Kitabı oku: «I Puritani di Scozia, vol. 3», sayfa 4
CAPITOLO VI
»Ebben si parta! Addio, mia patria, addio.»
Lord Byron.
Il consiglio privato di Scozia che dopo l'unione di questo regno all'Inghilterra collegava al potere esecutivo l'autorità giudiziaria, stava assemblato nella grande sala gotica, vicina a quella ove altre volte in Edimburgo il parlamento teneva le sue adunate. Entratovi il generale Claverhouse prese luogo frammezzo ai giudici, poi Morton e Cuddy furono fatti sedere alla panca degli accusati, vicino a Macbriar condottovi prima. Costui avea le catene ai piedi e alle mani, ed era legato in tal modo da non poter fare un sol gesto.
»Generale, voi ci avete imbandito un piatto di salvaggina variata in modo singolarissimo (disse a Claverhouse, volgendo in giro l'occhio su i tre prigionieri, un dei giudici seduto a destra del presidente). Un corvo, che fra poco udremo gracchiare, uno stornello che a quanto sembra non sa ove dare la testa, e uno… come dovrò chiamare il terzo?»
»Senza cercare metafore, o milord, rispose Claverhouse, chiamatelo un onest'uomo che mi sta particolarmente a cuore.»
»Non potrò almeno chiamarlo un wigh?2» soggiunse il primo interlocutore, mandando una lingua sì grossa, che pareva potesse appena capir entro la cavità della bocca e cercando comporre alla malignità una fisonomia grossolana ed atta solamente a dipingere la stupidezza.
»Sì, milord, rispose con quella sua imperturbabile calma Claverhouse. Egli è un wigh, come lo era la signoria vostra nel 1641.»
»Ne avete avuto pe' vostri denari, o milord» disse sorridendo al primo un altro di que' consiglieri.
»Sì, sì, rispose costui e contorse la faccia credendo sorridere. Dopo l'affare di Loudon-Hill non se gli può più parlare.»
»Segretario (entrò allora in mezzo il duca di Lauderdale che presedeva al consiglio) leggete l'atto di malleveria prestata dal generale Graham di Claverhouse e da lord Evandale. Apparve da sì fatta lettura come gli anzidetti personaggi guarantivano a rischio d'una somma di dodici mila marchi d'argento per cadauno, che Enrico Morton sarebbe uscito del regno, nè vi porrebbe più piede a meno che sua maestà si degnasse di richiamarlo; e tal bando era espresso in termini che l'infrangerlo avrebbe fruttato pena capitale a chi l'infrangea.
»Sig. Morton, disse indi il duca di Lauderdale, accettate voi a queste condizioni il perdono offertovi dalla clemenza di sua maestà?»
»Non ho migliore scelta, o milord» rispose Morton.
»Avvicinatevi dunque, e venite a sottoscrivere l'atto di vostra sommissione.»
Morton si prestò senza opporre replica a sì fatta sollecitazione, ben convinto non esservi da sperare per lui un trattamento più favorevole.
Mentr'egli sottoscriveva, Macbriar fattosi acceso in volto esclamò: »Dio di Giacobbe, vedilo che or compie la sua apostasia, e riconosce il tiranno! Odilo rinnegare il tuo nome!»
»Zitto là! (sclamò tosto quel consigliere che era stato primo a volgere la parola a Claverhouse, e che pretendea pompeggiare di spirito). Non vi prenda il prurito di assaggiare la minestra degli altri. Troverete calda a bastanza la vostra, e tanto calda che vi brucierà forse il gorgozzuolo.»
»Ci siamo colle minestre bollenti! pensò fra se stesso Cuddy. Non vorrei che mi ricadesse addosso anche questa.»
»Fate venire avanti l'altro prigioniere (disse il presidente dopo avere ordinato si assegnasse a Morton una delle seggiole che guernivano i lati della sala). Colui ha la fisonomia di que' montoni che saltano il fosso dopo essersi veduti precedere dagli altri.»
