Kitabı oku: «Neulateinische Metrik», sayfa 11

Yazı tipi:

2. Soluzioni numeriche e versi inediti: il ruolo del Sanudo

Ogni gioco enigmistico sottintende uno sforzo del lettore affinché possa risolverlo. Anche se il concetto di “enigmistica”, applicato a un’antica opera poetica, suonerà forse riduttivo e anacronistico,1 è certo innegabile la natura combinatoria dei versus anguinei, più vicini al rebus che a un carmen comunemente inteso. Pertanto, un’indagine sulla ricezione – per quanto limitata – di questo esperimento fornisce dati sì curiosi ma anche utili al fine della comprensione dell’invenzione del Catti. Il modo poi in cui un lettore in particolare, Marin Sanudo, risolve visivamente il carmen getterà persino una nuova luce sul gioco anguineo.

Nel capitolo precedente è già stato menzionato il primo merito del Sanudo, ossia l’aver annotato nei suoi diari una prima versione del carmen anguineum sugli Sforza e dei versi reticolati. Un caso analogo, benché non testualmente utile, di trascrizione del carmen anguineum si trova nel manoscritto 612 della Biblioteca civica di Belluno, contenente il carteggio del feltrino Giacomo Salce, collocabile tra il 1549 e il 1558.2

All’interno di questa raccolta, ai ff. 11v–12r si legge la seguente lettera dello stesso Giacomo, datata VI idus octobris 1556. Feltriae:

Dominus Iohannes Baptista Merinoctius, vir satis eruditus mihi nudius tertius quaedam carmina anguinea Lydii Catti Ravennatis legenda tradidit, quarum exemplum nunc subscripsi, ut tuam mihi de illis sententiam epistola proferes. Brevitate versuum scire poteris Lydium satis esse ingenio praestanti.

Signor Giambattista Merinozio, un uomo piuttosto colto due giorni fa mi diede da leggere alcuni carmi anguinei del ravennate Lidio Catti, dei quali ora ti ho scritto sotto un esempio, affinché tu mi riferisca per lettera il tuo parere su di questi. Dalla brevità dei versi potrai capire che Lidio ha un ingegno piuttosto notevole.

Segue dunque la trascrizione completa del titolo e del testo del carmen anguineum sugli Sforza contenuto negli Opuscula, mentre sono omesse la didascalia (Venetiis decantatum) e la Constructio.

Questo documento ci informa innanzitutto della circolazione dell’opera del Catti anche nel Veneto settentrionale. Il Salce precisa infatti di aver inviato alcuni carmina di Lidio Catti al destinatario, dei quali però vuole dare un’anticipazione in calce alla lettera. L’anteprima scelta dal mittente feltrino è proprio il carmen anguineum, grazie al quale si identifica appunto negli Opuscula l’opera inviata al destinatario: il titolo e il testo sono identici alla versione della raccolta stampata dal Tacuino nel 1502. Il motivo della scelta dev’essere stata l’attrazione esercitata dall’esperimento poetico, percepito come rappresentativo della poesia del Catti (apprezzato dal Salce per la brevitas e l’ingenium praestans), a cui si aggiunge l’espressa volontà di conoscere il parere dell’amico satis eruditus. L’aspetto più curioso di quest’ultima richiesta è l’omissione, nella lettera, della Constructio, cioè della chiave che avrebbe permesso a Giambattista di intuire la soluzione della poesia anguinea. Forse il Salce voleva mettere alla prova il povero Giambattista, che così avrebbe potuto risolvere l’enigma senza alcun ausilio, oppure attendendo l’arrivo della sua copia degli Opuscula.

Al di là delle informazioni e delle impressioni che i diari di Sanudo e la lettera del Salce possono dare, finora non si sono però viste tracce di tentavi di soluzione del carmen del Catti. Una prima prova tangibile di un lettore intento nel risolvere l’enigma anguineo si trova presso la Biblioteca Braidense di Milano, più precisamente nell’esemplare degli Opuscula lì custodito.3

Secondo le due note di possesso a penna corredate di stemma, il libro nel 1510 apparteneva a un segretario chiamato Antonio Della Torre.4 Sfogliando l’esemplare, a c. Bvir si noterà che il Della Torre, incuriosito dalla sfida del carmen anguineum, si cimentò nella sua soluzione e tentò di ordinarlo apponendo piccoli numeri sopra ciascun segmento del primo riquadro. Gli evidenti errori della successione rivelano però che egli non capì il gioco:


Sfortia: 1 Franciscus: 3 Ludovicus: 2 vertitur: 5 ergo
5 Fortuna: 5 ad populi: 3 Francisco: 4 filius: 2 ortus
1 Cottignolae: 1 oritur: 3 satus est: 4 Ludovicus: 5 in orbe
5 Mutatur: 5 vocem: 3 genitore: 2 ad proelia: 4 pugnat.

