna che mi resti.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Chi sa fino a quando il professore Antonino sarebbe rimasto immerso in siffatti pensieri se uno scolaro non gli avesse picchiato leggermente sulla spalla!

–Che c'è?—proruppe il Bottaro in tuono meno rimesso del consueto.

–Signor professore, le consegno il mio elaborato,—rispose il ragazzo guardandolo in aria di mezza canzonatura.

–Oh!… Ha ragione… hai ragione, caro.... Dunque hai finito? Va, va, che andrà tutto benissimo.

Al primo studente ne successe un secondo, al secondo un terzo, al terzo un quarto e così via via fino all'ultimo.

–Ma bravi ragazzi, come avete fatto presto quest'oggi!

Il signor Antonino non s'era accorto del tempo ch'era passato mentr'egli stava fantasticando, e non aveva avvertito affatto un'altra cosa, quella cioè che i giovanetti, non disturbati punto dalla sua sorveglianza, s'erano a loro agio consultati, copiati, corretti a vicenda, onde i varii còmpiti si somigliavano fra loro come tanti gemelli.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Uscito l'ultimo studente, il professore Bottaro, col piego degli elaborati sotto il braccio, salì la scala che conduceva in Direzione e consegnò nelle mani del Preside il suo prezioso deposito.

Grazie, professore,—disse questi con amabilità,—grazie. La pregherò poi d'intervenire alla conferenza per le classificazioni.... Ma che cos'ha che mi pare turbato?

–Scusi, cavaliere,—balbettò il calligrafo,—non so nemmen io che cos'abbia.... Ha già inoltrato la mia istanza?

–No—rispose il Preside togliendo da un mucchio di carte il documento che gli era stato consegnato nella mattina dal professore.—No, è ancora qui.

–Potrebbe darmela un momento?

–Eccola.

–Se me la lasciasse fino a domani,—continuò timidamente il nostro Antonino.—Vorrei pensarci su.

–Davvero?—disse il Preside, componendo le labbra ad un sorriso un tantino ironico.

–E posto il caso137 ch'io sospendessi la domanda della pensione fino all'anno venturo, ne avrebbe dispiacere?

–Oh si figuri,—rispose coi denti alquanto stretti l'interrogato.—È dal suo punto di vista.... Mi pare che, poichè la legge le dà il diritto al riposo.... Ah se fossi nel caso suo!—sospirò il Preside, guardando macchinalmente il calendario ch'era sul tavolino, come se potesse leggere colà gli anni che gli mancavano a terminare il suo servizio.

–Ah, per lei è un'altra cosa,—ripigliò il professore di calligrafia, che a poco a poco trovava il coraggio e quasi l'eloquenza.—Lei è una brava persona, e quando avesse il riposo, si consacrerebbe a' suoi studi, starebbe in mezzo a' suoi manoscritti, alle sue biblioteche....

Il Preside scrollò le spalle quasi a significare:—Povero grullo! come t'inganni!

–Ma io,—seguì a dire il nostro Antonino, senza badare ai gesti del suo interlocutore;—io che devo fare? Occuparmi in esercizi di calligrafia per mio conto?

–Potrebbe ad ogni modo dar qualche lezione privata....

–E allora è meglio che rimanga qui. Tanto e tanto mi tocca lavorar lo stesso, e qui almeno ho preso affezione all'ufficio.

–Perchè,—incalzò il Preside,—mi pare che questi benedetti ragazzi non si contengano con lei come dovrebbero.

–Si esagera, sa,—ripigliò un po' confuso il signor Antonino,—fanno qualche volta del chiasso, ma è piuttosto colpa mia che di loro. Del resto, vede, nella calligrafia non occorre tutto quel raccoglimento che è necessario nelle altre materie.... Ma, in ogni maniera, quest'anno non c'è stato male. E mi pare ormai che ogni anno andrebbe meglio.

Il Preside non potè a meno di sorridere.138 Indi soggiunse a modo di conclusione:—Che vuol che le dica? Ci pensi.

—–

Il professore Antonino ci ha pensato. Egli deliberò di rimettere la sua dimissione all'anno successivo. Scorso il termine fu di nuovo in grandi incertezze, e poi decise di aspettare.

Così egli insegna ancora calligrafia nell'Istituto di –. Gli studenti continuano a prendersi con lui le solite libertà; i colleghi non lo tengono in nessun conto; la signora Bettina lo strapazza senza misericordia, perchè non lascia la scuola e la scolaresca; anche il bidello, suo abituale confidente, lo consiglia a mettersi in quiete,139 ma il signor Antonino è ormai convinto, che il giorno in cui egli abbandonerà definitivamente il suo ufficio, si potrà preparargli la necrologia.