Allora due archibugieri accompagnarono Cuddy presso la tavola, nanti a cui sedevano i giudici. Volse attorno gli occhi impauriti, indi gli abbassò compreso da rispettosa tema in veggendo tanti grandi personaggi che si prendean pensiere di lui; nè lo stesso ricordarsi delle assicurazioni date da Claverhouse al suo padrone lo sciogliea d'ogni inquietudine sulle conseguenze che alle deliberazioni di quei lordi succederebbero. Aspettando intanto che lo interrogassero fece in goffa guisa parecchi inchini.
»Vi siete voi trovato all'affare del ponte di Bothwell?» Fu questa la prima interrogazione che gli venne mossa e che produsse su di lui l'effetto dello scoppiar della folgore. Non ardiva confessare le verità, e per altra parte avea giudizio quanto bastava a comprendere, che col negare, facilmente si avventurava ad essere convinto di menzogna. Volea pertanto sciorsi d'impaccio con qualche scappatoia.
»Non nego la possibilità d'essermici trovato.»
»Rispondete a dirittura. – Sì o no? – Voi sapete bene che ci eravate.»
»Non tocca a me il contraddire la signoria vostra.»
»Torno a chiedere. Ci eravate, o non ci eravate?»
»Ma chi può ricordarsi di tutti i luoghi ove è stato ne' diversi giorni della sua vita?»
»Furfante! (gridò allora il generale Dalzell) se non rispondi meglio, ti fo saltare i denti fuori di bocca col pomo della mia spada. – Pensi forse non abbiamo altro che fare in tutta la giornata fuorchè interrogarti e seguirti di domanda in domanda, come cani che corrono dietro ad un lepre?»
»Ebbene dunque! poichè niun'altra risposta può contentare le signorie loro, scrivano che non posso negare d'esservi stato.»
»Ora, soggiunse il duca, credesti tu col trovarviti di commettere un atto di ribellione?»
»Risponderai una volta?» gridò con voce di tuono Dalzell che vedea esitante Cuddy.
»Adagio di grazia, signori miei! vedete bene che non è sì facile il rispondere presto ad interrogazioni che puzzano di capestro, disse fregandosi il collo Cuddy. Credo dunque che avrei fatto meglio…»
»Meglio che cosa? Sbrigati.»
»Che avrei fatto meglio a non andarvi.»
»In nome di Dio! sclamò il presidente. Questo almeno si chiama rispondere. – E se il re si degna perdonarvi la ribellione nella quale siete caduto, pregherete voi il cielo per la prosperità del suo regno?»
»Oh, di tutto cuore, milord! e non manderò giù un bicchiere di vino senza berlo alla salute di sua maestà.»
»Eh! costui è un mariuolo di buona lega. – Ma, amico mio, chi vi ha indotto a prendere parte in questa sollevazione?»
»Il cattivo esempio, milord, e una vecchia madre indiavolata, salvo il rispetto che debbo alla signoria vostra.»
»Ottimamente! Non credo possa mai venire in animo a nessuno che tu trami una congiura. – Speditegli il suo perdono in termini semplici e chiari. – Fate ora avvicinare quello sgraziato, seduto là in fondo.»
Mentre Cuddy tutto giubbilante andava a porsi vicino a Morton, Macbriar veniva condotto al luogo che questi due aveano abbandonato un dopo l'altro.
Al nuovo interrogato parimente chiesero s'ei si era trovato alla battaglia del ponte di Bothwel.
»Io vi era» egli rispose con voce franca e sicura.
»Armato?»
»Armato, sì; della parola di Dio per sostenere coloro che per la causa di Dio combattevano.»
»O in altri termini, predicavate la ribellione contra il re!»
»Sei tu che il dicesti.»
»Voi conoscerete probabilmente Iohn Balfour di Burley?»
»Se lo conosco! Sì. E ne ringrazio Iddio. Egli è un cristiano sincero e zelante.»
»Che è egli addivenuto di questo grande personaggio?»
»Son qui per rispondere intorno a me stesso, non per mettere a rischio la sicurezza degli altri.»
»Troverem noi modo a farti uscire le parole di bocca» sclamò Dalzell.
»Se costui fosse in un angolo di foreste, soggiunse un altro giudice, a capo d'un centinaio di Puritani, oh! parlerebbe senza farsi pregare!»