Oltre al fatto che Sfortia non è stato numerato, forse perché considerato unito a Franciscus (ricorrono sempre affiancati nei quattro riquadri), sorprende l’assoluta assenza di qualsiasi motus anguineus nella numerazione. Solo la colonna centrale è stata individuata, un po’ perché palese e un po’ perché suggerita dal posui versibus in mediis della Constructio. Siamo perciò di fronte a un lettore che, deciso a sostenere la sfida, ha mal interpretato il modo di risolvere il testo.

Dopo aver però illustrato le prove di un interesse dei lettori coevi, è necessario chiamare di nuovo in causa Marin Sanudo. Anch’egli infatti applicò il metodo della numerazione nella sua trascrizione di altri carmina del Catti, stavolta sulle Guerre d’Italia, inseriti nel Marc. It. IX, 365 (=7168).5 Nel manoscritto, il Sanudo usa i numeri per ordinare i sei carmina anguinea, qui chiamati anguinea epigrammata. A differenza però del Della Torre, il veneziano applica la numerazione in modo corretto:


1 Iulius 15 antiqua 29 Venetum 43 gens barbara 57 quando
58 incaluere 44 suis 30 res captae 16 prole 2 secundus
3 splendor 17 Alidosia 31 tercentum 45 finibus 59 ista
60 proelia 46 claudatur 32 horis 18 te principe 4 summus
5 pontificum 19 belli 33 Italie 47 o pastor 61 ab ortu
62 Christi 48 magnanime 34 excidium 20 Francisce 6 Ravennam
7 trisque 21 papiensem 35 proh Iuppier 49 et tua 63 prima
64 litte[r]a 50 dirigito 36 sic visunt 22 a cardine 8 vinctas
9 urbes 23 qui titulum 37 vobis o 51 castra 65 Minervae
66 Dianae 52 in Turcas 38 Superi 24 deducis 10 in arvis
11 Aemilae 25 mundi 39 at Nembrotica 53 divus 67 et Vrsae
68 currebat 54 foelix 40 bis nonas 26 inclyta 12 Romae
13 attribuit 27 fama 41 ad messes 55 et semper 69 Iuli
70 et quater 56 augustus 42 redeunda 28 et gloria 14 victor

Quello testé riportato è il primo anguineum epigramma della raccolta (f. 271r). Solo per questo carmen, di seguito alla versione numerata il Sanudo riscrive l’intero componimento riordinato e compie un’ulteriore operazione più notevole. Dopo la seconda trascrizione, un Notate attira l’attenzione verso l’ennesima ripetizione del carmen, organizzata però secondo un ordine ancora diverso dai precedenti. Quanto fatto qui dal Sanudo è tanto chiaro quanto arguto: giacché ogni segmento dei versi dispari è collegato al segmento a lui opposto dei versi pari, riscrivendo questi ultimi al contrario, tutti i segmenti saranno perfettamente incolonnati a formare il testo corretto.


Questa raffigurazione del passaggio intermedio del processo mentale di riordinamento, permette di vedere sotto una nuova luce la figura dell’anguis e la parentela con i versi reticolati.

Per quanto riguarda il serpente, il movimento bustrofedico richiesto da quest’ultimo tipo di lettura-riscrittura richiama in maniera ancora più decisa il biscione del manoscritto forlivese e dello stemma sforzesco. Sebbene non sia chiaro se il Sanudo elabori questa soluzione oppure la copi, qualora si ipotizzasse che essa fosse prevista dal Catti stesso nel processo di risoluzione, il termine anguis potrebbe benissimo riferirsi anche a questo moto bustrofedico di riscrittura. L’autore avrebbe in tal caso voluto che i versi pari fossero riscritti (anche solo mentalmente) così che il testo finale fosse opportunamente incolonnato.