ENRICO CASTELNUOVO.

XIV.
LO ZIO MINISTRO

IL piccolo villaggio di – nell'alta Lombardia era tutto scombussolato. Avete mai provato a battere le nocche sulle pareti d'un alveare?… Le api fanno un sussurrio che indica la loro agitazione pel rumore straordinario che interrompe le occupazioni laboriose della loro vita. Così in quell'angolo tranquillo del mondo, in quel paesello di semplici coltivatori si vedeva un movimento inusitato, un va e vieni di gente frettolosa e di curiosi, che arrestavano per via i vicini interrogandoli e facendo le meraviglie.

Tutto questo movimento era stato prodotto da una semplice lettera privata d'un ministro a suo fratello.

Ecco la lettera:

"Carissimo fratello, ti scrivo con la massima segretezza (un'ora dopo tutto il villaggio sapeva a memoria la lettera), desiderando di passare in pace due giorni in seno della famiglia, che non rivedo da tanti anni, e respirare un po' d'aria paesana nel mio caro villaggio nativo. Stanco d'una vita irrequieta e tumultuosa, stomacato delle umane passioni che amareggiano la vita pubblica, vengo a ritemperarmi al paterno focolare, che mi rammenta gli anni felici della prima gioventù. Dopo le Cinque giornate di Milano140 sono entrato nell'esercito, ho fatto, come sai, una lunga e faticosa carriera nella milizia, poi essendo passato nel corpo diplomatico ho soggiornato in lontani paesi, fino che il voto dei miei elettori mandandomi in Parlamento, un bel giorno, o per meglio dire, un brutto giorno, mi sono trovato non so come ministro! E in tanta baraonda d'affari sono diventato vecchio senza ritornare al paese a respirare un po' d'aria sana e vitale, della quale ho tanto bisogno. Appena finita la mia corsa turbinosa attraverso i congressi, le feste centenarie, le inaugurazioni di monumenti, le esposizioni e i concorsi agrari, spero di poter sottrarmi un paio di giorni agli affari pubblici, prendere un poco di riposo, rivedere finalmente la casa paterna, e stringervi tutti al mio seno. Come puoi immaginarti, sono ristucco di folle plaudenti, di bandiere spiegate, di musiche tonanti l'inno nazionale, e specialmente di discorsi dei sindaci. Ne ho una vera indigestione. Mi farai dunque il sommo favore di tener segreto il mio arrivo per evitarmi ogni specie di dimostrazione paesana. Vi raccomando!

"Dalla tua ultima lettera ho veduto con piacere che Sandrino ha compiuto lodevolmente il corso degli studi legali, e, per soddisfare il tuo desiderio, acconsento a condurlo a Roma con me, per collocarlo in un posto che gli possa convenire. Frattanto salutami la cognata Giulia e gli amici, e a rivederci presto. Ti avvertirò con un telegramma del giorno preciso del mio arrivo. Addio.

"Tuo affezionato fratello."

I ministri si perdono sempre colle ultime parole! "Salutami tanto la cognata Giulia e gli amici!" Il ministro lasciandosi sfuggire queste parole imprudenti aveva distrutto l'effetto delle prime raccomandazioni di segretezza; egli forse ignorava che sua cognata Giulia era la gazzetta del villaggio, e che nel suo piccolo nido tutti gli abitanti gli erano amici. Eseguendo quest'ultimo incarico, il fratello aveva fatta la più estesa pubblicità del suo prossimo arrivo.

C'era dunque una grande aspettativa, tutti si promettevano di avvicinare il proprio compatriota salito al potere, ciascheduno pensava di approfittare delle antiche relazioni per raccomandargli qualche cosa o qualche persona. I più ambiziosi speravano mettersi in vista per ottenere una croce o almeno una medaglia. Il sindaco si proponeva di chiedergli dei sussidii pel Comune, il maestro sperava un avanzamento, il segretario una gratificazione, il medico un aumento di stipendio, il parroco voleva invocare il concorso del Governo nella erezione del nuovo campanile. Le donne apparecchiavano bandiere e tappeti da fornire i balconi, e i candelieri per l'illuminazione, e si sentiva qua e là uscire dalle case qualche nota isolata di tromba e clarinetto, che minacciava il frastuono della musica paesana.

Invano il fratello del ministro raccomandava a tutti il silenzio e l'astensione d'ogni concorso; dalla stessa sua casa partiva il movimento. Donna Giulia faceva lustrare i mobili delle camere e i rami della cucina, spazzare i pavimenti, lavare le scale, metteva al bucato le cortine, rinnovava le provvisioni.