»Ponete mente, gli disse il duca, a quai pericoli andate incontro col ricusar di rispondermi; parlate finchè ne siete anche in tempo. Voi siete troppo giovane per potere resistere ai patimenti che diverranno conseguenza della vostra ostinazione.»
»Vi sfido! (rispose Macbriar lanciando su i giudici uno sguardo di rabbia e disprezzo). Non è la prima volta ch'io sia stato imprigionato e assoggettato ai tormenti, e comunque giovane, ho vissuto abbastanza per imparare a morire quando Dio l'avrà ordinato; perchè, sappiatelo; non è da voi altri che la mia vita dipenda.»
»Va ottimamente! il duca riprese a dire; ma vi sono certe cose sgradevoli che vi possono accadere innanzi ancor di morire;» e detto ciò fe' udire lo squillo d'un campanello d'argento posto sopra una tavola dinanzi a lui.
Nel tempo stesso venne sollevata una cortina di color cremisi che era ad un'estremità della sala, e che lasciò ad ognuno visibile il carnefice, munito di tutti gli ordigni della tortura, in quel secolo tuttavia barbaro, adoperata. Morton, tutt'altro che preparato a così truce spettacolo non potè starsi dal fremere. Macbriar vide questi apparecchi senza impallidire, o mostrare il menomo segno di debolezza.
»Conoscete voi quell'uomo?» gli chiese Lauderdale.
»Egli è senza dubbio l'esecutore degli atroci comandi che avete dettati contra gli eletti del Signore, nè agli occhi miei siete spregevoli men di colui. Benedico il cielo, poichè mi dà la forza di non temere i tormenti che voi saprete ordinare e ch'e' saprà farmi soffrire. La carne e il sangue possono risentirsi di tai patimenti; la fragilità della natura umana potrà costrignerla a gemiti e a lagrime, ma la mia anima è superiore ai vostri sforzi congiunti.»
»Fate il vostro dovere» disse il duca al carnefice.
Risparmieremo ai nostri leggitori la troppo increscevole pittura de' tormenti che al prigioniero si fecero sopportare, limitandoci a dire ch'ei li sostenne con una costanza degna di miglior causa. Il presidente ordinò più d'una volta si sospendesse quella orribile fazione per reiterare al paziente l'inchiesta fattagli intorno a Burley, ma ne ottenne sempre la stessa risposta. Finalmente i patiti travagli avendo privato Macbriar dell'uso de' sensi, un chirurgo postogli a canto proferì che la natura non poteva reggere a maggiori prove.
»Dunque, disse il duca, or non occorre altro che pronunziare la sua sentenza.»
Intanto che il chirurgo operava i soccorsi della sua arte per richiamare i sopiti sensi dello sciagurato, il presidente raccoglieva i voti de' membri del consiglio, il quale al primo segno di vita esternato dal prigioniero, pronunziò contro di lui sentenza di morte per delitto d'alto tradimento, condannando, lui essere appiccato e ad avere indi tronche la testa e le mani; le sostanze sue ad essere confiscate a pro del pubblico erario.
»Doomster, diss'egli allora; leggete al condannato la sua sentenza.»
Doomster era il carnefice. Giusta le leggi che a que' dì si osservavano nella Scozia, e che lungo tempo dopo ancor vi durarono, era tra gli ufizi del carnefice il far nota ai condannati la loro sentenza; il che aggiugnea nuovo grado d'onere nell'animo di que' miseri col farli accorti come sarebbe incaricato di operare il loro supplizio chi ad essi ne leggea la sentenza. Macbriar non avea potuto che imperfettissimamente comprendere il tenore della medesima allorchè il presidente la pronunziò, ma avea già ricuperati i sensi allor quando la udì letta da Doomster.
»Milord, egli disse terminata questa lettura, vi rendo grazie. Mi avete compartito il solo favore ch'io fossi pronto a non ricusare da voi. Co' patimenti preparaste la mia anima all'eternità, e mi porgete occasione di far conoscere alla terra tutto quanto un cristiano può sopportare per la buona causa. Da un mondo di tenebre voi mi fate passare nel seno dell'eterna luce. Vi rendo grazie, ripeto, o milord, e vi perdono la morte mia. Possano gli ultimi momenti della vostra vita essere per voi felici e tranquilli come lo sono per me!»