D’altro canto, nel manoscritto marciano – e qui si torna alla questione della parentela – sono proprio i versi reticolati che seguono il carmen anguineum a suggerire questo esito: per loro i colori sottolineano proprio l’incolonnamento, sebbene i versi possano essere letti anche in orizzontale. Il “gene” che rende parenti questi artifici sarebbe dunque la successione delle colonne, scomposta totalmente nel carmen anguineum per creare il gioco combinatorio.

Bibliografia

Carrari, Vincenzo: Istoria di Romagna, II. Dalle signorie capitaniali alla liquidazione degli stati cittadini (1326–1522), a cura di Umberto Zaccarini, Ravenna 2009.

Cassini, Stefano: Prima degli “Opuscula”. Un antecedente manoscritto del “Processus ordine iudiciario” di Lidio Catti , in: Matteo Fadini/Matteo Largaiolli/Camilla Russo (a cura di): “La cetra sua gli porse …”. Studi offerti ad Andrea Comboni dagli allievi, Trento 2018, 103–135.

Comboni, Andrea: Forme eterodosse di sestina nel Quattro e Cinquecento, Anticomoderno 2, 1996, 67–79.

Dionisotti, Carlo: Girolamo Claricio, Studi sul Boccaccio 2, 1964, 291–341.

Duso, Elena Maria: Il sonetto latino e semilatino in Italia nel Medioevo e nel Rinascimento, Roma 2004 (Miscellanea erudita, vol. 69).

Ferrari, Giorgio Emanuele: Autografi sanudiani e componimenti ignoti o mai noti d’una miscellanea umanistica cinquecentesca, Lettere Italiane 8, 1956, 319–323.

Fulin, Rinaldo: Difficiles nugae, Archivio Veneto 19, 1880, 131–134.

Ginanni, Pietro Paolo: Memorie storico-critiche degli scrittori ravennati, vol. I, Faenza 1769.

Giovio, Paolo: Elogia veris clarorum virorum imaginibus apposita. Quae in musaeo Ioviano Comi spectantur. Addita in calce operis Adriani pontificis vita, Venezia 1546.

Giraldi, Lilio Gregorio: Modern Poets, edited by John N. Grant, Cambridge, MA 2011 (The I Tatty Renaissance Library, vol. 48).

Litta, Pompeo: Famiglie celebri di Italia, Milano 1819.

Martellozzo Forin, Elda (a cura di): Acta graduum academicorum Gymnasii Patavini ab anno 1471 ad annum 1501, 4 voll., Padova 2001 (Fonti per la storia dell’Università di Padova, vol. 17).

Muratori, Santi: Da Bernardino Catti a Giandomenico Michilesi, La Romagna 7, 1910, 124–153.

Pasolini, Pier Desiderio: Caterina Sforza [1893–1897], 4 voll., Roma 1968.

Pasolini, Serafino: Lustri ravennati, parte III/IV, Bologna 1680/1682.

Pasolini, Serafino: Huomini illustri di Ravenna antica, Bologna 1703.

Pirovano Carlo/Minonzio Monica: I Della Torre. Dalla contea di Valsassina alla signoria di Milano, Gorle 22004 (La nuova cultura).

Pozzi, Giovanni: La parola dipinta, Milano 1981.

Pozzi, Giovanni: Poesia per gioco. Prontuario di figure artificiose, Milano 1984.

Regolini, Anna: Bernardino Lidio Catti, in: Andrea Comboni/Tiziano Zanato (a cura di): Atlante dei canzonieri in volgare del Quattrocento, Firenze 2017 (Edizione nazionale. I canzonieri della lirica italiana delle origine, vol. 7), 200–206.

Rossi, Vittorio: Per la cronologia e il testo dei dialoghi “De poetis nostrorum temporum” di Lilio Gregorio Giraldi, Giornale storico della letteratura italiana 37, 1901, 246–277.

Sansi, Achille: Storia del comune di Spoleto dal secolo XII al XVII, Foligno 1879.

Tomai, Tommaso: Historia di Ravenna. Divisa in quattro parti, parte IV, Ravenna 1580.

Vecchi Galli, Paola: Cultura “di corte” e poesia volgare a Ravenna fra Due e Quattrocento, in: Augusto Vasina (a cura di): Storia di Ravenna, III. Dal Mille alla fine della signoria polentana, Venezia 1993, 621–640.

Zorzanello, Pietro: Catalogo dei codici latini della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia non compresi nel catalogo di G. Valentinelli, Trezzano sul Naviglio 1980.