E intanto che cosa faceva Sandrino per apparecchiarsi alla prossima partenza per Roma?

*   *   *

Sandrino erborizzava sulla collina, specialmente in vicinanza d'una casa bianca, che sorgeva in sito aprico davanti d'un bosco. Egli assaporava con delizia la pace e la solitudine dei campi, ascoltava il ronzio degli insetti, lo stormire delle fronde, il canto degli uccelli, osservava attentamente l'aspetto vario e pittoresco dei monti e della sottostante pianura, che si perdeva da lontano nei vapori d'autunno.

Suo padre gli aveva fatto percorrere gli studi legali per farne un avvocato, un procuratore del Re od un prefetto, forse anche un deputato e un ministro come lo zio. Sandrino, ubbidiente ai paterni voleri, era diventato dottore, malgrado la sua antipatia pei codici e le pandette; ma le sue inclinazioni lo portavano all'amore della natura.

Aveva passata l'infanzia in mezzo a quelle colline, correndo dietro alle farfalle con sua cugina, e quelle corse vagabonde gli lasciarono nell'animo una soave memoria. La necessità degli studi lo aveva diviso dall'Annina; essa era entrata in un istituto d'educazione, egli era partito pel collegio. Finito il corso legale all'università di Pavia e ritornato a casa colla laurea, aveva ritrovato la cuginetta divenuta grande, bella e modesta, come lui memore del passato, desiderosa di riprendere le corse d'una volta, ritenuta soltanto dalle convenienze sociali, che li obbligava entrambi a trattarsi con cerimonia.

Appena giunta la lettera dello zio ministro, che annunziava la notizia della prossima sua partenza per Roma, Sandrino sentì un desiderio irresistibile di erborizzare intorno al muro di cinta della casa bianca, e salì sulla collina del bosco. Raccolse per via alcuni fiori, ma giunto al solito sito, abbandonò la ricerca dei semplici, e incominciò a guardare in aria. Certo non pareva più un erborista, ma rassomigliava piuttosto ad un astronomo che cerca il suo astro. Vedendo che l'astro non compariva all'orizzonte… d'una finestra, si decise di tirare il campanello. Poco dopo la mamma d'Annina gli aperse l'uscio, e lo accolse lietamente, dicendogli:

–Venite avanti, Sandrino; che nuove ci recate?

–Brutte nuove!…

–Oh, come?…

–Vengo a darvi l'addio della partenza, rispose il giovane con voce commossa.

La signora Matilde sentì una stretta al cuore che le impedì di fare nuove domande, lo fece entrare nel salottino a pian terreno, ove si trovava l'Annina col suo lavoro, lo fece sedere, riprese il suo posto, e potè finalmente annunziare la triste novella a sua figlia.

La fanciulla divenne pallida, pallida come un pannolino lavato.

Dopo breve sosta la signora Matilde riprese ad interrogarlo:

–Volete dunque lasciarci?… e dove andate?…

–Vado a Roma con mio zio....

–Col ministro?

–Col ministro. Lo attendiamo fra pochi giorni al villaggio.

A questa nuova rivelazione fu la signora Matilde che divenne pallida… e poi rossa come la porpora.

Succedette un lungo silenzio, durante il quale ciascheduno pensando a' casi suoi, non aveva più nulla da dire agli altri.

Sandrino guardava l'Annina con un lungo e languido sguardo, che pareva significare: siamo troppo infelici! la natura ci vorrebbe uniti, la società ci divide! Essa non potendo frenare una lagrima, cercava invano di nasconderla colla mano; soffocava un sospiro, ma il seno agitato svelava la sua ambascia. La signora Matilde era assorta nell'amara rimembranza di speranze svanite. Nella sua gioventù essa aveva amato lo zio di Sandrino, rapitole dalle vicende del quarantotto. Dopo quell'epoca non lo aveva più riveduto. Sapendolo arruolato nell'esercito, si fece sposa al notaio del paese, che, appena divenuto padre d'Annina, la lasciò vedova. La madre perspicace aveva indovinata la reciproca simpatia dei due giovani, e n'era contenta; ma ora la vedeva troncarsi d'un tratto, rinnovandosi nella figlia la dolorosa istoria della sua gioventù: il primo amore perduto!

Finalmente ruppe il silenzio dicendo a Sandrino:

–A Roma colla protezione di vostro zio farete un rapido cammino, e travolto dalle ebbrezze della vita pubblica, al pari di lui, avrete ben presto dimenticato il povero villaggio, che vi vide nascere!