Venne trasportato dalla sala del consiglio al patibolo; i suoi lineamenti erano quelli d'un uomo condotto in trionfo, e serbò fino all'ultimo istante la stessa fermezza e lo stesso entusiasmo.
Finchè durò questa scena tanto crudele lo spirito di Morton sofferse tutti i supplizi de' quali il suo sfortunato collega era vittima. Più d'una volta spinto da involontario moto era surto in piedi, ma gli occhi di Claverhouse sempre fissi sopra di lui lo richiamavano alla prudenza, e il costrigneano di bel nuovo a sedersi. Finalmente perdè i sensi egli stesso: e sapeva appena quali cose gli accadessero intorno; tal che allor quando fu nel calesse del generale, non potea rendere ragione a se medesimo del modo onde vi si trovava.
»Qual coraggio! quale fermezza! diss'ei finalmente. Oh! quanto è da compiagnersi che tanti bei pregi dell'animo sieno stati oscurati e inviliti dagli errori d'una setta feroce!»
»Egli muore, disse Claverhouse, con quella medesima calma, che era in lui quando a morte vi condannò. La giustizia il volea. – Ma voi, signore Morton, udiste che vi è mestieri abbandonare questo regno?»
»Sì, lo so. Ma non potrò innanzi partire congedarmi da' miei amici?»
»Hanno parlato di voi a vostro zio; ma questi ricusa vedervi. Il buon uomo è troppo atterrito. Lo ha compreso uno spavento, non del tutto irragionevole, che la colpa di tradimento onde foste giudicato vada a percotere le sue sostanze. Però non accadrà nulla di questo. Vi manda la sua benedizione e una piccola somma che troverete entro di questa borsa. – Quanto a lord Evandale, egli è tuttavia in cattivo stato di salute, nè può vedere nessuno. – Il maggiore Bellenden è a Tillietudlem insieme alla cognata e alla nipote, tutti intesi a tornarvi le cose nel primo ordine. Quei bricconi non si sono affaccendati poco nel mettere a sacco que' monumenti rispettabili d'antichità che erano primo scopo alla venerazione di lady Bellenden. Hanno persino abbruciato il seggiolone col baldacchino, che la buona signora chiamava il trono di sua maestà. – Vi sono altre persone che voi desideraste vedere?»
»No! disse Morton, sospirando profondamente, no! ma comunque debba essere sollecita la mia partenza, mi abbisognano ancora alcuni apparecchi indispensabili.»
»Tutto fu preveduto, il generale rispose. La vostra valigia è dentro il mio calesse, e in un forziere collocato dietro ad esso troverete quanti arredi vi mancassero ancora. Eccovi diverse lettere commendatizie che lord Evandale vi ha preparate affinchè possiate trasferirvi alla corte dello Statolder principe d'Orange. Io medesimo ne ho aggiunta una a lui stesso. Feci la mia prima carriera militare sotto gli ordini di questo principe, e alla giornata di Senet vidi con lui il fuoco la prima volta. – Eccovi ancora una credenziale sopra un banchiere dell'Aja. Ella è tratta da lord Evandale, che vi prega non trovare difficoltà a farne uso. Gli è un prestito che qualche giorno potrete restituirgli, se pur vi piace considerare siccome prestito quanto ei ravviserebbe appena per un tenue rimborso degl'immensi debiti che vi professa.»
Morton non credea quasi ai propri occhi e alle proprie orecchie, nè sapea riaversi dallo stupore prodotto in lui da una così subitanea esecuzione della sentenza di bando intimatagli.
»E Cuddy?» Soggiunse.
»Ne avrò cura io medesimo. Procurerò che torni al servizio di lady Bellenden. – Perchè non credo che omai lo prenderà la tentazione di mancare ad una rassegna; ma fo per lui sicurtà che non gli viene più il prurito di campeggiare co' Puritani. – Oh! eccoci alla spiaggia. Un palischermo vi aspetta.»