Erfolgreiche Formen

Zwischen philologischer Analyse und poetologischem Programm: Zur Metrik der neulateinischen PindarischenPindar und pindarische Dichtung OdeLyrik

Jochen Schultheiß

Zur Metrik der neulateinischen Pindarischen Ode

Die Pindarische Ode in lateinischer Sprache ist eine spezifisch neuzeitliche Erscheinung. Die Antike kannte keine Fortsetzung der Odenform des griechischen Chorlyrikers, der in der ersten Hälfte des 5. vorchristlichen Jahrhunderts wirkte. Einen wesentlichen Grund für diese große Lücke in der Rezeption stellen sicherlich die Erklärungsschwierigkeiten dar, die sich aus der Undurchsichtigkeit der metrischen Struktur seiner Verse ergeben. Welches Problem für die antiken Dichter entsteht, wenn die Verskunst eines möglichen Modells Rätsel aufgibt, wird dann nachvollziehbar, wenn man sich verdeutlicht, welche Rolle der Metrik bei der Konstitution poetischer Gattungen zukommt. Auch für die Antike gilt, dass nach gängiger Vorstellung gebundene Sprache das grundlegende Definitionskriterium von Dichtung darstellt.1

Die unterschiedlichen dichterischen Genres der antiken Literatur entstehen stets unter Rückbezug auf Vorgängertexte, die als normgebend betrachtet werden. Bei diesem Prozess kann man durchwegs feststellen, dass sich das einmal etablierte metrische System als ein weitgehend fixes, im Wesentlichen gleichbleibendes Strukturelement einzelner (Unter-)Gattungen erweist. Das metrische Schema wird in der Regel auf den ‚ErfinderErfinder‘ oder die ‚Erfinderin‘ der Dichtungsart zurückgeführt, teils auch nach diesem oder dieser benannt und dann in recht konstanter Form beibehalten. Man kann hier an die SapphischenSapphicus, AsklepiadeischenAsclepiadeus oder AlkäischenAlcaicus Strophenformen denken. Wenngleich bei HorazHoraz eine strengere Handhabung der äolischen Versmaße feststellbar ist als bei den griechischen Lyrikern selbst,Imitation2 so kann man insgesamt doch von einer konservativen metrischen Praxis sprechen. Solche Kontinuität stellt eine unabdingbare Notwendigkeit für die Konstituierung einzelner Gattungen und deren Unterformen dar. Raum für Innovationen hingegen steht im Rahmen der imitatioImitation- und aemulatio-Technik den Dichtern vorzugsweise in der Ausarbeitung des Stoffes offen.

Unter diesen Voraussetzungen müssen Probleme beim Verständnis der Metrik, wie sie sich bei den Oden Pindars bereits für die antiken Leser ergaben, zwangsläufig zu einem unumgehbaren Hemmnis für die Etablierung einer Form der Lyrik nach dem Vorbild Pindars werden. Erst die Frühe Neuzeit bereitet den Nährboden für einen selbstbewussteren Umgang mit dem Modell und für eigenständige und innovative Antworten auf die sich im Bereich der rhythmischen Struktur stellenden Probleme.

Wenngleich der weitaus größte Teil der neulateinischen Lyrik in den von der klassischen römischen Dichtung übernommenen metrischen Systemen verfasst ist, gewinnen ab dem 16. Jahrhundert polymetrischePolymetrie“ Gedichte an Beliebtheit. Zu dieser Gruppe ist auch die Pindarische Ode zu zählen.Schede, Paulus Melissus3 Einer vertieften wissenschaftlichen Beschäftigung hat sich die Metrik der neulateinischen pindarischen Dichtung bisher noch nicht erfreuen dürfen. So ist man etwa in Hinblick auf den deutschen Odendichter Paulus Melissus Schede (1539–1602) nicht über die sehr unbestimmte Feststellung hinausgelangt, dass „jedes […] Gedicht eine individuell entwickelte, so nie wiederkehrende Abfolge von Kürzen und Längen auf[weise]“.Sainte-Marthe, Scévole de4 Diese Vorsicht, die die drei Herausgeber einer Sammlung zur humanistischen Lyrik des 16. Jahrhunderts zu erkennen geben, darf ihnen angesichts der Schwierigkeiten, die die Metrik der pindarischen Dichtungen bereitet, nicht zum Vorwurf gemacht werden. Allerdings sollte die Forschung nicht an diesem Punkt stehen bleiben, bedenkt man, dass Metrik, wie gesagt, einen konstitutiven Bestandteil von Dichtung darstellt und dass bestimmte Inhalte und poetologische Programme untrennbar mit gewissen metrischen Formen verbunden sind.5 Gerade auf diesem letzten Punkt wird der Fokus der folgenden Betrachtung liegen. Der Blick der Untersuchung soll auf die Pindarischen Oden zum einen von Scévole de Sainte-Marthe (1536–1623), zum anderen von Paulus Melissus SchedeSchede, Paulus Melissus (1538–1602) gerichtet sein. Die Auswahl fällt insbesondere deshalb auf diese beiden Dichter, weil sie poetologische Gedichte und Paratexte verfasst haben, in denen sie auch den Aspekt der Metrik reflektieren.6