Annina esalò un profondo sospiro, e il giovane rispose:

–A Roma, lontano dal mio paesello, sarò isolato e infelice: voi sapete benissimo che non ho mai aspirato a grandezze: figlio unico, con una sostanza sufficiente per vivere agiato, io non desiderava altro che formare una famiglia tranquilla e contenta del paterno retaggio… ma mio padre la pensa diversamente, e mi ripete ogni giorno:—Che cosa vuoi fare in questo misero villaggio? Hai avuto una bella educazione, pensa a trarne partito,141 non devi sacrificarti al pari di me nell'aridità dei piccoli affari domestici. Io basto a queste cure volgari, tu devi cercare maggiori soddisfazioni, seguendo le pedate di tuo zio; guarda un po' lui come è giunto in pochi anni al sommo del potere guadagnando onori e denaro, mentre io ho passata la vita come un minchione a far l'agente di campagna senza profitti che mi compensino delle noie. Ascolta i consigli della mia esperienza, lasciati slanciare da tuo zio nella vita pubblica, e un giorno sarai contento.... Ora, vi domando io che cosa posso rispondere?

La conversazione venne interrotta dall'arrivo del padre di Sandrino, il quale avendo ricevuto un telegramma dal fratello che ne annunziava per l'indomani l'arrivo, era corso subito dalla signora Matilde per pregarla di volersi recare con sua figlia a tener compagnia al ministro. Ringraziandolo di tale onore, essa rifiutò dapprima recisamente l'invito, ma quando venne assicurata che questo era un desiderio dello stesso ministro, il quale nelle sue lettere chiedeva sempre di lei, non seppe lungamente resistere al desiderio di rivederlo, e diede una cortese adesione. Quantunque avesse oltrepassato i quarant'anni, era ancora una bella donna, e poteva piacere a chiunque, e tanto maggiormente al ministro, il quale, trovandola libera, poteva forse risolversi a terminare lodevolmente un romanzo incominciato a vent'anni, sospeso come l'appendice d'un giornale, per motivo della politica, mentre probabilmente dopo l'ultima riga il desiderio aveva scritto la solita frase: sarà continuato.

Così il villaggio si apparecchiava a ricevere Sua Eccellenza, che pretendeva di giungere nel più stretto incognito, mentre a sua insaputa tutti i giornali annunziavano il suo viaggio, che suscitava diverse passioni, facendo sperare impieghi e onorificenze, risvegliando vecchi amori assopiti, minacciando di rompere il filo di nuove affezioni, germogliate sul ceppo delle antiche. Qualche corrispondente dei più accreditati periodici, non avendo niente da raccontare agli ingenui lettori, si era anche immaginato di attribuire un motivo politico al viaggio del ministro; e l'opposizione faceva degli articoli di fondo, e dava dei consigli al governo sull'argomento.

*   *   *

Intanto il ministro aveva presa una vettura chiusa, e per maggiore precauzione aveva abbassate le tendine per giungere segretamente al villaggio; e mentre i cavalli andavano al trotto, egli si era assopito e sognava le delizie del riposo e della solitudine. Tutto a un tratto si risveglia allo scoppio di alcuni mortaretti, che gli ricordarono la macchina infernale di Fieschi142 e le bombe d'Orsini.143 Allo scoppio succedette l'inno nazionale con trombe reboanti, striduli clarinetti e il solito accompagnamento di gran cassa, e tamburi e applausi iterati di popolo. Alzò le tendine, sporse la testa dallo sportello della vettura, e vide, orribile aspetto! un arco trionfale vestito di verdi fronde e sormontato da iscrizioni, fiancheggiato da immensa folla e da un codazzo di veicoli paesani, che ambivano l'onore di servirgli di scorta.

Per merito di suo fratello gli venne risparmiato il discorso del sindaco, e nella sventura questo gli parve un guadagno considerevole. Entrando nel villaggio non riconobbe più il suo nido tranquillo; non vedeva che tappeti e bandiere. I tre colori per quali aveva congiurato in gioventù, si era battuto coraggiosamente contro gli austriaci; quei colori tanto desiderati una volta come simbolo di libertà, erano divenuti la sua persecuzione costante, dalla quale non giungeva a liberarsi nemmeno in cima a' suoi monti. Due sogni avevano sorriso alla sua gioventù, l'amore d'una fanciulla, e la speranza della libertà della patria; il più facile era svanito, il più difficile si era mutato in realtà, a tal punto da morirne sotto il peso della dimostrazione continua.

Giunto a casa fra la polvere e il frastuono assordante degli applausi, della musica, dei mortaretti e delle campane, dovette ricevere le autorità, i maggiorenti ed il clero, stringere mille mani, sorridere, interrogare, rispondere, mostrarsi lieto e soddisfattissimo di tanta festa, onoratissimo e beato di tante dimostrazioni.