E tosto si presentarono alcuni piloti, che preso il fardello di Morton, nel palischermo il portarono.
»Possiate essere felice! gli disse Claverhouse stringendogli la mano, e possano venir tempi più tranquilli da rivederci ancor nella Scozia! Non dimenticherò mai la condotta generosa che serbaste per riguardo al mio amico Evandale! Ella vi onora tanto più agli occhi miei, che mi son noti i segreti sentimenti dell'animo vostro: e pochi, credo io, nel caso in cui vi trovaste, avrebbero lasciato sfuggire il destro di spacciarsi d'un uomo, che loro attraversava il cammino, e ciò in tempo che lo spacciarsene non gli copriva all'aspetto del pubblico d'alcun disdoro.»
Gli strinse una seconda volta la mano, e se ne disgiunse all'atto che l'altro stava per entrare nel palischermo.
Sparito appena Claverhouse, Morton sentì prendersi la mano, e lasciarla tosto; e vi trovò un biglietto piegato in modo che occupasse il minore spazio possibile. Si volse immantinente. La persona trasmettitrice di questo foglio avvolgeasi entro grande mantello sì fattamente, ch'era impossibile ravvisarne il volto; si mise un dito alla bocca, poi si perdè tra la folla.
Incidente dal quale la curiosità di Morton fu scossa oltre ogni dire. Appena trovatosi a bordo del vascello ove era aspettato, e che a Rotterdam veleggiava, si scostò da' suoi compagni di viaggio, e aprendo il biglietto consegnatogli con tanto mistero, lesse tai note.
Il coraggio che dimostrasti nella fatale giornata ove Israello fuggì al cospetto dei suoi nemici ha espiato in tal qual modo i tuoi errori e le tue colpe. So che desti il cuore alla figlia dello straniero. Scordati di lei, perchè, ch'io sia lungi o vicino, in esilio al punto della morte, la mia mano starà sollevata contro della sua casa, e il cielo mi ha compartito il modo di far ricadere sovr'essa i tanti delitti d'una sciagurata famiglia. La lunga resistenza opposta del castello di Tillietudlem è la principale cagione onde fummo disfatti al ponte di Bothwell il sangue dei nostri fratelli grida vendetta. Non pensar più dunque a costei, e riunisciti ai nostri colleghi esiliati. Tu ne troverai in Olanda, che terran gli occhi sempre aperti sull'ora della liberazione. Sonerà quest'ora e se tu sei tuttavia degno di coltivare la vigna del Signor, mi troverai tantosto, facendo chiedere notizie di Quintino Mackell d'Irongray, all'ottima cristiana Bessia Maclure, che dimora presso l'albergo di Niel. Intanto cigniti i lombi colla cintura della pazienza, e tieni accesa la lampada, com'uomo che vegli di notte, perchè all'ora che meno gli uomini si aspetteranno, comparirà l'angelo sterminatore, coperto d'una veste tinta di sangue, e vendicherà sopra i suoi persecutori Israello.
Una sì straordinaria lettera era sottoscritta I. B. DI B. Ma non abbisognava di queste iniziali per provare a Morton che essa non poteva essere stata scritta fuorchè da Iohn Balfour di Burley. Sorpreso dalla audacia e dall'ostinatezza di cotest'uomo, che nell'atto medesimo di vedere pressochè annichilata la sua fazione, pensava a raggruppar le fila d'una orditura già posta in pezzi, non quindi sentì alcun desiderio di legare con costui una corrispondenza, congiunta al certo a pericolo, e molto meno di rinnovare un'alleanza che per poco non gli fu micidiale. E quanto alle minaccie profferite contra la famiglia Bellenden, Morton non ravvisò in esse che effetto d'un risentimento ancor caldo contr'essa per la bella difesa operata dal castello di Tillietudlem; laonde non ne fece caso, nè gli venne tampoco in pensiero, che un nemico fuggiasco e bandito potesse dar da temere ad una famiglia attenente alla parte dei vincitori.