In der Metrik werden nicht nur Konvergenzen, sondern auch Reibungen zwischen poetologischem Programm und dichterischer Praxis sichtbar. Kernelement des pindarischen Dichtens ist bei den Vertretern der Pléiade, insbesondere bei Pierre de RonsardRonsard, Pierre de (1524–1585), der fureur poétique, von dem der Dichter-Sprecher ergriffen ist.furor poeticus7 Der furor poeticus stellt eine bereits von den Florentiner Humanisten aus den platonischenPlaton Dialogen Ion, Phaidros und Symposion hergeleitete Vorstellung eines „enthusiastischen“, göttlich inspirierten Dichtens dar. Eine solche Raserei des Dichters, die das Postulat der metrischen Regellosigkeit impliziert, ist nicht ohne Weiteres mit der für die humanistische Poesie grundlegenden imitatioImitation-Konzeption in Einklang zu bringen, die ein Dichten innerhalb vorgegebener Normen verlangt. Somit wird einerseits die Bindung an die Tradition, andererseits die Autonomie dieser gegenüber zum poetischen Ziel erklärt. Diese Problematik tritt auch in der Metrik zutage, die sich in der Tradition poetischer Gattungen ja gerade als ein sehr konstantes Element erwiesen hat. Dies scheint keinen fruchtbaren Boden für literarische Innovation zu bieten, und da mag es auch nicht überraschen, wenn man in Hinblick auf die neulateinischen Dichter zu der Feststellung gelangt ist, dass sie nur sehr zögerlich, in der Regel gar nicht, in die vorgegebenen metrischen Traditionen eingreifen.furor poeticus8 Wie sieht es nun aber im Fall eines Dichtens in den Spuren Pindars aus, wo sich die Anknüpfung an das Modell aufgrund der Undurchsichtigkeit der metrischen Struktur ja gerade als sehr schwierig erweist? Unter den gegebenen Umständen könnte man zwei sehr unterschiedliche Lösungsmöglichkeiten in Erwägung ziehen: entweder die exakte Übernahme des Versschemas einer konkreten Ode Pindars – dies würde dem metrischen Konservatismus in bester Weise gerecht –, oder die Anwendung eines gänzlich freien Metrums – dies würde dem Gedanken des furor poeticus am meisten entsprechen. Durchsetzen wird sich letztlich jedoch ein dritter Weg.

Betrachten wir aber zunächst die spezifischen Bedingungen in der Frühen Neuzeit etwas näher: Das vergleichbare Problem einer nicht vorhandenen metrischen Tradition in der lateinischen Literatur stellt sich den neulateinischen Dichtern auch bei den Übersetzungen nationalsprachlicher Dichtungen ins Lateinische. Hier lässt sich beobachten, dass ein in der antiken Metrik unbekanntes System kaum je für das lateinische Gedicht beibehalten, sondern durch ein antikes ersetzt wird. So gibt Schede etwa die Sonette PetrarcaPetrarca, Francescos oder RonsardRonsard, Pierre des meist in Form von EpigrammEpigrammen in elegischen DistichenDactyluselegisches Distichon wieder. Doch auch hier lässt MelissusSchede, Paulus Melissus bereits seine Offenheit dafür erkennen, Verse neu zu kombinieren.Iktus9 Die volkssprachlichen Autoren wiederum konnten die quantitierenden metrischen Systeme der Antike nicht ohne weiteres übernehmen und ersetzten sie deshalb in der Regel durch die in ihrer Sprache etablierten iktierenden und silbenzählenden Metren. Dies war die gängige Praxis bei den französischen Pindarikern,Ronsard, Pierre de10 allerdings war etwa Ronsard hierbei ersichtlich darum bemüht, der Metrik seiner Oden ein möglichst starkes pindarisches Kolorit zu verleihen.Jonson, Ben11 Der etwas spätere englische Dichter Ben Jonson (1572–1637) wählt für seine Ode Pindarick ein regelmäßiges, iambischesIambus Versmaß, orientiert sich aber insofern an dem griechischen Dichter, als er die Verslängen deutlich variiert, so dass er immerhin die pindarische Variation der Einzelverse imitiert.Imitation12 Diese Form der Metrikimitation äußert sich somit in der materiellen Textgestalt, indem eine optische Vergleichbarkeit der Druckbilder zwischen dem englischen Gedicht und den griechischen Modellen entsteht. Es zeigt sich also, dass frühneuzeitliche Autoren aufgrund der sprachlichen Übertragungsprozesse immer wieder mit der Notwendigkeit konfrontiert werden, eigenständige, innovative Lösungen auch auf dem Gebiet der Metrik zu finden.