Poi strinse al seno i parenti, giovani e vecchi, salutò cordialmente i domestici, i coloni, i loro bambini, le balie e i conoscenti, e finalmente chiese la grazia di ritirarsi nella sua stanza, ove chiuse l'uscio a doppio giro di chiave, cadde sul canapè, mandò un profondo sospiro, e sentì il bisogno di stirarsi e di respirare in libertà, a pieni polmoni.

Poi chiuse gli occhi, e cercò di dormire; ma l'eco dell'inno nazionale gl'intronava sempre gli orecchi, le stonature del clarinetto gli avevano urtati i nervi e gl'impedivano il sonno. Dopo d'aver preso alla meno peggio144 un qualche riposo, si decise finalmente di aprire la finestra, e quello fu l'istante più beato del giorno. Sentì l'aria pura e imbalsamata del paese nativo che gli sbatteva sul viso, ne riconobbe il profumo, gli parve che quegli aliti montani dissipassero la nebbia che gli offuscava la mente. Gli scomparvero come per incanto gli anni trascorsi, perdette la memoria delle lotte sanguinose, dei tumulti del parlamento, del febbrile lavoro del ministero, e li credette un sogno di malato. Difatti le cime de' suoi monti, i casolari delle colline, le brune chiome del bosco che gli stavano davanti, non avevano punto mutato d'aspetto. Riconobbe la casa bianca sul poggio, respirò con voluttà l'esalazione del fieno recentemente reciso, guardò con affetto l'orto paterno e la vigna che portava ancora i suoi grappoli. Rimase lungamente estatico a quella finestra, contemplando quel panorama così eloquente al suo cuore.

Poi aperse l'uscio, accolse il fratello e il nipote… e chiese subito della signora Matilde.

–È qui abbasso che ti aspetta,—gli disse il fratello,—l'ho pregata di pranzare con noi.

–Ah! eccola anzi che ci viene incontro,—disse il ministro, correndo verso l'Annina che saliva le scale, e che, sorpresa all'improvviso, divenne rossa come una bragia.

Il fratello fu pronto a dargli una tirata ai lembi del vestito, dicendogli all'orecchio:

–T'inganni… questa è sua figlia.

Il ministro si accorse subito dell'errore, e seppe dissimularlo colla prontezza abituale degli alti magistrati quando s'avvedono d'aver detto una corbelleria. La prese per le mani, la contemplò con emozione dicendo:

–Tal quale sua madre… alla sua età....

Sbalordito al risvegliarsi di tante memorie, assorto nella contemplazione d'una natura sempre fresca di perenne giovinezza, vedendo che fuori dalla finestra, i monti, le colline, il bosco, le case, l'aria, la luce, tutto era al suo posto, tutto conservava l'antico carattere, egli si era dimenticato per un istante che gli uomini e le donne non hanno la stessa fortuna, ed alla apparizione della fanciulla gli parve di vedere la sua Matilde, quando aveva diciott'anni. Scese le scale, la vide finalmente, e gli parve che, quantunque ancora bella, non fosse più dessa. Con isquisita galanteria seppe dissimulare la sua impressione, le prese la mano affettuosamente, gliela tenne stretta a lungo, e guardandola teneramente le andava ripetendo:—Vi ricordate? vi ricordate? Oh i begli anni che non tornano più!—e si passava la mano sulla fronte, e sul capo divenuto calvo e brizzolato di capelli bianchi. Gli anni erano passati anche per lui!… e le rughe del volto gli marcavano le passioni e le lotte del tempo.

131.preso l'aire, struck the key, got started.
132.dai, with.
133.Ci mancherebbe… fosse, Matters would be worse if she were.
134.metterlo sulla strada, get him started.
135.Nemmen per idea; compare V., note 3.
136.Siamo intessi, It is agreed.
137.posto il caso, in the event.
138.non potè… sorridere, could not help smiling.
139.mettersi in quiete, retire, resign.
140.le Cinque giornate di Milano, alludes to the "Glorious Five Days' Revolution" at Milan in March, 1848, which resulted in the expulsion of the Austrians from the city.
141.pensa a trarne partito, think about turning it to account.
142.Fieschi, a Corsican assassin who, in 1835, at Paris, made use of an infernal machine in an attempt to put to death the king, Louis Philippe. The king escaped, but a number of persons lost their lives.
143.Orsini, an Italian revolutionist who, in 1858, attempted, with other conspirators, to assassinate Napoleon III. by means of bombs.
144.alla meno peggio, as best he could.