Ciò nullameno rimase perplesso un istante se dovesse trasmettere la lettera di Burley a qualcuno, fosse poi lord Evandale o il maggiore Bellenden, ma poichè questa medesima lettera dava indizj sul soggiorno di chi la scrivea, gli parve che il far ciò sarebbe stato un rendersi reo di tradita confidenza, ed anche senza pro, trattandosi di prevenire un danno che immaginario ei reputava. Lacerato pertanto il biglietto ne gettò i frammenti nel mare, non senza però avere prima notati e il nome additato da Burley per farne ricerca, e il luogo per saperne contezza.
In questo mezzo la nave salpava dal porto, e un vento propizio ne rigonfiava le vele. Sparvero agli occhi del giovane di Milnwood le coste della Scozia e a poco a poco le cime ancora delle montagne; e Morton si vide per molti anni disgiunto dalla contrada d'onde avea sortito il suo nascere.
CAPITOLO VII
»Volano gli anni rapidi
»Del caro viver mio»
Parini.
Gli scrittori di racconti godono d'un privilegio, che fa la condizion loro migliore d'assai sopra quella degli autori drammatici, quello cioè di non essere soggetti alle unità di tempo e di luogo, e di potere, giusta l'uopo, condurre i lor personaggi ad Atene o a Tebe, e di ricondurneli ancora se le circostanze lo chiedono. – Finora il tempo è trascorso d'egual passo col nostro eroe, poichè dal giorno della rassegna, alla quale vedemmo per la prima volta far mostra di se il giovane di Milnwood sino alla partenza di lui per l'Olanda, non è passato un intervallo più lungo di sei settimane. Ma è giunto l'istante di fargli prendere il galoppo e superare d'un salto il corso di cinque anni. Non quindi ne sarà d'uopo cambiare il luogo della scena, che continuerà tuttavia ad essere nella Scozia. Ma prima di tornare a far parola del nostro eroe, gioverà presentare al leggitore alcuni cenni sugli avvenimenti che quivi accaddero in questo intervallo.
Scorsi appena tre mesi dopo l'arrivo di Morton in Olanda, la morte di Carlo II chiamò il secondo Giacomo al trono dell'Inghilterra. Ne' quattro anni che questo monarca regnò, le dissensioni civili e religiose continuarono a dilacerare la Scozia, e s'ella cominciò finalmente a respirare, il dovette alla prudente tolleranza del re Guglielmo. Gli abitanti di questa contrada, pagarono bensì il primo tributo a quella violenta impressione cui non manca di generare negli animi un mutamento di dinastia; ognun sa che questo, o poco o assai, è origine di politiche rivoluzioni, alle quali nella presente circostanza si unirono le religiose; ma finalmente i cittadini alla cura de' pubblici affari sostituirono quelle de' lor privati interessi.
I soli che resistessero al nuovo ordine di cose introdotto erano i montanari del nort della Scozia, i quali ricusavano ostinatamente sottomettersi all'autorità di Guglielmo, e brandian l'armi per la causa dell'esule Giacomo II, avendo per loro duce il visconte di Dundee, che i nostri leggitori hanno fin qui conosciuto sotto il nome di Graham di Claverhouse, e che dopo una vittoria riportata sotto le mura di Dundee ottenne questo titolo d'onore dalla gratitudine di Giacomo II.
Dal poco sol che abbiam detto s'accorgeranno i leggitori che un grande cambiamento esser dovea accaduto nelle cose interne della Scozia. I wigh, nemici nati della dinastia degli Stuardi s'erano tostamente manifestati propensi al nuovo re Guglielmo, ed avendone ottenuto la restaurazione del presbiterianismo, con altrettanto zelo parteggiarono per la causa de' Reali, quanto furore posero nel combatterla finchè la causa della monarchia era pur quella di Carlo II o del successore di lui. Quegli in vece che aveano guerreggiato per questi due principi venivano a propria volta qualificati siccome ribelli, e costretti ripararsi alle foreste e alle montagne nella stessa guisa onde poco prima vi cercarono asilo i loro avversarj. Gli uni aveano acquistato il nome di traditori; gli altri riceveano da questi il titolo di persecutori.