Problemlos zu adaptieren war die StrophenformPindar und Pindarische DichtungTriade der Oden Pindars. Als das die neuzeitliche pindarische Dichtung kennzeichnende Charakteristikum ist die triadische Strophenform festzuhalten, wie sie die Epinikien Pindars in ihrer großen Mehrzahl aufweisen.Antistrophe13 Dies bedeutet, dass eine Ode aus einer Abfolge von Strophe, Antistrophe und EpodeEpode besteht. Hierbei wiederholt die AntistropheAntistrophe das metrische Schema der Strophe, während die abschließende EpodeEpode ein eigenes aufweist. Jede folgende TriadePindar und Pindarische DichtungTriade repliziert wiederum die Struktur der ersten. In den Drucken so gut wie aller neulateinischen Pindarischen Oden wird dieses Aufbauschema durch Überschriften mit der Angabe des jeweiligen Strophenteils deutlich gemacht.Pindar und Pindarische DichtungTriade14 Man darf durchaus so weit gehen, in der Strophenstruktur das entscheidende Definitionsmerkmal für die Pindarische Ode zu sehen, denn dieses formale Kriterium erlaubt eine präzise Zuordnung zur Gattung. Sicherlich tragen auch stilistische und inhaltliche Charakteristika zur Konstitution einer neuzeitlichen Pindarischen Ode bei, wie etwa die Feierlichkeit, die enkomiastische Intention oder das Inspirationsmotiv, jedoch können diese für sich auch in anderen Dichtungsgattungen erscheinen und unter eine weiter gefasste Form der Rezeption pindarischer Stoffelemente fallen, die im Frankreich des 16. Jahrhunderts mit dem Verb „pindariser“ bezeichnet wurde.15

Während die nationalsprachliche pindarische Dichtung der Renaissance an die eigene metrische Tradition anknüpfte, bot sich für die Dichtung in lateinischer Sprache eine Orientierung an der philologischen Metrikanalyse zu den Oden Pindars an. Eine besonders starke Nähe zu dem pindarischen Modell lässt sich für die frühneuzeitliche Pindarische Ode, die in griechischer Sprache verfasst wurde, erkennen. Hier zeichnen sich zwei Möglichkeiten ab: Die Oden adaptieren entweder die metrische Struktur einer bestimmten Ode Pindars, oder die ImitationImitation verhält sich dem Modell gegenüber weniger treu und folgt einer allgemeinen Vorstellung von pindarischer Metrik. Die erste Form der metrischen Gestaltung stellt in der Anfangsphase der Pindarischen Dichtung in altgriechischer Sprache während der zweiten Hälfte des 16. Jahrhunderts sogar den Regelfall dar.parodiaparodiaMinturno, Antonio Sebastiano16 Für den lateinischen Bereich kann eine solche Praxis in einigen Fällen für die Übersetzung Pindars festgestellt werden, wie etwa in der Version der 1. Olympischen Ode durch Antonio Sebastiano Minturno, die die Metrik des Ausgangstextes genau beibehält.17 In der dichterischen Produktion setzt sich jedoch die Praxis durch, metrische Äquivalente zur pindarischen Lyrik auf der Basis frühneuzeitlicher philologischer Studien zu schaffen. Damit es jedoch zu einem solchen Zusammenwirken zwischen Dichtung und Philologie überhaupt kommen konnte, mussten die neulateinischen Dichter zunächst ein folgenreiches literarisches Verdikt überwinden.

₺2.877,15