Trovavasi pure in Iscozia una terza fazione formata dai Puritani fanatici, che non sapean andar d'accordo con nessuna delle altre due. Un governo repubblicano e teocratico era il fantasma cui sempre viveano affezionati; laonde muniti sempre di testi scritturali, riprovavano qual delitto la savia tolleranza del re Guglielmo, che permetteva ne' propri stati la libera pratica di tutte le religioni. Ma questa fazione perdea vigore ogni giorno perchè il governo contentavasi di vigilare gli andamenti, ma colle armi sol dello sprezzo la combattea.
Tal si era lo stato degli affari della Scozia sei mesi dopo l'avvenimento di Guglielmo al trono della Gran-Brettagna.
E fu sotto il regno di questo monarca, che in bella estiva sera, uno straniero, che aveva aspetto di militare distinto per grado fermò il superbo suo corridore alle falde di fertilissima collina, d'onde scorgeansi le rovine tuttavia maestose del castello di Bothwell, e le acque del Clyde che serpeggiano attraversando quelle montagne, e i boschetti che ad ogn'istante ne interrompono il corso, e il ponte di Bothwell, in cui si termina la pianura da quel castello denominata; pianura che pochi anni prima era stata sanguinoso teatro di desolazione e di stragi, e che respirava di nuovo la pace e la tranquillità. Il lieve sussurro del venticel della sera faceasi appena udire fra le piante e le macchie che verdeggiavano lungo le rive del Clyde, e le acque della riviera pareva attenuassero il lor mormorio per discordar meno dal grato silenzio che regnava su quelle sponde felici.
Il nostro viaggiatore tenne una via ombreggiata da pomi carichi di frutta d'onde perveniasi ad una casa situata sul declivio d'una vicina montagna. Appartenea questa ad un fondo rustico, ed aveva l'apparenza d'essere ad un tempo il soggiorno di qualche proprietario mediocremente agiato.
All'ingresso d'un viale che guidava alla fabbrica principale, scorgeasi una casetta assai decente, e che avrebbe potuto giudicarsi l'abitazione del custode, se l'edifizio che venia dopo si fosse meglio rassomigliato ad un castello. Ciò nullameno non prestava esso quell'aspetto di trascuratezza, o di scadimento che sogliono contraddistinguere le abitazioni de' contadini scozzesi. Osservavasi a sinistra della medesima un piccolo giardino ben fornito di legumi e di alberi da frutto. Una giovenca e una capra pasceano il vicino verziere. Quivi parimente era un recinto chiuso da viva siepe, ove alcune chiocce governavano la lor famigliuola; un mucchio di rami secchi, e un monticello assai rilevato di torba davano a divedere, che gli abitanti s'erano muniti contra i rigori del prossimo verno. Finalmente i vortici di fumo che uscendo fuor della canna del cammino s'aggiravano attorno alle cime de' vicini alberi, indicavano che la famiglia quivi stanziata stava pensando agli apparecchi della cena. Per dar l'ultima mano a questa pittura della campestre beatitudine, una fanciullina di circa quattro anni empieva una brocca all'acqua limpida d'una fontana non oltre a venti passi distante di lì.
A questa meta fermatosi il cavaliere chiese alla picciola ninfa la strada d'onde si va a Fairy-Grove. Allora la fanciullina mise a terra la brocca, e colle sue tenere dita, disgiunse i bei capelli biondi che le cadean sulla fronte; indi fissando sopra lui due occhi maravigliati gli chiese: »Che cosa mi dite o Signore?» Solita interrogazione che i contadini della Scozia rimandano a chi gli interroga sopra qual si sia cosa.
»Desidero sapere la strada di Fairy-Grove.»
»Mamma, mamma! sclamò la fanciulla correndo alla porta della casetta. Venite a parlar voi con questo signore.»
Comparve la madre, giovane ed avvenente donna, i cui lineamenti la diceano stata scaltra e smaliziata anzichè no, comunque la matrimoniale condizione le avesse inspirato quel contegno di gravità e decenza, che è caratteristico quasi sempre delle contadine di Scozia. Ella portava fra le braccia un bambino, ed altro fanciullino, di due anni e mezzo a un dipresso, le veniva a fianco tenendosi ad una falda del grembiule materno. La figlia maggiore, colla quale abbiamo di già fatta conoscenza lanciava occhiate frequenti e alla sfuggita sul forestiere.
»Che bramate, o signore?» gli domandò la contadina, d'un tuono rispettoso sì, ma ben lontano dal manifestare quella zotichezza e quell'aria d'imbarazzo, solito nelle sue pari quando, non avvezze a conversare con persone di un grado distinto, casualmente in queste s'incontrano.
Il viaggiatore dopo averla fissata in volto parve turbarsi un istante, ma riavutosi immantinente. »Vorrei, rispose trasferirmi a Fairy-Grove.»
»Ci siete signore, nè questa casa si chiama altrimenti.»
»Mi occorrerebbe parlare a Cutberto Headrigg, soprannominato Cuddy. Sarà qui dunque ov'egli dimora?»
»Per l'appunto, o signore, egli è mio marito. Oggi è andato alla città, ma dee tornarne in questa sera medesima. Se la signoria vostra vuole discendere, nè sdegna entrare nel povero nostro tugurio, Cuddy non tarderà senza dubbio ad essere qui.»
Il forestiere avendo accettata l'offerta, la contadina lo fece entrare in una stanza che era ad un tempo cucina, tinello e sala di ricevimento; indi dopo aver messo il cavallo entro la scuderia, gli esibì lardo, uova, butirro, e birra della quale gli vantò la squisitezza.
Lo straniere acconsentì a prendere qualche cibo, anche per non dare disgusto alla persona che glielo offeriva, e durante la mensa, così il loro dialogo s'intavolò.
»Sarei troppo ardita, o signore, col chiedervi quale affare avete con mio marito?»
»No certo, mia buona ospite. Abbisogno d'alcune notizie, che a quanto mi viene assicurato, egli potrà procurarmi.»
»Se queste riguardano persone nostre vicine, forse io potrò appagarvi al pari di lui. Non v'è ignoto, o signore, che nell'essere curiose le donne non la cedono sì facilmente a chicchessia; laonde posso accertarmivi informata delle cose che accadono dieci miglia all'intorno meglio di quanto lo sia lo stesso Cuddy.»
»È molto tempo che ho abbandonato questo paese, ripigliò sospirando quel forestiere. Altra volta l'ho assai conosciuto. Or sembra che finalmente vi sia tornata la calma.»
»Non però in tutti i punti, e abbiamo ancora molti guai dalla parte di tramontana! Lord Dundee, che in addietro era conosciuto per Claverhouse, si è posto a capo de' montanari, e sta fermo per il re Giacomo. Onde si battaglia in quelle rupi, come si battagliava qui, sono cinqu'anni. Ah! se aveste veduto questo spianato dopo un combattimento che si decise sovr'esso! Mio marito m'assicura che fu uno spettacolo orrendo.»
»Vostro marito dunque vi si trovava? – E ditemi! da qual banda s'era egli posto?»
»Mio signore! – Questa è una interrogazione alla quale lascerò ch'egli risponda.»
»Lodo la vostra prudenza, ma non è necessaria con me, perchè mi è noto ch'egli serviva Enrico Morton, uno fra i capi dei Presbiteriani.»
»Lo sapete, sì? Ebbene saprete ancora che Cuddy lo amava grandemente, e che ne ha pianta per lungo tempo la morte.»
»Ah! dunque morì Enrico Morton?»
»Senza dubbio. Egli avea preso imbarco per l'Olanda. Tutti gl'imbarcati perirono e del sig. Morton non si è avuta contezza mai più.»
»Avete inteso parlare d'un certo altro capo, di nome Burley? Sapete se viva tutt'ora?»
»In verità è tal cosa alla quale non penso nè poco nè assai. E non v'è nemmeno chi possa dir con certezza quel che ne sia divenuto. Alcuni pretendono che egli sia passato in paese straniero, ma che essendo stato riconosciuto per uno degli assassini dell'arcivescovo di Sant'Andrea, non abbia trovato chi voglia nè manco vederlo, nè capo d'esercito che acconsenta impiegarlo. Altri aggiungono che è tornato fra noi e che vive in mezzo ai boschi, alimentato dai soccorsi di qualche fanatico della sua specie.»